Nota di Carlo Fruttero
Comportandosi il tempo nel modo a dir poco increscioso che tutti sappiamo, dieci anni sono già passati dalla pubblicazione del Catalogo Storico della Mondadori, 1912-1983. Di quei cinque volumi posseggo una copia fuori commercio con l’autografo di Mimma Mondadori, che era allora presidente della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e alla quale nessuno vorrà impedirmi di dedicare qui un ricordo affettuoso. (Lo sguardo rassegnatamente manageriale da sopra gli occhiali abbassati in punta di naso, dietro la scrivania, per esempio; il gesto tra lo sbrigativo e l’impaziente; l’accensione repentina di tutto il viso come di uno che magari non può, ma vorrebbe buttarla sul ridere sempre e approfitta delle più piccole occasioni; e le camicette, i tailleur che nascondevano bene il loro prezzo – di certo altissimo -sotto una soffice aspirazione alla comodità … ) E quello stesso catalogo reca la prefazione di Giovanni Spadolini, cosa che mi esenta dal ripercorrere storicamente, politicamente, socialmente ecc. tutta la vicenda mondadoriana dal torchio del 1912 a oggi, e d’altra parte m’induce a una sia pur inadeguata commemorazione di quel personaggio così mirabilmente “ufficiale” che avrebbe dato solennità all’acquisto di un cono gelato. Non è poco, in un Paese incline allo sberleffo da basse-cour, impersonare con impavida benignità una retorica di tipo plutarchiano, dove la passione per la dottrina, i libri, s’intrecciava, come in Cicerone, con l’amore della Politica, della Repubblica, della Libertà e di altre Maiuscole appiattite da troppi abusi. (Dei resto Spadolini citava di continuo i suoi anni di direttore al «Corriere», o quelli di Presidente del consiglio, così come Cicerone richiamava in ogni occasione il periodo del suo consolato. Commoventi vanità.)
Ma vedo che questa nota ha ormai preso una piega famigliare, personale, incorreggibilmente ma non inspiegabilmente. C’entra senza dubbio l’autobiografia, giacché per i corridoi, i sottoscala, i separé della Mondadori mi sono aggirato durante più di trent’anni e ne ho conosciuto tutte le figure principali, fondatore, moglie, figli e figlie del fondatore, generi, nuore, nipoti dei fondatore; che per loro merito o per mia inettitudine e alla sintesi non riesco a concepire nell’insieme, non mi fanno venire in mente la fredda parola “azienda”. E lo stesso handicap ottico – vedere gli alberi ma non la foresta – personalizza i miei variegati rapporti di lavoro con decine, centinaia di correttori di bozze, grafici, segretarie, redattori, direttori, uscieri, venditori, traduttori, consulenti, autisti, una folla che per me non è tale, paragonabile semmai a un “ciclo” absidale in buone condizioni, profili e atteggiamenti ben delineati, risate, sfuriate, refusi, ritardi, amori intravisti, deglutite umiliazioni, nomi, cognomi, soprannomi che tornano alla memoria con prepotenza sentimentale.
Questo sentimentalismo strettamente privato (sebbene anche lui in qualche modo “storico”) mi sembra tuttavia immerso in una più vasta tenerezza, in una sorta di estatico sdilinquimento che chiamerei “sindrome da catalogo Mondadori”. Degno di pietà è infatti colui che in questi diligenti volumi altro non vede che un’opera di consultazione. Basta dimenticare il loro scopo e sfogliarli senza cercare niente, gettando l’occhio qua e là a caso, per farsi prendere dal loro fascino di autobiografia universale: ecco il manuale per la mammina in dolce attesa, anzi, non anticipiamo, ecco il prezioso testo per i comportamenti pre-matrimoniali, e prima ancora gli svelti tascabili contenenti “tutto” sul trucco, “tutto” sui capelli, “tutto” sui pori, i fianchi, il seno, le gambe, nonché veri e propri codici di Hammurabi prescriventi che cosa mangiare, quanto, in quali ore e stagioni affinché la cosiddetta “figura” corrisponda il più possibile a quella delle eroine (retrocediamo ancora) dell’adolescenza, scaturite dai romanzi rosa, rosa-antico, rosa-osé, rosa-urca, scemenze basiche assolutamente indispensabili per misurare poi forever la distanza tra la vita e il sogno. (L’occhio pellegrino cade intanto su La spesa militare, Sciare in Val d’Aosta, Alla scoperta del sistema solare.) Ma già la nostra sognatrice è meritatamente corteggiata da Aldo, da Bruno, da Claudio, frivolo il primo e disinvolto allungatore di mani, gran consumatore di facezie e barzellette raccolte in volume, di detti memorabili dei massimi comici teatral-televisivi; il secondo, mentre la pioggia scroscia sulla macchina parcheggiata, insiste a raccontarle troppo entusia-sticamente contorte avventure di fantascienza, gli orrori di Stephen King, le truci imprese dì Dylan Dog; il terzo tace, l’occhio distante anche nel bacio, le labbra freddine da cui escono sospiri enigmatici del genere Excel 4. Per Windows o Microsoft Fox Pro. (L’occhio vagabondo cade intanto su Lo yogurt, Cronache dell’anno Mille, A Giava insieme.)
Ma la ragazza è in realtà innamorata di Demetrio, che la intimidisce coi tomi della Fondazione Valla schierati in bella vista nella sua soffitta, sopra il frigorifero. Scritti per metà in latino, addirittura in greco, figuriamoci! Purtroppo l’ingenuo giovane si è lasciato circuire da Elena, un’odiosa ipocrita semianalfabeta che ha la faccia di arrivarsene ogni giorno scodinzolando lubricamente con in bocca ogni sorta di classici antichi e moderni, Oscar e Meridiani, Proust e Calvino, Tacito e Sereni, perfino una Storia di Milano dai romani a Tognoli. E’ tutta scena, ma lui non se ne accorge. Come competere con la subdola rivale? La risposta sta nel volume Come essere più intelligenti, istruzioni e avvertenze per l’uso del cervello. Cervello che, stimolato, suggerisce d’infilare dentro il frigorifero, tra albicocche prossime alla terza età e prosciutto incartapecorito, un fiammante best-seller, Presunto innocente, da cui Demetrio, letta stando in piedi la prima pagina, non potrà più staccarsi. E sull’onda galeotta di Turow e Grisham, Le Carré e Follet i due finiranno per sposarsi, ricevendo in dono, oltre al biancodorato Varcare la soglia della speranza, The Beatles l’opera completa, Io speriamo che me la cavo e l’Innario cistercense. Nasceranno dei figli, che ricominceranno il ciclo da Disney a Scarry, dalle fiabe e leggende di tutto il mondo alle avventure di Dumas e Verne, ramificandosi verso Miss Marple, Marlowe, Maigret, esplorando Senofonte, Kant, Shakespeare, inciampando in Kafka, piluccando Forattini e Bocca, veleggiando nella cibernetica, nella dietetica, nell’Islam, nel fascismo, nel comunismo, nella più marmorea antichità, nel più volatile presente.
Ho profittato personalmente fin dall’infanzia di questa editoria detta variamente popolare, di massa, industriale, o secondo me più appropriatamente “di servizio”. Sapevo appena leggere, tendevo la mano e c’era lì pronto Topolino e lo struzzo Oscar. E cosi poi in seguito, in ogni fase o svolta della vita, a tutte le età, per tutte le ore del giorno e della notte, un libro, libretto, librone, libraccio Mondadori all’altezza dei tuo capriccio o dei tuo bisogno (e della tua borsa) eri sicuro di poterlo trovare. Tale era il progetto, umile e al tempo stesso mostruosamente ambizioso, del giovane Arnoldo e direi, da utente, che sia stato rispettato attraverso tutte le peripezie nazionali e aziendali fino a quest’ultimo aggiornamento. Non so quali altre case editrici al mondo offrano un ventaglio di scelta altrettanto vertiginoso ai loro clienti. So che, naufrago su un pianeta sconosciuto e deserto, vorrei avere con me a preferenza della solita Bibbia questo catalogo. Negli anni tenterei di immaginare a partire dai suoi mille e mille titoli tutti i libri che contiene e alla fine sono certo che ricorderei anche la casa dei doganieri, parola per parola.