Il fondo blu polvere della copertina, dove appaiono le date dei cinquant’anni (1963-2013) e il titolo Adelphiana impresso in lettere dorate, è attraversato da un sinuoso fregio art nouveau rosso lacca. Apprendiamo che il fregio è ripreso dal disegno dell’illustratore inglese Aubrey Beardsley per la copertina di Verses (1896), del poeta decadente Ernest Dowson (lo stesso Dowson che ispirò il titolo di Via col vento). Beardsley non è una scelta casuale, bensì un omaggio: la gabbia delle copertine Adelphi che contiene un’immagine (un quadro, una fotografia) riprende infatti la gabbia grafica creata da Beardsley alla fine dell’Ottocento.
Eleganza e semplicità assoluta per un’opera che Roberto Calasso nella sua presentazione definisce «pubblicazione permanente e sporadicamente visibile».
Come nasce Adelphiana? Era un libro rosso, anomalo, uscito nel 1971, una sorta di almanacco che conteneva testi inediti di autori che negli anni successivi si sarebbero rivelati essenziali per la casa editrice, da Thomas Bernhard a Aby Warburg, da Italo Calvino a Giorgio Manganelli, da Karl Kraus a Robert Walser, da Giorgio de Santillana a Edgar Wind. La rivista ricomparve poi nel 2002, per quattro numeri, con un sottotitolo: «pubblicazione permanente».
Oggi, nell’anno che celebra mezzo secolo di Adelphi, il volume seleziona invece alcuni tra i libri che più ne hanno segnato la vita accompagnandoli con interviste, fotografie, riproduzioni di manifesti. Testi e immagini che attraversano gli oltre duemila volumi pubblicati componendo un affresco stupefacente.
Anno dopo anno sfilano le copertine e appare un titolo commentato da inaspettati recensori e illustrato da immagini preziose. Il lettore, incuriosito, attende impaziente il titolo dell’anno successivo: forse sarà un libro che ha già letto, forse un libro da leggere, forse il ricordo di un autore, forse la nostalgia di un’epoca.
Si susseguono, seducenti e impeccabili, La vita e le avventure di Robinson Crusoe e L’anello di re Salomone, un autografo di Fernando Pessoa e un ritratto di Elias Canetti, la sofisticata Colette e la severa Simone Weil, il giovane Chatwin, le farfalle di Nabokov e Azar Nafisi che nel 2004 legge Lolita a Teheran, Zweig e Malaparte, i ritratti di Tullio Pericoli e Zia Mame, l’appartamento di Ettore Sottsass, Suite Francese e La famiglia Karnowski.
È un libro da guardare, leggere, scoprire, come se si passasse da una stanza all’altra di una grande casa aprendo misteriose porte. Un libro che parla di libri. Scrittori che parlano di libri. Scrittori che parlano di scrittori. Un libro da assaporare come un romanzo. Il romanzo di un’avventura, il romanzo di una casa editrice.
«Che cos’è» — scrive ancora Roberto Calasso — «una casa editrice se non un lungo serpente di pagine? Ciascun segmento di quel serpente è un libro. Ma se si considerasse quella serie di segmenti come un unico libro? Un libro che comprende in sé molti generi, molti stili, molte epoche, ma dove si continua a procedere con naturalezza, aspettando sempre un nuovo capitolo, che ogni volta è di un altro autore […] senza rifuggire i contrasti e le contraddizioni, ma dove anche gli autori nemici sviluppano una sottile complicità, che magari avevano ignorato nella loro vita».
Maria Elena Daverio