Giuseppe Bottai
Estremi cronologici: 1895 - 1959
testo tratto dalla nota biografica di Giordano Bruno Guerri pubblicata in:
Il Parlamento Italiano, vol. XII 1929-1938 I tomo, Milano, Nuova CEI 1990
1895. Nasce a Roma il 3 settembre.
1915-18. Si arruola volontario prima dello scoppio della guerra; tenente degli Arditi.
1919. Collabora a 'Roma futurista' di cui diviene condirettore, e si iscrive al Fascio di Roma (agosto).
1921. Si laurea in Giurisprudenza. Dirige l'ufficio romano del 'Popolo d'Italia'. Sposa Cornelia (Nelia) Ciocca. Viene eletto alla Camera (sarà eletto per le successive cinque legislature): esce la raccolta di poesie Non c'è un paese.
1922. Comanda la colonna che da Tivoli marcia su Roma.
1923. Il 15 giugno esce il primo numero di 'Critica fascista' che per vent'anni sarà il suo organo di 'critica per linee interne' al regime e nella quale verranno dibattute tutte le principali problematiche politiche, economiche e culturali del ventennio.
1923-25. Guida una corrente normalizzatrice e legalitaria (revisionismo), definitivamente sconfitta nel 1925. Dirige il quotidiano 'L'Epoca' (1925).
1926. Il 6 novembre è nominato sottosegretario alle Corporazioni. Come sottosegretario e poi come ministro promuoverà un ampio dibattito nazionale e internazionale sull'esperimento corporativo, da lui inteso soprattutto nelle sue funzioni politiche ed economiche piuttosto che in quelle sindacali e tecniche. In questo senso cercò di farne il nucleo dell'attività economico-politica statale e di dirigere la politica corporativa verso una 'sinistra' fascista tendente a una più equa spartizione dei redditi e a una maggiore autonomia dei sindacati dei lavoratori.
1927. Organizza la preparazione della Carta del lavoro (7 gennaio - 21 aprile). Fonda la rivista "Il Diritto del Lavoro".
1929. Entra a far parte del Gran Consiglio (2 gennaio). Diventa ministro delle Corporazioni (12 novembre).
1930. Viene nominato per chiara fama professore di Politica ed economia corporativa all'Università di Pisa, dove fonda la Scuola di perfezionamento di Scienze Corporative e la rivista 'Archivio di studi corporativi'. Crea inoltre il Consiglio nazionale delle corporazioni
1932. Il 20 luglio Mussolini lo destituisce dalle Corporazioni.
1933-34. E' presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, dove sviluppa le assicurazioni sociali e la costruzione di sanatori antitubercolari. Diviene preside della Facoltà di Giurisprudenza a Pisa. Pubblica Esperienza corporativa (1929-1934).
1935. E nominato governatore di Roma (24 gennaio). Parte volontario per l'Etiopia (7 ottobre).
1936. Governatore civile di Addis Abeba (maggio) e docente di Diritto corporativo a Roma. Ministro dell'Educazione nazionale (22 novembre), introdurrà importanti modifiche nell'ordinamento scolastico e promuoverà leggi in difesa dei beni artistici e delle bellezze paesistiche.
1939. In febbraio vara la Carta della Scuola e una profonda riforma (creazione della scuola materna, introduzione del lavoro nella scuola, parziale unificazione delle medie inferiori). Crea la rivista 'Le Arti' e l'Istituto centrale di restauro.
1940. Fonda 'Primato' (1 marzo) la più importante rivista letteraria del ventennio; aperta anche a scrittori non fascisti (o sotterraneamente antifascisti) vi collabora il meglio della cultura italiana e diventa un luogo privilegiato di fronda intellettuale. All'entrata in guerra dell'Italia si arruola e combatte sul fronte francese.
1941. Viene inviato dal duce a combattere sul fronte albanese (gennaio- aprile).
1943. Viene destituito dal ministero (5 febbraio). Organizza e impone con Grandi l'ordine del giorno che mette in minoranza Mussolini (21-25 luglio) . Viene fatto arrestare da Badoglio (28 agosto- 13 settembre).
agosto 1944-luglio 1948. Si arruola nella Legione straniera e combatte contro i tedeschi in Francia e Germania; dopo la guerra viene dislocato in un forte sahariano.
1949. Pubblica Vent'anni e un giorno.
1950. Pubblica Legione è il mio nome
1953. Fonda il quindicinale politico 'abc'
1959. Muore a Roma il 9 gennaio.
Giuseppe Bottai nacque a Roma il 3 settembre 1895. Il nonno, di origine toscana, aveva iniziato un commercio di vini; il padre Luigi continuerà il mestiere paterno a Roma insieme alla moglie Elena, figlia di un maestro d'ascia del cantiere navale di La Spezia. Avevano un piccolo negozio di vini vicino alla stazione Termini ed erano entrambi atei e accesi repubblicani. Giuseppe Bottai infatti venne battezzato di nascosto da una balia. Fece la prima comunione durante la prima guerra mondiale, ormai adulto, ma la sua totale adesione al cattolicesimo avvenne solo durante la seconda guerra mondiale.
Studiò al Liceo classico 'Tasso' di Roma e sui banchi di scuola conobbe la ragazza che sarebbe diventata la solidissima compagna della sua vita, Cornelia (Nelia) Ciocca. Nel 1914 si iscrisse, per fare contenta la famiglia, alla Facoltà di Giurisprudenza, ma la sua vera vocazione era in quel periodo la letteratura, in particolare la poesia. La politica è per lui, in quegli anni di fuoco, un interesse marginale: 'Tendere al bene della Nazione', scrive nel '14, 'non è questione di repubblica o di monarchia, di socialismo o di anarchia, è un migliorare noi, perché un giorno possiamo serenamente eleggerci la più consentanea forma di reggimento politico'. Questo agnosticismo politico ma di forte impegno morale, unito alla passione nazionalista e risorgimentale propria della sua generazione, lo spinge ad arruolarsi volontario nell'esercito prima ancora che l'Italia entri in guerra.
Dopo il corso allievi ufficiali fa domanda di essere inviato al fronte e combatte sul Col di Lana e sul Carso, fra i mitraglieri; si trova a Caporetto con la IV armata e partecipa alla difesa del Grappa. E proprio la sconfitta di Caporetto che, nel '17, lo porta ad occuparsi più attivamente di politica e ad accentuare la propria partecipazione alla guerra: si arruola fra gli arditi, dove combatte egregiamente in rischiose azioni. Alla fine del conflitto è sconcertato e incerto sul da farsi. Il combattimento gli ha ravvivato il gusto per l'azione e la capacità di comando, la sua 'voglia di fare'. E nella Roma del primo dopoguerra la 'voglia di fare' di un giovane poeta della sua formazione culturale e sociale portava quasi inevitabilmente al futurismo. Dopo poco infatti assumerà la condirezione di 'Roma futurista' ma il movimento futurista non lo convince appieno, né artisticamente né politicamente: è ormai venuto il momento di darsi 'la più consentanea forma di reggimento politico', e il 30 agosto 1919 quattro mesi e mezzo dopo la fondazione del fascismo, si iscrive al fascismo romano - tessera n.637 - di cui poco dopo assumerà la guida, abbandonando il movimento futurista.
'Uomo intellettualissimo'
La sua adesione al fascismo non ha motivazioni diverse da quelle che spinsero tanti giovani reduci borghesi della sua generazione. Un'importanza particolarissima ebbe invece il suo rapporto con Mussolini: 'M'incontrai con Mussolini e la mia vita fu decisa con quella di un'intera generazione', dichiarò molti anni dopo, nel maggio 1928 in una intervista all''Assalto'. Nessuno fra i grandi gerarchi - tranne, al polo opposto, Starace subì così fortemente il fascino del duce, del quale pure coglieva perfettamente i limiti intellettuali, il velleitarismo, la grossolanità. Fu un amore pochissimo corrisposto: Mussolini aveva stima per lui e lo esibiva volentieri ai giornalisti stranieri, come il fiore all'occhiello di una classe politica per lo più rozza, incolta e facilona. Ma aveva anche in sospetto quell''uomo intellettualissimo', come lo definì una volta, che si teneva aggiornato sulla politica sindacale e culturale straniera, che piaceva fin troppo agli intellettuali e ai giovani, e dunque aveva un proprio seguito negli ambienti non perfettamente in sintonia con il regime. Di fatto, dopo il 1932, quando terminò definitivamente il periodo 'rivoluzionario' del fascismo non gli darà più incarichi di vero peso politico.
Fin dalla sua adesione al fascismo, Bottai evitò le posizioni estreme, sia sostenendo la pacificazione con i socialisti, sia adeguandosi all'avvicinamento di Mussolini alla monarchia, ovvero facendo il possibile perché il fascismo entrasse nell'ambito della normale lotta politica. La sua attività di squadrista fu minima, e del resto nel Lazio non c'era la tensione sociale di altre regioni. Preferì, con un'intensa attività giornalistica, assumere un ruolo ideologico-politico all'interno del movimento, e Mussolini fece di lui il più giovane candidato fascista nelle elezioni per la Camera del 15 maggio 1921. Si gettò con straordinario impegno nella campagna elettorale e venne eletto con 99.819 preferenze. In questa sua prima e brevissima esperienza legislativa non si distinse particolarmente; non fece grandi discorsi (monopolizzati da Mussolini) né grandi scalmane (quasi altrettanto monopolizzate da Roberto Farinacci).
Fece parte della commissione per la politica estera e coloniale, e sedeva volentieri vicino ai vecchi liberali, per esempio Giovanni Giolitti e Vittorio Emanuele Orlando, che era stato suo professore d'università e gli regalò una sua fotografia dedicandola al 'discepolo carissimo' e 'minorenne, che crescerà'. La sua legislatura durò poco perché a più di un anno dalle elezioni - un anno di dibattiti sull'argomento - venne defenestrato dalla Camera insieme a Farinacci, a Dino Grandi e al repubblicano Bergamo, in quanto al momento dell'elezione non avevano ancora l'età richiesta dalla legge. La lunga diatriba fece sensazione, e i giornali umoristici raffiguravano i tre fascisti come poppanti in lacrime in braccio alla balia-Montecitorio che ora li allattava ora li respingeva. Bottai, che del resto tornerà alla Camera per quasi vent'anni (fu eletto nel 1924, 1929, 1934, 1939), non se la prese troppo, perché si rendeva conto che il futuro della nazione si decideva fuori del Parlamento. E cosi appoggia sia la pacificazione tra fascisti e socialisti, sia la trasformazione del movimento fascista in Partito nazionale fascista: è favorevolissimo al partito - quel partito che poi, divenuto moloch soffocatore e divoratore di ogni cambiamento, indicherà come uno dei principali mali del regime - perché pensava che potesse imporre l'unità delle varie correnti affluite nel movimento.
Nel 1922 sostenne come un male necessario l'opportunità di marciare su Roma, e comandò una delle tre colonne, ma da quel momento in poi tutta la sua azione tese al rientro nella normalità, una normalità così difficile da raggiungere che le sue squadre dovettero persino sostenere degli scontri, a suon di revolverate, con i fascisti estremisti romani capeggiati da Gino Calza-Bini.
La fondazione di 'Critica fascista'
Quando Mussolini continuò a favorire gli estremisti che gli avevano consentito la conquista del potere, Bottai minacciò di dimettersi dal partito, ma alla fine prevalse la sua tendenza alla mediazione e fu per questo che nel 1923 fondò 'Critica fascista', la rivista quindicinale che per oltre vent'anni sarà il suo strumento prediletto per tentare di indirizzare e correggere il fascismo in un senso più liberale, colto e ideologico, badando che le realizzazioni politiche corrispondessero alle ipotesi rivoluzionarie. Un'attenzione particolare fu data ai giovani, con lo scopo di creare una classe dirigente nuova, nettata dalle scorie del liberalismo e del fascismo violento e umorale che aveva conquistato il potere.
Vent'anni dopo Bottai dovrà dichiarare il fallimento del suo intento, ammettendo che il fascismo, chiuso al dialogo interno e al dibattito politico, aveva educato una generazione di amorfi, di succubi e di ribelli. Quanto alla critica Bottai mantenne la promessa contenuta nel nome della rivista. Nel corso di vent'anni passò al vaglio, da fascista, i mali interni del regime sollevando a mano a mano i problemi che la classe dirigente tendeva a ignorare: lo strapotere e l'immobilismo del partito, le nomine dall'alto elevate a sistema contro le elezioni dal basso, l'irreggimentazione della cultura ecc. I risultati di questa critica apparentemente furono nulli, nel senso che non incisero direttamente con effetti immediati, nella vita della nazione e in quella del partito, ma è certo che 'Critica fascista' creò una 'corrente' pienamente accreditata nel regime, tanto che molti dei suoi uomini - quelli che Mussolini definiva ironicamente 'la covata di Bottai' - ebbero incarichi di alta responsabilità nella burocrazia e nel giornalismo, se non nella politica. Gli effetti furono certamente benefici, ed è sterile polemica sostenere, come è stato fatto, che il 'bottaismo' non fece che giovare al fascismo più bieco offrendo il miraggio - solo il miraggio - di un fascismo diverso. Soprattutto nei primi anni la critica di Bottai fu talmente dura che il 20 maggio 1924 venne anche espulso dal partito a causa delle sue polemiche contro l'allora segretario del partito Farinacci, simbolo di quel fascismo estremista contro il quale lottava la fazione 'revisionista' moderata di Bottai. In quell'occasione Bottai fece di tutto - certamente anche promesse di maggiore docilità - per essere riammesso, e ci riuscì. Poté cosi essere eletto alla Camera nelle elezioni di giugno, e dopo il delitto Matteotti riprese a tal punto le polemiche che venne nuovamente minacciato di espulsione. Dopo la linea dura scelta da Mussolini con il discorso del 3 gennaio 1925, Bottai continua la sua polemica, ma soprattutto si dedica alla costruzione dello Stato fascista: in particolare da quando - il 6 novembre 1926 - entra nel governo come sottosegretario alle Corporazioni.
Bottai ha trent'anni e il suo ruolo di sottosegretario (essendo ministro pro forma Mussolini, che nel '29 gli cederà in prima persona la carica) lo mette al centro e alla base di quella che avrebbe dovuto essere la più originale e rivoluzionaria riforma fascista. Il ministero, creato nel luglio di quell'anno, avrebbe dovuto infatti operare una profonda trasformazione sociale, economica e politica dello Stato italiano, e Bottai vi dedicherà il più e il meglio delle sue capacità. Il corporativismo si proponeva di superare i conflitti tra lavoro e capitale mediante l'azione conciliatrice e non discutibile dello Stato, il quale immetteva le corporazioni (una per ogni categoria professionale, in rappresentanza di lavoratori e di datori di lavoro) nella propria organizzazione amministrativa. Esse avrebbero dovuto autoregolarsi, in collaborazione con il partito, mediante leggi e disposizioni degli organi creati a questo scopo: prima il Consiglio Nazionale delle Corporazioni e successivamente la Camera dei fasci e delle corporazioni. Nella realtà ad entrambi gli organi le disposizioni vennero sempre dall'alto, dal ministero o da Mussolini in persona. Mussolini definì la riforma corporativa 'rivoluzionaria per eccellenza, destinata a rimanere nella storia del mondo', fino ad affermare, nel '30 che 'lo stato fascista o è corporativo o non è fascista', frase che Bottai amò più di qualsiasi altra del duce. In realtà a Mussolini il corporativismo servì soprattutto come strumento propagandistico all'interno e all'estero e come strumento di controllo politico ed economico, e favori sempre un concetto corporativo che faceva capo al giurista Alfredo Rocco, secondo il quale le corporazioni dovevano essere assoggettate rigidamente allo Stato mentre per Bottai dovevano godere di ampie autonomie. Comunque, quando Bottai entra al ministero, di solido su cui basarsi c'è solo la legge del 3 aprile 1926, seguita dalle sue norme di attuazione stabilite dal regio decreto del 10 luglio.
La legge preparata da Rocco segnava la nascita dello Stato sindacale e costituiva la base del futuro Stato corporativo, stabilendo l'elenco delle confederazioni parallele di lavoratori e datori di lavoro; alle confederazioni viene imposto di 'coordinare e meglio organizzare la produzione' e svolgere azione conciliativa nelle controversie relative ai contratti di lavoro; viene definitivamente sancita l'estensione dei contratti collettivi a tutti i rapporti di lavoro (ne verranno stipulati circa seimila nei successivi quattro anni). La legge però aveva un difetto che porterà a gravissime conseguenze: la poca chiarezza a proposito dell'elettività delle cariche, questione che probabilmente Rocco aveva lasciata nel vago affinché i politici potessero decidere di volta in volta. Di fatto si optò quasi sempre per le nomine dall'alto: sarà uno dei motivi del fallimento del corporativismo, secondo Bottai.
All'inizio la principale attività fu una dura lotta di potere e competenza con svariati ministeri, in particolare quello dell'Economia. Bottai difendeva il principio per cui il suo doveva essere il ministero centrale dell'economia statale, principio che Mussolini non approvò mai, temendo che la formazione di una potente tecnocrazia economica finisse per nuocere al potere centrale.
Di fatto furono i vecchi ministeri economici che continuarono a condurre la politica economica del Paese. Ancora più dura fu, nel 1927, la lotta con Edmondo Rossoni, presidente della 'superconfederazione' dei sindacati dei lavoratori, che Bottai voleva dividere - logicamente, secondo il suo sistema - in sei distinte confederazioni. Così infatti avvenne, grazie all'appoggio del partito e di Mussolini che temevano un'organizzazione sindacale troppo potente.
La Carta del lavoro
Sono innumerevoli le leggi fatte promulgare da Bottai fra il 1926 e il 1932 nel tentativo di regolamentare il nuovo ordinamento ma l'iniziativa più importante fu la promulgazione della Carta del lavoro dell'aprile 1927, che contiene 'i principi del nuovo ordine'. La Carta è indissolubilmente legata al suo nome, anche se alcuni studi tendono a sminuire il ruolo che egli vi ebbe. Bottai cercò la collaborazione, nella stesura della Carta di tutte le forze economiche, ma le richieste degli industriali erano talmente discordanti da quelle delle altre confederazioni che si vide costretto a preparare due documenti di base secondo i diversi punti di vista. Nell'inviare le due stesure a Mussolini precisò di propendere decisamente verso il documento osteggiato dagli industriali, che comprendeva norme come 'Le fabbriche più importanti debbono impiegare una parte degli utili nella costruzione di case popolari destinate alle abitazioni degli operai'. Mussolini affidò a Rocco la fusione dei due documenti (e Rocco operò in senso sostanzialmente favorevole agli industriali), e successive modifiche vennero apportate dal segretario del partito Augusto Turati, dal ministro dell'Economia Giuseppe Belluzzo, da Mussolini e dallo stesso Bottai, che infine fu l'autore materiale dell'ultima stesura, con il suo stile lapidario e secco.
Figlia di tanti padri, la Carta del lavoro venne presentata come la massima espressione della grandiosità rivoluzionaria del fascismo e benché nessuno sapesse 'cosa' fosse legislativamente e che valore avesse, fu pubblicata sulla 'Gazzetta Ufficiale'.
Bottai molto azzardatamente ebbe a definirla 'non una antitesi, ma un superamento dei Diritti dell'Uomo' della rivoluzione francese perché pone in rilievo l'uguaglianza dei 'produttori e dei lavoratori' piuttosto che dei cittadini astratti e perché sancisce la 'supremazia assoluta della Nazione sui cittadini' piuttosto che quella di una casta sull'altra. Gaetano Salvemini, d'altro canto, la definì 'una raccolta di principi astratti, di proposizioni equivoche, di buone intenzioni e di parole prive di senso'. In effetti la Carta è, pur con i suoi tentativi rivoluzionari, la logica e inevitabile espressione di un regime dittatoriale di destra con tutte le relative conseguenze socioeconomiche: la Dichiarazione I suona: 'La nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori, per potenza e durata, a quelli degli individui isolati o raggruppati che la compongono. E una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato Fascista'. Secondo Bottai questa dichiarazione è anche 'la sintesi - e forse la più bella che sia stata fin'oggi creata - dell'Idea Fascista'.
Ma la Carta era anche un serio proposito, almeno teorico di migliorare le condizioni di vita e di lavoro in Italia, anche se non conteneva niente di rivoluzionario in questo senso, perché le norme di difesa dei lavoratori funzionavano già da tempo in molti Stati e perché certamente anche in Italia i governi liberali le avrebbero attuate come indispensabili all'evolversi dei tempi e alle necessità delle masse lavoratrici e della produzione. Purtroppo le nuove 'tavole' rimasero per lo più simboliche e inattuate, tanto che sette anni dopo Bottai ammetterà che nella Carta si enunciano 'dei principi che non trovano riscontro alcuno nella legislazione e nella prassi corporativa'.
Va rilevato d'altra parte che mancava da parte di Mussolini, la volontà di applicare fino in fondo i principi corporativi, per non attirarsi l'ostilità degli industriali e che proprio in quegli anni scoppiò la crisi economica del 1929. Il 20 maggio 1930, alla Camera, Bottai ammette che ci si trova di fronte a una grossa crisi, anche se di minore gravità di quella del '20, errore di prospettiva perdonabile se si considera che le conseguenze della crisi non si erano ancora del tutto estese all'Italia.
Un passo apparentemente decisivo nell'evolversi del sistema corporativo fu fatto il 21 aprile 1930 con l'inaugurazione del Consiglio nazionale delle Corporazioni, approvato dal Parlamento il 20 marzo. Il Consiglio era costituito da 124 membri, in rappresentanza delle corporazioni (in minoranza) e degli apparati statali. Il suo compito principale doveva essere quello di formare 'Norme per il regolamento dei rapporti economici collettivi fra le varie categorie della produzione', ovvero essere un vero e proprio Parlamento del lavoro. La discussione alla Camera fu straordinariamente aspra, molto più di quando si potrebbe pensare possibile in uno Stato dittatoriale, tanto che Bottai dichiarò, nel suo doppio trionfo (peraltro solo apparente) di revisionista e di corporativista: 'L'abbiamo invocata tante volte una sana critica fascista, e nel suo primo avvento, in una discussione talora aspra, sincera, viva, vi è qualcuno che ne è rimasto come turbato. Tutti, ma non io!'.
La chiave di volta della nuova legge era l'articolo 12, che consentiva al Consiglio di emanare norme per gli accordi economici collettivi. Ma in realtà il Consiglio ebbe pochissimi poteri, e durante il ministero Bottai poté prendere solo due accordi economici collettivi: uno per la disciplina del commercio del latte a Roma e uno, più importante, per gli agenti di assicurazione.
In definitiva, finirono per essere, a lunga scadenza, più importanti le attività scolastiche di Bottai, che dal 1930 iniziò l'insegnamento di Politica ed economia corporativa all'Università di Pisa e che lo stesso anno, sempre a Pisa, fondò la Scuola di perfezionamento di scienze corporative e la rivista 'Archivio di studi corporativi'. Successivamente fonderà, a Roma, la Scuola di perfezionamento in diritto sindacale e la Scuola di scienze corporative. Soprattutto la scuola di Pisa ebbe un ruolo notevole nel mondo dell'economia italiana e importante fu la sua attività all'estero: conferenze (in particolare quella alla Sorbona di Parigi) e partecipazioni ai lavori ginevrini del Congresso Internazionale del lavoro.
Ma ormai l'esperienza corporativa di Bottai era alla fine. Nel maggio 1932 organizzò a Ferrara un convegno di studi che dette scandalo per la libertà e la varietà di idee che vi furono espresse: in particolare, il filosofo Ugo Spirito propugnò una visione del corporativismo pericolosamente vicina a una concezione comunista. Bottai lo smentì ma alla fine del convegno emanò un 'ordine del giorno' che auspicava un'evoluzione del corporativismo in senso favorevole ai lavoratori. Poco più di due mesi dopo, il 20 luglio 1932, Mussolini lo destituì dal ministero.
Bottai era fortemente e giustamente sospettato di 'sinistrismo' dagli industriali. In particolare li osteggiò, proprio nel '32 nel dibattito sulla legge per i consorzi e nella legge sull'autorizzazione preventiva per l'impianto e l'ampliamento degli stabilimenti industriali. Mussolini volle ingraziarsi gli industriali in un momento in cui ne aveva particolare bisogno e sacrificò il giovane ministro.La delusione fu cocente per Bottai, che ufficialmente non si occupo più di corporativismo, ma che continuò a studiarlo e a seguirne il progressivo deterioramento, fino a scrivere, nel 1944, che 'La corporazione non è mai riuscita a nascere, strozzata alla gola dal cordone ombelicale che la legava al ventre della classe dominante' (lettera al figlio Bruno, del 10-15 aprile 1945).
Per alcuni anni fu defilato in incarichi marginali: prima come presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (1932-33), poi come governatore di Roma. Nel primo incarico svolse un pregevole ma oscuro lavoro per lo sviluppo delle assicurazioni sociali e delle strutture ospedaliere antitubercolosi. Nel secondo fu poco più di un esecutore delle decisioni urbanistiche già prese da Mussolini, ma fu rilevantissimo il suo apporto ai progetti per l'EUR con visioni urbanistiche d'avanguardia. Allo scoppio della guerra d'Etiopia si arruolò volontario fin dall'inizio ed ebbe anche incarichi di comando operativo (come maggiore dell'esercito comandò un battaglione di fanteria della divisione Sila). Pensava che la guerra coloniale concludesse la fase infantile del fascismo, e che una volta soddisfatti i miti espansionisti del Risorgimento, della vittoria mutilata e dei residui squadristi, si sarebbe potuta riprendere meglio l'opera di costruzione dello Stato. Invece rimase deluso sia dall'organizzazione dell'esercito (che a suo dire era peggiore di quella dello Stato liberale), sia dalla censura che Mussolini gli impose negli articoli dall'Africa.
Al ministero dell'Educazione nazionale
Al termine della guerra fu, come governatore di Roma, simbolicamente nominato anche governatore di Addis Abeba e, dal 15 novembre 1936, ministro dell'Educazione nazionale, ovvero della Pubblica istruzione.
Bottai si era sempre molto occupato dei giovani e affrontò l'incarico con entusiasmo e con spirito innovatore. Accettò volentieri, nel 1937, che l'Opera nazionale Balilla non dipendesse più dal suo ministero, in modo da limitare l'invasione della politica nelle attività didattiche, e nel 1939 emanò una seconda Carta, quella della Scuola, e una radicale riforma che stravolgeva quella di Giovanni Gentile del 1923. Introduce il lavoro manuale nelle scuole, riduce l'autonomia delle scuole private e ristruttura le scuole medie, unificandole parzialmente; inoltre dà maggiore importanza alla didattica e tenta di correggere l'impostazione classico umanistica tradizionale della scuola italiana in senso tecnico e scientifico. In complesso una riforma positiva tant'è che resistette fino alle soglie del '68.
Non esistendo ancora il ministero dei Beni culturali e quello per l'Ambiente il ministero di Bottai dovette occuparsi anche del piú glorioso patrimonio artistico del mondo e delle bellezze naturali italiane. Lo fece egregiamente con leggi molto avanzate (per esempio la fondazione dell'Istituto centrale di restauro e la legge sulla difesa del paesaggio tuttora in vigore).
Una grave ombra sulla vita politica di Bottai furono le disposizioni da lui date per escludere gli ebrei, sia insegnanti che alunni, dalle scuole italiane tra l'agosto e il settembre 1938. Quest'ombra è limitata solo in parte dalla constatazione che la sua rapidità nell'eseguire la politica razziale era dovuta semplicemente al suo efficientismo: l'anno scolastico doveva iniziare correttamente, e anche gli ebrei dovevano avere le loro scuole. In realtà, personalmente, Bottai non era razzista e continuò ad avere amicizie con ebrei, e protesse anche ebrei sconosciuti ogni volta che poté.
Molto meritevole fu invece, in quegli anni, la sua attività di protettore della cultura: le nomine per chiara fama di professori universitari quali Quasimodo, Pratolini, Ungaretti, Guttuso, Carrà, Rosai, Manzù, Malipiero. E la fondazione di 'Primato' la rivista di lettere e arti (1940-1945) che promosse una cultura sgradita al regime e protesse ogni tipo di intellettuali, anche palesemente avversi.
Era ostile anche all'alleanza con la Germania (fin dal 1934 scrisse una relazione in tale senso a Mussolini) e la sua opera tese soprattutto a non far prevalere la cultura tedesca su quella latina, in modo che l'Italia potesse, se non altro, avere la guida culturale e ideologica dell'alleanza.
Il distacco psicologico di Bottai dal regime Mussolini, se non dal fascismo, è ormai evidente anche se la speranza di un prossimo mutamento e l'impossibilità di altri sbocchi politici lo congelano nell'attesa, rotta talvolta da episodi di insofferenza. Il più clamoroso si svolse il giorno dell'inaugurazione della nuova Camera dei fasci e delle corporazioni, il 23 marzo 1939. All'inaugurazione doveva presenziare il re ma Mussolini, in dispetto alla corona, dette disposizione a Starace che i 'consiglieri nazionali', cioè i deputati, partecipassero alla seduta con le decorazioni militari e quelle di partito, ma non con quelle monarchiche. Un gravissimo sgarbo, che voleva manifestare la fascistizzazione integrale della Camera contro un Senato tradizionalmente monarchico. Solo due gerarchi si opposero, Balbo e Bottai, quando si presentò all'ingresso centrale della Camera con i suoi verdi nastri mauriziani e quelli verdi e bianchi della corona d'Italia.
Contrario alla guerra, nel '40 passò poco tempo sul fronte francese; nel '41 fu su quello albanese dove fu spedito d'ufficio da Mussolini, in un modo che lo ferì molto. Fu l'unico gerarca, fra i tanti inviati sul fronte albanese, che prese il comando effettivo delle sue truppe e combatté, ma fu proprio durante la guerra d'Albania che nacque la sua crisi più profonda nei confronti di Mussolini e del fascismo quale si era andato attuando.
Dopo l'inaspettata destituzione dal ministero dell'Educazione nazionale, nel febbraio 1943, comincia a impostare programmi per il dopoguerra: si assicura la gestione di un quotidiano di Roma ('L'Italia', poi divenuto 'Il Tempo') aumenta fino al massimo possibile e anche oltre la critica politica contenuta nelle sue riviste, e chiede invano di essere preposto all'IRI, cioè all'organo tecnico cui sarebbe spettata la ricostruzione economica. Fu il più tenace sostenitore dell'ordine del giorno Grandi, che in buona parte stese materialmente. I suoi interventi nella seduta del 24-25 luglio 1943, furono determinanti, anche per il prestigio di cui godeva in Gran Consiglio.
Dopo la caduta del regime si mise da parte, ma il 27 agosto 1943, Badoglio lo fece improvvisamente imprigionare a Regina Coeli, dove si trovava ancora quando i tedeschi occuparono Roma. Liberato all'ultimo momento, il 13 settembre, dal capo della polizia Carmine Senise, braccato da fascisti e tedeschi, condannato a morte dalla RSI e all'ergastolo dal Regno d'Italia, si salvò passando di nascondiglio in nascondiglio, grazie anche alla protezione del Vaticano, grato per il ruolo svolto da Bottai nel tentativo di sostituire, nella scuola e nella società italiana, all'idealismo gentiliano uno spirito decisamente cattolico.
In questo periodo Bottai aderisce completamente alla religione cattolica e si abbandona a un desiderio di 'espiazione del male che pure ho commesso'. 'Io espio quel difetto di vigore critico e di rigore morale che mi ha impedito di oppormi con efficacia alla degenerazione del fascismo' scrisse nella citata lettera al figlio Bruno. Dopo l'arrivo degli alleati a Roma si arruola come soldato semplice nella Legione straniera e - cinquantenne - combatte contro i tedeschi in Francia e in Germania, viene promosso sul campo caporale e sergente.
Dopo quattro anni di ferma, nel '48 torna in Italia. Rifiuta di riprendere l'attività politica e l'insegnamento universitario ma fonda la rivista 'abc' e assume la direzione-ombra del quotidiano filodemocristiano 'Il Popolo di Roma', ma rifiuta di riconoscersi in qualsiasi partito tanto meno quello missino - e vagheggia un incontro tra forze cattoliche, sinistra e 'buoni conservatori'. Nel 1955 venne colpito dal morbo di Parkinson e morì a Roma all'inizio del 1959, a 63 anni.
Riconosciuto oggi come una delle personalità più diritte, fattive e intelligenti espresse dal fascismo, di Bottai restano soprattutto gli importantissimi Diari (1935-1944 e 1944-1948), documenti fondamentali per capire la recente storia d'Italia.