È finita l'età della pietà
Pier Paolo Pasolini ha scontato con la morte, atroce contrappasso, a soli cinquantatré anni, la presunta ignavia dei ragazzi, la «paurosa» assenza di creatività, di inizialità, che ha nell'appiattimento del linguaggio (un balbettio informe e uniforme) uno dei risultati più orrendi e inaccettabili per il poeta.
L?autore di questo volume ha oggi cinquantatré anni e poteva essere uno di quegli adolescenti della prima metà degli anni Settanta del secolo scorso investiti dalle furiose, disperate, invettive dello scrittore corsaro e luterano.
Ricostruendo il clima di quell'ottobre del 1975, quando lo stupro e il delitto del Circeo ebbero luogo, e poi con Italo Calvino e Stanislao Nievo - in un suo intervento giornalistico e in un momento significativo del romanzo Aurora, ambientato sul Monte di Circe tra attualità e richiami mitici - l?autore ridà la parola alla letteratura, con le sue istanze e i suoi enigmi. È giunto per lui il momento personale e storico di confrontarsi con i pesanti giudizi del poeta corsaro su quella generazione e su un fenomeno, quello della criminalità giovanile, inevitabile negli anni, nei mesi, nei giorni in cui si compiva in modo definitivo un processo storico.
In appendice una riflessione su Italo Calvino e l'energia «nel momento dell'attacco».