La cultura si mangia!
Parma
: Guanda
, 2013
174 pp.
ISBN: 978-88-235-0490-5
€ 12,00
«Il mondo non mangia finanza, mangia cultura. E non da ieri. Lo dicono i numeri, lo gridano i risultati dei programmi che finanziano creatività e ricercain tutti i Paesi. Tutti, tranne l'Italia. Ma i nostri economisti, i nostri politici, i nostri intellettuali perché non se ne accorgono? Ci sono o ci fanno?».
In questo pamphlet Bruno Arpaia e Pietro Greco sfatano i luoghi comuni sulla cultura e sulla sua incidenza nell'economia. E demoliscono la famosa affermazione di Tremonti che nel 2010 affermò che con la cultura non si mangia. Concetto ripetuto da molti, a destra e a sinistra, economisti e politici, industriali e perfino qualche intellettuale. E i tagli da parte dei vari governi che si sono succeduti non hanno risparmiato nessuno.
La cultura sarebbe invece l'unico fattore in grado di farci uscire dalla crisi, di sbloccare la stagnante società italiana, di aprirla all'innovazione e di ritrovare la via della crescita. È già stato così, ai tempi del New Deal, quando intellettuali e uomini di cultura vennero coinvolti in massa nel «grande disegno». Oggi, con le nuove tecnologie informatiche, questo è ancora più vero. Più investimenti in cultura, ma meglio mirati, senza sprechi o clientele, potrebbero far entrare finalmente a pieno titolo l'Italia nella «società della conoscenza», dove scienza e arte, tecnologia e studi umanistici formano un unicum che produce valore economico e sociale.
In questo pamphlet Bruno Arpaia e Pietro Greco sfatano i luoghi comuni sulla cultura e sulla sua incidenza nell'economia. E demoliscono la famosa affermazione di Tremonti che nel 2010 affermò che con la cultura non si mangia. Concetto ripetuto da molti, a destra e a sinistra, economisti e politici, industriali e perfino qualche intellettuale. E i tagli da parte dei vari governi che si sono succeduti non hanno risparmiato nessuno.
La cultura sarebbe invece l'unico fattore in grado di farci uscire dalla crisi, di sbloccare la stagnante società italiana, di aprirla all'innovazione e di ritrovare la via della crescita. È già stato così, ai tempi del New Deal, quando intellettuali e uomini di cultura vennero coinvolti in massa nel «grande disegno». Oggi, con le nuove tecnologie informatiche, questo è ancora più vero. Più investimenti in cultura, ma meglio mirati, senza sprechi o clientele, potrebbero far entrare finalmente a pieno titolo l'Italia nella «società della conoscenza», dove scienza e arte, tecnologia e studi umanistici formano un unicum che produce valore economico e sociale.
collana
Le Fenici rosse