Milan Kundera – Cosa si deve dedurre, che Kundera non va?

 

Forse non tutti sanno che…

Quando alla metà degli anni ottanta l’Adelphi di Roberto Calasso pubblica L’insostenibile leggerezza dell’essere, uno dei più grandi successi editoriali italiani ed europei, consacrando Milan Kundera a una popolarità inarrestabile, in realtà l’autore ceco aveva già fatto la sua comparsa in Italia, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, pubblicato da Mondadori (Lo scherzo, La vita è altrove e Amori ridicoli) e poi da Bompiani (Il valzer degli addii, Il libro del riso e dell’oblio).

Dietro la vicenda mondadoriana c’è proprio Oreste del Buono, sulla cui scrivania arriva in visione, nell’ottobre 1968, la traduzione francese di un romanzo, Lo scherzo, di un autore ceco non ancora noto in Occidente, che si era già assicurato un posto nella letteratura del suo paese con poesie, un saggio (L’arte del romanzo) e una raccolta di racconti (Amori ridicoli).

Il romanzo viene proposto da Erich Linder, che, stufo dei temporeggiamenti di Feltrinelli, chiede perciò in Mondadori di decidere a stretto giro.

Il libro, pubblicato in Germania e in Francia (da Gallimard con prefazione di Aragon), viene dato in lettura a Emilio Picco (per il tedesco) e a OdB (per il francese). Le due letture contrastano ampiamente. Se il primo stronca il romanzo senza mezzi termini, il parere del secondo va in direzione contraria. Per il nostro è un tentativo di ripresa romanzesca di successo, in cui l’ideologia qui si esprime per mezzo della narrativa, mettendosene addirittura al servizio. Così: «Questo romanzo ci offre alcune delle più convincenti e fresche scene d’amore che abbiamo letto negli ultimi dieci, vent’anni» e insieme riesce a dare uno squarcio inedito di «vita sociale (e socialista)».

 

Due letture con conclusioni contrastanti, ma alla fine Sereni decide di puntare sul parere di del Buono.

Nonostante le difficoltà tecniche di traduzione, che si sommano alla tempestività di pubblicazione e all’anticipo troppo alto richiesti da Linder, il romanzo viene pubblicato nel 1969 nella collana «Scrittori italiani e stranieri».

Un anno dopo, la prima edizione in Italia ha venduto 3.000 copie, a fronte delle 30.000 in Francia…

Due anni dopo, la seconda edizione: su una tiratura di 1.650, copie giacenti 1.938…

«Cosa si deve dedurre, che Kundera non va?» si chiede OdB, e risponde: «E, invece, Kundera è un buono scrittore». In questo parere del 1971, che potete leggere qui, chiamato a esprimersi sulla pubblicazione della raccolta di racconti Amori ridicoli, «abbastanza lunghetti senz’altro buoni», è evidente che non è di questo che intende discutere, ciò che più gli preme è comunicare la spiegazione che si è dato sul perché un autore da lui ritenuto valido non avesse ottenuto fortuna, passando quasi inosservato. Imputa l’insuccesso della seconda edizione di Lo scherzo, che di fatto fa di Kundera un autore invenduto, a un ritardo: «Undici mesi tra un’edizione e l’altra, nel caso di un autore esordiente o non particolarmente affermato sul mercato italiano, sono troppi». E invita a ripensare la strategia: se si decide di pubblicare i racconti, «piacevoli, ma non indispensabili», non è su quelli che bisogna puntare (vista la scarsa fortuna alla quale vanno incontro di solito da noi le raccolte di racconti), ma l’unico modo per rilanciare Kundera è rilanciare Lo scherzo «oltre la scaduta realtà cecoslovacca».

Una polemica sentita, tanto che la intreccia per analogia alla sua vicenda personale di autore, con il riferimento alla seconda edizione della raccolta di racconti La terza persona (pubblicata in prima edizione nel 1965, nella collana «Narratori italiani») sentita come imposta e tardiva, andata incontro al macero.

Opinione condivisa con Vittorio Sereni, il quale riconosce l’errore con Kundera, ma lo imputa a una tiratura limitata della prima edizione, e a «un’implicita mancanza di fiducia nel titolo», convenendo comunque sul fatto che non si era fatto abbastanza per lanciarlo.

Amori ridicoli sarà pubblicato nel 1973, seguito dal romanzo La vita è altrove nel 1976.

Poi Kundera passò a Bompiani.

Fine della storia? Non proprio, c’è bisogno di una chiusura a effetto con citazione commossa.

OdB sarà senz’altro tornato più volte su Kundera, ma citare l’intervento sulla rivista «Wimbledon. La gente che legge» ci sembra un modo coerente per chiudere il cerchio e per confermare quanto scritto sinora:

«Kundera è un narratore eccezionale […] perché non accetta la narrativa come un corpo di prescrizioni e di norme da rispettare pedissequamente o da sovvertire terroristicamente per vedere l’effetto che fa, ma come un grande mezzo senza limiti per ricreare la vita. In sé e per sé il mezzo non può avere limiti. I limiti sono del narratore. Ma Kundera lotta per abbattere un limite dopo l’altro […] tirando dentro la fatica stessa nel divertimento e nello stupore di annettere alla narrativa sempre nuovi territori».

(Oreste del Buono, Pronto, c’è Agnès? Qui parla Rubens…, in «Wimbledon», marzo 1990, relativamente al romanzo L’immortalità).

 

 

 

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