Nessun limite per la letteratura disegnata

Sembrava che il limite del fumetto fosse quello di raccontare la cronaca. Non è così. È il caso di Palestina di Joe Sacco che, con uno stile in bilico tra realismo e caricatura, racconta la vita e i tormenti della Terra Santa tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992. Ed è anche il caso di Will Eisner che in Le regole del gioco illustra con mano ferma e fresca cosa abbia significato il matrimonio nel mondo nuovaiorchese dalla fine del secolo scorso. O ancora del giapponese Takumi Nagayasu che narra la vicenda personale di Poppoya il ferroviere nella lenta distruzione dellafelicità propria e della propria famiglia.
 
Sembrava davvero che un limite del fumetto (che è linguaggio, non genere) fosse quello di raccontare la cronaca. Compito solitamente affidato alla vignetta satirica, fumetto sui generis che però quando ci riesce commenta, non racconta. Il fumetto è prodotto di lunga, laboriosa produzione, come il cartone animato e talvolta ancor più del cinema: quando si arriva a finire l’opera, i tempi, le notizie, i fatti del mondo sono belli che cambiati. Così si diceva. E invece non è vero, e non solo perché certi conflitti durano cento e più anni. Lo dimostra Palestina di Joe Sacco, un accurato reportage di due mesi vissuti tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 (la pubblicazione è iniziata l’anno successivo) in quella che il Papa chiama Terra Santa e che siamo soliti conoscere per le terribili immagini del telegiornale che seguono lo scoppio di qualche ordigno. Con uno stile assai personale, in equilibrio tra il realismo e il caricaturale, l’americano Joe Sacco racconta la vita, i tormenti, le violenze nascoste che scatenano le tragedie pubbliche. Qualche volta le didascalie si dilungano per spiegare, precisare, o per registrare le voci dei diversi protagonisti che si avvicendano in questa narrazione soggettivamente oggettiva. Ma i disegni determinano sempre con efficacia il campo d’azione, scenografico e psicologico, costruendo uno splendido equilibrio fumettistico. E a tutto questo va aggiunto lo straordinario potere comunicativo di un sincero, autentico coinvolgimento.
C’è un americano di ottantacinque anni, un maestro del fumetto, che ancora si diletta a scrivere e disegnare comic-book (come dire romanzo a fumetti, la produzione più alta del genere). Figlio di ebrei emigrati a Brooklyn, cominciò giovanissimo a disegnare fumetti e già a ventidue anni creò il personaggio, The Spirit, un supereroe sui generis, che lo ha reso famoso. Da quando è entrato nella terza età Will Eisner ha pensato bene di inventare quello che si può definire un nuovo genere di fumetto, che racconta il trascorrere delle generazioni e delle epoche: veri Buddenbrook disegnati. In questi anni Eisner ha raccontato storie di palazzi (Il palazzo, appunto) o di strade (Dropsie Avenue), mescolando l’umorismo alla tragedia, e fornendo un quadro suggestivo del rapporto tra uomo e ambiente, cultura, tempo. I suoi personaggi sono del tutto realistici e credibili ma, fatto quasi unico nel panorama fumettistico, non acquistano mai reale consistenza perché il vero padrone di queste storie è proprio il signor Tempo, che prima o poi inghiotte tutti, ricchi e avidi avvocati, giovani cantanti che aspirano al successo, mamme frustrate, padri ubriaconi, figli in attesa dell’ amore, poeti, banchieri, barboni. La sua ultima fatica, Le regole del gioco, è un altro splendido lavoro del maestro, la cui età si scopre solo nello stile narrativo e grafico. Per il resto la sua mano è ferma e fresca, sempre in grado di far recitare i suoi personaggi coinvolgendoci ma senza mai farcene innamorare (è così bravo da mostrare perfino il loro desiderio di nascondere le proprie emozioni). Questa volta racconta cosa ha rappresentato il matrimonio nel mondo nuovaiorchese dalla fine del secolo scorso, attraverso le vicende di tre famiglie discendenti da immigrati ebrei, accomunate dalla lotta per il benessere e il prestigio sociale. Ma attenzione: Eisner non intende affatto, come spesso fanno le persone anziane, raccontarci il suo tempo per adagiarsi nei ricordi e affermare che quello era molto meglio dell’attuale. Tutt’altro. Eisner vuole usare le sue storie come monito. Nella sua introduzione è chiarissimo: «Ai lettori più anziani gli argomenti di questo libro risulteranno senza dubbio familiari ma coloro a cui dedico Le regole del gioco sono i lettori più giovani, che stanno per affrontare questo gioco in prima persona».
Sono i manga, i fumetti giapponesi, il grande fenomeno editoriale della letteratura disegnata. il più popolare è Dragonball, le cui vendite spaziano intorno alle ottantamila copie, ma si attestano su vendite buone anche molti altri personaggi, di varia qualità. Molti manga sono stampati, per volontà dell’editore originale, senza che venga capovolta la pagina, e dunque imponendo la lettura dalla nostra ultima pagina verso la prima, e, nella pagina stessa, da destra a sinistra. I fumetti giapponesi hanno spesso nella dinamicità delle azioni il loro punto di forza, e hanno la particolarità di inserire scene comiche all’interno di un’azione fortemente drammatica. Poppoya il ferroviere dimostra però come il fumetto giapponese possa essere anche tutt’altro. Questo volumetto, pubblicato da Planet Manga con la lettura occidentale, propone la trasposizione a fumetti di un romanzo di grande successo scritto da Jiro Asada, venduto in più di un milione di copie e diventato anche un film. Racconta la vicenda tipicamente nipponica di un ferroviere così attaccato al proprio lavoro e alla rigida disciplina che ne scandisce i diversi momenti nell’arco della giornata, da distruggere la propria felicità e quella della propria famiglia. Nelle sue ultime ore di vita lo seguiamo mentre cerca di dare un senso a tutto quello che ha causato e vissuto, eroica vittima di un’educazione che non lascia scampo. Ma questa è solo una possibile interpretazione perché di fronte a questa storia ci si può anche commuovere sic et simpliciter. Si tratta, ripetiamo, di un’opera popolare dalle facili suggestioni emotive. Il racconto a fumetti di Takumi Nagayasu (che mai ha incontrato l’autore Asada) è comunque meraviglioso, le immagini scorrono lente, disegnate con grande cura e maestria e con una partecipazione emotiva assolutamente sincera. Pochissime le scene in movimento, nessun intermezzo comico. Interessantissima anche la storia breve che conclude il volume e che racconta come Goro, giovane yakuza senza scrupoli, si innamori della prostituta che, per i suoi traffici, ha sposato senza conoscere. In fondo anche Shakespeare narrava trame da «Grand Hotel».