Successo dalle proporzioni colossali e dalla diffusione planetaria, Harry Potter ha riportato in auge un personaggio fortemente letterario e ha determinato un inatteso rilancio della lettura come esperienza collettivamente condivisa da grandi e piccini. L’universo del giovane mago, costruito su un abile miscuglio di fantasy e di poliziesco, di horror e di mistery (e persino di romanzo di formazione), è un mondo al tempo stesso strepitosamente eccezionale e ingenuamente normale: Harry Potter è si un bambino dotato di poteri magici, ma è anche uno studente come tanti, per giunta un po’ ribelle, alle prese con i problemi e i conflitti della preadolescenza.
Esempio eccezionale di successo mondiale, il caso di Harry Potter rappresenta un fenomeno imprevisto di rilancio dell’immaginario romanzesco e di promozione della lettura tra le giovani e giovanissime generazioni. La Rowling attua un’operazione originale di sincretismo dei generi, spaziando dal fantasy al romanzo poliziesco ma soprattutto gioca sull’effetto di distanza e riavvicinamento. Ne risulta la creazione di un mondo favolosamente distante ma anche emotivamente vicino al lettore che vi riconosce problematiche affettive e relazionali accattivanti.
Che nell’era multimediale un personaggio letterario torni a essere protagonista dell’immaginario infantile è un fatto davvero sorprendente. Eppure il caso di Harry Potter, il personaggio creato dalla penna della scrittrice scozzese Joanne K. Rowling, presenta non pochi tratti di eccezionalità quasi paradossale: innanzi tutto si tratta di un successo dalle proporzioni colossali (cento milioni di copie in tutto il mondo) e dalla diffusione planetaria (i romanzi della saga sono stati tradotti in 42 lingue), che ha portato a una ribalta imprevista una scrittrice sino a poco tempo fa sconosciuta e squattrinata. Di più: la fortuna delle storie dedicate al piccolo mago ha significato un rilancio inatteso della lettura come esperienza collettivamente condivisa che non solo dà vita a una comunità mondiale di lettori uniti dalla passione per le avventure del piccolo apprendista stregone ma ristabilisce, persino, i contatti tra le generazioni, conquistando grandi e piccini. E tutto ciò non in virtù della proposta di un immaginario tecnologico, robotizzato e telematico, avventatamente considerato il dominio privilegiato dei ragazzi del terzo millennio, ma attraverso l’evocazione di un mondo fantastico, dai tratti goticheggianti e premoderni, quale è quello di Hogwarts, la prestigiosa scuola di magia frequentata da Harry Potter.
Certo a un esame più attento e documentato i connotati di imprevedibilità sorprendente e di procreazione spontanea del fenomeno Harry Potter possono anche sfumare, per lasciar emergere le tracce di un’operazione promozionale organizzata sapientemente su scala mondiale e attuata dalle case editrici nazionali, in Italia, come è noto, la Salani, che si sono impegnate a lanciare i romanzi della Rowling nei rispettivi paesi. Ecco che, ad esempio, l’immagine di un’autrice quasi sorpresa dal successo inatteso può anche apparire abilmente studiata, se la Rowling ha già preso accordi per la prossima pubblicazione di una biografia, rivelandosi capace di gestire la propria immagine, aduggiata, peraltro, dalle recenti accuse di plagio. La sua creatura, Harry Potter, nasce come personaggio letterario, anzi innesca un’operazione di rilancio dell’immaginario romanzesco ma è anche disponibile a conversioni multimediali: è infatti diventata protagonista di un film prodotto dalla Warner Bros e ispirato ai primi due romanzi della saga, Harry Potter e la pietra filosofale e Harry Potter e la camera dei segreti; è già, inoltre, un personaggio nella rete, come testimoniano oltre che i siti predisposti dagli editori anche il proliferare spontaneo dei siti di web-fan del piccolo mago. Insomma siamo di fronte a una combinazione ambigua e suggestiva tra promozione organizzata e mobilitazione spontanea di lettori e sostenitori del nuovo fantasy. Ne sono una riprova le numerose iniziative proposte in molte città italiane in occasione dell’uscita nelle nostre librerie di Harry Potter e il calice di fuoco, dalle Potterfest in sintonia con il clima della saga ai laboratori creativi e alle letture pubbliche. Persino il mondo della scuola ha ceduto al fascino del piccolo mago che non ha mancato di ispirare progetti didattici di promozione della lettura. Non capita spesso agli insegnanti, del resto, l’opportunità di sfruttare le suggestioni di una lettura che finalmente piace, anzi conquista e travolge, provocando code in libreria come da tempo non accadeva. Non per nulla Il calice di fuoco è stato distribuito nelle librerie italiane con una tiratura iniziale di 300.000 copie che si sono subito aggiunte alle 700.000 vendute dai tre romanzi precedenti della saga. Segno evidente che i libri di Harry Potter sono qualcosa di più che una lettura di intrattenimento piacevole, piuttosto rappresentano la chiave di accesso a un mondo straordinario e coinvolgente, popolato di personaggi, animali e oggetti fantastici. Un universo godibile individualmente ma anche condivisibile attraverso la manifestazione di passioni collettive. La varietà degli ingredienti che compongono l’universo magico di Harry Potter ci riporta, in realtà, a un’operazione di vero e proprio sincretismo di generi che fa della Rowling l’ideatrice di una sorta di fantasy postmoderno. La storia di Harry Potter, che inizia quando il protagonista undicenne, orfano e ospite mal tollerato di zii materni, riceve l’invito a frequentare la scuola di Hogwarts, prestigiosa accademia di magia, è, senza dubbio, un racconto di formazione, impegnato a descrivere le tappe del processo di crescita del personaggio dalla preadolescenza all’insorgere dei primi turbamenti adolescenziali. Harry Potter, tuttavia, non è solo un soggetto in crescita, è anche un eroe segnato da un destino singolare: è un «prescelto», una sorta di Siddharta della magia, dal momento che i suoi innati poteri gli hanno permesso di sopravvivere miracolosamente, nella tenera infanzia, all’impeto distruttivo di Voldemort, l’innominabile signore oscuro, assassino dei suoi genitori.
L’antefatto nero della storia del piccolo mago ne segna il destino, determinando una sovrapposizione di funzioni adatta a predisporre una complessa strategia testuale. Se la natura di «prescelto» rassicura il lettore circa l’esito della lotta sostenuta dall’eroe, da un’avventura all’altra, contro le forze del male, il suo configurarsi come soggetto in crescita fa scattare meccanismi inevitabili di identificazione. In effetti Harry Potter è segnato da un destino eccezionale, di cui è emblema la cicatrice sulla fronte, ma non è un primo della classe, anzi ammette, ingenuamente, al suo ingresso nella scuola di Hogwarts, di non sapere «nulla di magia»: è antipatico ad alcuni professori, non fa sempre i compiti, non è un ribelle ma non esita, se necessario, a trasgredire le regole. Possiede doti magiche innate ma le scopre a poco a poco e le coniuga con l’intelligenza e il buon senso: è un mago apprendista, un detective in erba ma anche uno studente come tanti, alle prese con i problemi e i conflitti della preadolescenza.
Adottando quasi sistematicamente il punto di vista del personaggio e riservando al narratore onnisciente il compito di redigere brevi note di regia, utili a fornire notizie su luoghi e personaggi al lettore occasionale della serie potteriana, la Rowling realizza un procedimento abile che distanzia e insieme riavvicina il protagonista al lettore.
Una tecnica analoga presiede alla costruzione del mondo magico evocato dai romanzi, altra traccia rivelatrice, peraltro, della vocazione sincretistica dell’autrice. La Rowling dà vita a una vera e propria saga della letteratura di genere, innescando nella tradizione del fantasy elementi del racconto poliziesco, delle storie del mistero e dell’horror vero e proprio. Dalla tradizione del fantasy europeo e sono stati fatti in proposito nomi illustri, da Tolkien a Barrie la Rowling deriva il gusto per l’evocazione di un universo distante, magico e favoloso, scenario dell’eterna lotta tra bene e male. Un mondo lontano dall’orizzonte tecnologico della società postindustriale, un universo in cui i gufi portano la posta, i manici di scopa si librano in volo, gli edifici sono dotati di cunicoli, torri, botole e passaggi segreti, le foreste sono abitate da mostri e animali fantastici. Eppure la distanza in cui questo mondo viene proiettato può essere abilmente accorciata grazie al sovrapporsi di una duplice operazione prospettica. Innanzi tutto l’ottica straniata dell’universo magico di Hogwarts consente, per contrasto, la raffigurazione ironica della realtà ordinaria, il cosiddetto mondo dei «babbani», secondo la terminologia speciale coniata dalla Rowling: una società squallida e inautentica, composta di adulti gretti e ottusi che allevano bambini obesi e viziati, schiavi della televisione e dei videogiochi. La rappresentazione critica di tale realtà, ispirata forse alla vena ironica e paradossale di certa letteratura anglosassone per l’infanzia, da Roald Dahl a Philip Ridley, non è la sola tecnica che il racconto adotta per riaccostarsi all’orizzonte del lettore. L’autrice utilizza un’ulteriore strategia, più immediatamente coinvolgente: fa in modo che lo scenario magico evocato abbia anche i tratti di una realtà emotivamente vicina all’esperienza del piccolo lettore.
Nella comunità di Hogwarts il pubblico infantile riconosce, infatti, un universo familiare: il mondo della scuola, la cui in tensa vita di relazione si esplica scandita dal ritmo naturale del succedersi degli anni scolastici, tra lezioni, periodi di vacanza, attività ricreative ed esami conclusivi.
La trama poliziesca funge sì da elemento strutturante dei vari romanzi della saga potteriana ma è anche diluita nell’impianto di una narrazione a episodi, che descrive eventi e personaggi di ciascun anno scolastico. Al processo di distanziamento e di riavvicinamento che presiede all’evocazione dello spazio magico corrisponde poi un analogo movimento binario sull’asse dell’intreccio, su cui si alternano procedimenti di concentrazione e di dispersione.
L’azione narrativa non si sviluppa secondo un ritmo veloce e avvincente ma risulta, piuttosto, continuamente rallentata dall’innesto di episodi secondari, in cui si esprime efficacemente l’estro inventivo della Rowling. L’autrice attinge, infatti, al repertorio magico-meraviglioso tradizionale, di cui riprende i personaggi e gli oggetti tipici, maghi, streghe, gnomi, bacchette e manici di scopa, ma lo arricchisce anche con un patrimonio inesauribile di trovate originali, dalle Strillettere alle gelatine Tuttigusti, dagli animaghi agli Schiopodi Sparacoda. Il pullulare continuo di invenzioni sembra quasi alimentare una sorta di manierismo fantasy, in cui ogni spazio tende a essere saturato. Ne risulta un universo pervasivo e avvolgente, da cui, come è stato detto, «il lettore non vorrebbe mai uscire». Forse perché vi si può aggirare leggendo, lasciandosi ora catturare dall’azione principale, ora distrarre dalla miriade di trovate secondarie. Può, dunque, trovar credito l’ipotesi che l’universo distante e premoderno di Hogwarts sia fruibile attraverso meccanismi percettivi tutt’altro che obsoleti, anzi più che familiari ai giovani «navigatori» della rete.
Del resto, il ritmo binario, che alterna dispersione e concentrazione di motivi, permette alla trama di organizzarsi attorno a due nuclei tematici distinti ma entrambi significativi: da una parte il motivo dell’incombere minaccioso delle forze del male, dall’altra il resoconto della vita di una comunità scolastica, dimensione privilegiata della socialità. Ma è proprio in tale dimensione che il giovane eroe della Rowling fa misurare la sua distanza dai piccoli protagonisti «alla deriva» della recente letteratura per l’infanzia. Harry Potter non ne condivide a pieno la condizione di solitudine e marginalità: è isolato e «diverso» nel mondo dei «babbani», ma, una volta approdato a Hogwarts, non è più solo. Svolge indubbiamente un ruolo di protagonismo rilevato, marcato dalla sua natura di «prescelto», ma può contare su una squadra, composta in primo luogo dagli amici fidati, Ron e Hermione, che lo affiancano attivamente nella soluzione dei misteri in cui si trova coinvolto. Certo il terzetto sembra ricalcare il topos del detective accompagnato da fedeli collaboratori caro a certa tradizione giallistica, ma vale anche a ridimensionare la figura del protagonista, riportandone il destino avventuroso al livello di una condivisione solidale di esperienze rischiose. Un altro aspetto, inoltre, sottolinea uno scarto ulteriore rispetto alle linee di tendenza emergenti dell’attuale letteratura per ragazzi: Harry Potter si muove sì, come capita secondo Stephen King a tanti altri personaggi di storie per l’infanzia, in un mondo di adulti privi di immaginazione e spesso sgradevoli ma, tra gli orrendi zii «babbani» e le caricature grottesche di maghi docenti, noiosi, vendicativi e ciarlatani, riconosce anche alcune figure autorevoli. Nella comunità di Hogwarts campeggiano, infatti, le due figure carismatiche della professoressa McGranitt, responsabile della casa del Grifondoro, e del preside Albus Silente, entrambe chiamate a svolgere un ruolo protettivo nei confronti del piccolo mago. Nel personaggio del preside risultano proiettati tratti riconoscibili della figura paterna, che lo autorizzano a fornire al giovane allievo la chiave di lettura del suo destino. «Sono le scelte che noi facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto di più delle nostre capacità» dice Silente a Harry Potter, spaventato in più di un’occasione dalle affinità che lo legano al malvagio Voldemort, suo eterno rivale. E se il problema del male come forza oscura e intimamente insopprimibile diviene assillante nei due ultimi romanzi della saga, Il prigioniero di Azkaban e Il calice di fuoco, ispirati a un gusto «dark» più marcato, rilutta però, nell’ottica del giudizio illuminante di Silente, a configurarsi nella prospettiva di un determinismo fatalistico. Harry Potter, per quanto condizionato dal destino di «prescelto», è un eroe della volontà fiduciosa e del libero arbitrio, forse per questo accolto con maggiore indulgenza dal mondo cattolico che dagli educatori di fede protestante. Non è protagonista di un’evasione in un’«isola che non c’è»: è integrato in una comunità strutturata, percorsa anche da inquietudini e tensioni, ma sufficientemente coesa attorno ad alcune figure affettuosamente autorevoli. Vero è che a rendere tenace tale coesione contribuisce anche la condivisione di una condizione chiusa e separata.
La scuola di Hogwarts è, in fondo, un collegio, sia pure stravagante, con regole e gerarchie stabilite nonché riconosciute da allievi e docenti. Se ne potrebbe dedurre la conclusione che la magia travolgente di Harry Potter, capace di conquistare il consenso di ragazzi di tutto il mondo, ricorre poi a una formula semplice: si avvale dell’appello al meraviglioso per trasformare il collegio in un luogo fantastico, entro cui tentare di ricomporre le dinamiche relazionali tra i bambini e ridefinire i ruoli adulti. E viene voglia di aggiungere, pertanto, che Harry Potter è sì un successo mondiale ma lascia trapelare pur sempre l’origine anglosassone.