Tra novità nei modi di distribuzione e di consumo e nuove preoccupazioni a livello tematico-stilistico, il romanzo erotico italiano, ad appannaggio quasi esclusivo di narratrici (autori di sesso maschile se ne contano pochi), si sta avviando verso un deciso processo di rielaborazione e legittimazione letteraria.
Le prime sono state Almudena Grandes e Alina Reyes, di poco anticipate dalla più letteraria Angela Carter. Poi è stata l’alluvione: autrici cerebrali come Helen Zahavi o Elfriede Jelinek, robuste narratrici prestate al genere come Régine Deforges, intere antologie tematico-geografiche (da sesso e alieni a sesso e terrore, ai racconti erotici spagnoli o afroamericani). Infine si sono aggiunte le italiane, un po’ in ordine sparso, per lo più senza una vocazione esclusiva per il genere: dall’umorismo giovanilista di Rossana Campo, al thriller SIM di Claudia Salvatori con le eccezioni di tutto sesso solo sesso di Una Chi e Melanie Moore, fino all’antologia curata da Maria Rosa Cutrufelli La città proibita.
La nuova stagione del romanzo erotico inizia con i primi anni Ottanta e si connota per una serie di novità decisive.
Intanto si tratta quasi sempre di narratrici. Autori di sesso maschile non se ne contano quasi. Sarà colpa della caduta verticale del desiderio maschile? Sarà merito della riflessione post-femminista sul corpo e sul desiderio? Sarà che se a parlare del sesso e dei suoi eccessi è un uomo, c’è sempre il rischio di un’accusa di fallocentrismo sessista?
Certo, si possono sempre ricordare i precedenti di Pauline Réage e di Emmanuelle Arsan, o risalire fino ad Anais Nin, ma mai come ora il genere erotico è parso di quasi esclusiva competenza femminile, quasi a confermare l’antica diagnosi di Brunella Gasperini, quando, a proposito di Porci con le ali, istituiva un parallelismo tra il discorso erotico e quello sentimentale del romanzo rosa.
Le novità di sostanza sembrano però altre e tendono a sfuggire alla percezione più immediata. Messa finalmente, o quasi, in soffitta la distinzione tra erotismo e pornografia come nodo centrale di riflessione sul sesso narrato, bisognerà capire perché percepiamo che qualcosa è cambiato in un genere letterario che non si può certo definire «nuovo», avendo accompagnato nei secoli, in maniera più o meno clandestina, la vita letteraria di ogni paese.
Proprio qui forse sta la diversità rispetto alla tradizione. Una diversità che coinvolge aspetti più squisitamente culturali, ma si concretizza, di fatto, in nuovi modi di distribuzione e consumo del prodotto editoriale specifico.
Secondo una precisa dinamica, infatti, in età contemporanea i nuovi generi, prima di essere accettati dall’istituzione letteraria, sembrano condannati a trascorrere un più o meno lungo periodo nel limbo della cosiddetta paraletteratura. È successo al giallo e alla fantascienza, continua a riguardare il fantasy e il rosa. Si tratta di generi letterari che nascono «fuori» dall’istituzione, per rispondere a nuovi bisogni di lettura e a nuove comunità di lettori e che per questo hanno autori nuovi (per curriculum e modi di intendere la propria attività letteraria) e rispondono a criteri di distribuzione innovativi in termini di formato e confezione del libro e in termini di canali di vendita: si tratti della formula rivista o del libro periodico da edicola.
L’accoglimento nell’istituzione implica da un lato lo sfumare delle caratteristiche esclusive del genere, con l’adesione a preoccupazioni stilistiche e modi tematici della letteratura tout court e, dall’altro lato, la «colonizzazione» della letteratura più ufficiale con tematiche e moduli espressivi propri del nuovo genere, fino ad allora «censurati» in quanto ritenuti paraletterari.
Se questo modello ha una sua funzionalità nella descrizione di generi pienamente nuovi e novecenteschi come il poliziesco e la fantascienza, in buona parte diverso sembra il caso della narrativa erotica. Non si tratta di un genere nuovo, in quanto, lo ripetiamo, è sempre esistita una produzione erotica a fianco della letteratura istituzionale e d’altronde sul piano formale non possiamo riscontrare caratteristiche di genere autenticamente proprie ed esclusive: il romanzo erotico si presenta di solito come un innesto «parassitario» su altri generi, dal romanzo naturalistico a quello psicologico, dal poliziesco all’avventuroso.
La censura alla pornografia ha sempre riguardato, più che l’ambito strettamente letterario di legittimazione di generi e stili, quello del costume e della morale. Per questo, la produzione erotica è per lo più vissuta in una condizione di semiclandestinità: autori che si firmavano con pseudonimi, libri che circolavano per corrispondenza o venduti sottobanco solo da alcuni librai, case editrici «specializzate», minori o minime. Con la fine degli anni Sessanta e Settanta, però, la pornografia adotta gli stessi canali della letteratura di genere vera e propria e incontra un nuovo pubblico nelle edicole: un canale molto più massivo rispetto alle librerie, ma ritenuto un territorio franco, appunto al di fuori di qualsiasi istituzionalità letteraria (e quindi morale?).
n vero cambiamento della situazione avviene però più tardi, con gli anni Ottanta: in quel decennio, un po’ tutti i generi «paraletterari» conoscono fenomeni di legittimazione da parte dell’ufficialità letteraria e, per motivi in larga parte socio-culturali, lo stesso destino tocca alla narrazione erotica: la soglia di censura si abbassa drasticamente, romanzi fortemente erotici vengono accolti nelle collane prestigiose delle case editrici maggiori, la libreria si apre a questa produzione, gli autori firmano in prima persona i propri romanzi, il sesso anche più esplicito irrompe finalmente nelle pagine di autori istituzionali, il genere diventa indiscutibilmente una delle infinite varietà di temi e di scritture che il sistema letterario offre ai suoi lettori-consumatori.
In definitiva, il destino del sesso narrato nel sistema letterario sembra rientrare in una dinamica anticlassicistica che percorre la storia letteraria degli ultimi due secoli. Se il moto della letteratura dal Settecento a oggi è stato indirizzato all’ampliamento del mondo narrabile, a una democratizzazione intrinseca che tiene insieme i modi dello scrivere, gli argomenti affrontati e il coinvolgimento di nuove classi di lettori, risulta ovvio che insieme al lavoro, alle classi subalterne, alla corporeità, alla malattia, anche il sesso partecipi di quell’inarrestabile processo di apertura del discorso letterario a tematiche un tempo escluse, o sublimate.
Eppure, e nonostante gli autori/autrici citati più sopra, la produzione italiana sembra ancora per strada, in questo processo di legittimazione. Manca insomma, tranne poche eccezioni, una produzione letteraria che abbia il tema erotico al proprio centro, come invece avviene normalmente in altri paesi.
Certo, descrizioni più o meno esplicite e «disinibite» non mancano soprattutto nella produzione più giovane, dalla violenza fumettistica del Bastogne di Enrico Brizzi alle avventure lesbico guiffordiane delle Thelma e Louise romane raccontate da Elena Stancanelli di Benzina, dal protopulp di Simona Vinci all’intimismo cool dell’ultima Elena Soprano, per non parlare della saga metropolitana del Golinelli di Come ombre. Ma si tratta di elementi tutto sommato accessori, aspetti della vicenda e dei personaggi non prevalenti rispetto ad altre preoccupazioni e vicissitudini.
Ad assumere il sesso come asse tematico pressoché esclusivo sono solo alcune scrittrici. Ci ha provato Claudia Salvatori con Schiavo e padrona, in cui, come una nostrana Helen Zahavi, costruisce un giallo psicologico conseguentemente sadomaso; ci ha provato Una Chi (ancora lo pseudonimo) con E duro campo di battaglia è il letto, vicenda di nomadismo sessuale in una Milano pienamente riconoscibile, restituita attraverso a una tessitura stilistica estremamente personale e debitrice di una tradizione espressionistica di marca latamente gaddiana; ci hanno provato le autrici chiamate a contribuire nel 1997 alla citata antologia La città proibita, con una notevole varietà di esiti e di scelte tematico-stilistiche.
Un caso a sé è quello di Francesca Mazzucato, un’autrice che coi suoi romanzi si muove indifferentemente aldiquà e aldilà della linea di legittimazione di genere. E con ciò intendiamo tanto i modi della narrazione e il diverso peso dato ai vari elementi tematici quanto le opzioni paratestuali e editoriali che caratterizzano i diversi testi. La Mazzucato è venuta alla ribalta delle patrie lettere con il romanzo Hot Line (edito da Einaudi, ma «prelanciato» nei Millelire di Stampa alternativa), in cui tratteggiava il profilo di una ragazza comune che ha scelto di lavorare in una chat line erotica. L’elemento erotico è ovviamente presente, ma messo al servizio di un ritratto psicologico e sociologico non basato sulla dimensione erotica, che rimane tutto sommato complementare alle esigenze di costruzione del personaggio e della sua vicenda. La stessa impostazione si può trovare, con maggiori o minori accenti erotici, nei successivi romanzi, Relazioni scandalosamente pure e Amore a Marsiglia. In compenso, la stessa autrice ha contribuito, firmando col proprio nome, alla collana sexy al femminile «Pizzo nero» (caratterizzata da espliciti riferimenti al genere, sia nel paratesto che nella grafica delle copertine), con il romanzo La sottomissione di Ludovica, in cui le proporzioni tra ritratto e peripezia erotica sono praticamente invertite rispetto alle opere approdate alla piena ufficialità letteraria e editoriale.