C’è il dubbio che in Pennac sussista un’aspirazione di fondo al ripristino dell’autorevolezza carismatica degli adulti, quasi che il declino dell’autorità parentale lasci come strascico non tanto l’orrore del vuoto, ma l’orrore del silenzio.
Vaso letterario in Francia nei primi anni novanta, Pennac ha incontrato un successo sorprendente anche in Italia, dove i suoi libri sono stati prontamente tradotti e pubblicati.
Di più: nel nostro paese Pennac ha non solo conquistato l’attenzione dei lettori, che si sono appassionati alle mirabolanti avventure di Benjamin Malaussène, l’eroe della nota trilogia Il paradiso degli orchi ( 1991), La prosivendola ( 1991), La fata carabina (1992), ma soprattutto ha fatto proseliti, grazie alla fortuna del saggio sulla lettura Come un romanzo (1993). Proprio questo saggio, indirizzato a sconfessare i luoghi comuni sul rapporto tra i giovani e la lettura nonché a contestare la pratica della lettura commentata cara alla tradizione scolastica, ha guadagnato attorno allo scrittore francese un diffuso consenso nel mondo della scuola.
Un successo spiegabile, giacché il piglio ironico e il tono accattivante di Come un romanzo hanno attecchito facilmente in un terreno favorevole come quello della scuola italiana, sensibile al problema dell’educazione alla lettura e coinvolta nel dibattito critico sulle metodologie di approccio al testo letterario, dopo l’inondazione dei metodi formalistici.
La proposta di Pennac, rilanciando il piacere del testo come valore primario, assegnava al docente non il compito di guida rigo rosa all’analisi testuale ma il ruolo di lettore a voce alta, di voce recitante capace di esercitare una presa suggestiva sugli studenti. E sull’onda del successo di Come un romanzo è nato il «pennacchismo», da intendersi non tanto come fenomeno di fortuna letteraria ma come atteggiamento pedagogico, magari poco definito nei presupposti teorici eppure intriso di inquietudini e aspirazioni diffuse nel mondo variegato e confuso degli educatori. Sorta di antidoto al malessere dell’universo della scuola, il pennacchismo coniuga ingenuità romantica e smaliziata consapevolezza: lo animano l’insofferenza per le pratiche didattiche più diffuse soprattutto a proposito della lettura, la fiducia ottimistica nell’immaginazione infantile ma anche l’esigenza, più complessa e profonda, di sperimentare nuove modalità di rapporto tra adulti e bambini, nell’epoca della crisi e della ridefinizione dei ruoli familistici tradizionali.
Ed è proprio su questo terreno che gli orientamenti pedagogici di Penna c e alla Penna c si incontrano con i temi più significativi della sua produzione narrativa.
Il successo recente di Signori bambini (1998), l’ultimo romanzo di Pennac, per mesi nelle classifiche dei libri di narrativa più venduti, mette in gioco questo incontro fertile tra interessi di ordine psicopedagogico e il recupero felice della vena narrativa già collaudata negli altri romanzi dello scrittore francese. Lo scenario, per esempio, è ancora una volta il quartiere parigino di Belleville che faceva da sfondo alle avventure di Benjamin Malaussène e della sua tribù di fratelli minori; l’impianto narrativo ripropone il gusto per un intreccio dal ritmo accelerato, ricco di imprevisti e di colpi di scena; lo stile appare, come in passato, all’insegna della verve ironica e paradossale. Paradossale è proprio la trovata che dà corpo alla trama e la proietta in una dimensione surreale. Un professore autoritario e tirannico, Albert Castraing, sorprende tre studenti preadolescenti intenti a elaborare una vignetta caricaturale durante la lezione e li punisce assegnando loro un tema dal titolo (per la verità tutt’altro che scontato): «Una mattina ti svegli e ti accorgi che, durante la notte, sei stato trasformato in adulto. In preda al panico, ti precipiti in camera dei tuoi genitori. Loro sono stati trasformati in bambini.»
Proprio mentre i tre ragazzi si accingono con difficoltà allo svolgimento del compito, la situazione sfugge loro di mano: la metafora si concretizza, l’ipotesi assurda diventa realtà e i tre si trovano. davvero improvvisamente adulti, costretti a tribolare con i loro genitori divenuti bambini. I tre ragazzi cercano la soluzione dell’enigma, l’espediente che ristabilisca l’ordine dei rapporti filiali e parentali, finché il narratore, che si identifica con il padre morto di Igor, uno dei tre protagonisti, dà loro il suggerimento risolutivo: il tema deve essere svolto da Castraing in persona, nel frattempo anche lui rimpicciolito ma impossibilitato alla metamorfosi infantile che è toccata agli altri personaggi adulti. Castraing è, infatti, uno di quegli adulti che non sono mai stati bambini, come spiega il narratore in un pistolotto finale al figlio: «Sono in molti in queste condizioni, amputati della loro infanzia, spinti prematuramente alla corsa delle ambizioni, programmati sin dall’ovulo, operativi da subito, professionali dalla culla … » L’equilibrio nei rapporti tra adulti e bambini dipende dalla capacità di ciascuno di vivere fino in fondo la propria infanzia, sperimentandone le potenzialità creative ed emotive.
Sembra questo il succo di una vicenda stravagante, che si snoda con un ritmo narrativo sicuramente avvincente. Non è solo, tuttavia, l’impianto narrativo agile a spiegare il successo dell’opera anche presso il pubblico italiano, poco abituato forse a testi che propongano in forma divulgativa per adulti il tema dell’educazione; vi ha contribuito piuttosto la calibrata combinazione di spregiudicatezza e «buonismo» che il romanzo ha saputo realizzare. Rivive, senz’altro, in Signori bambini l’universo narrativo di Pennac nei suoi aspetti più vitali e interessanti: la rappresentazione della società metropolitana e multietnica, brulicante di contraddizioni sociali, di vecchie e nuove forme di marginalità; la messa a fuoco ironica e disincantata della crisi dei ruoli all’interno della famiglia in un’epoca in cui gli adulti declinano spesso responsabilità e autorità e i bambini sono chiamati a sostenerli e sostituirli.
Significativo a tal proposito in Signori bambini è il ritorno in scena del quartiere multirazziale di Belleville in cui convivono francesi, arabi, ebrei, slavi, come dimostrano le diverse etnie dei ragazzi protagonisti: Igor di madre russa, Joseph di padre ebreo e Nourdine, magrebino di seconda generazione alle prese con il problema dell’integrazione. Emblematico è poi lo scarto in senso surreale della trama, che trasforma in un’avventura paradossale il problema dello scambio dei ruoli all’interno della famiglia contemporanea: se la famiglia Malaussène, protagonista dei primi romanzi di Pennac e di nuovo alla ribalta in Ultime notizie dalla famiglia (1997), è stata definita una famiglia disneyana composta di fratelli senza padri e affidata al sostegno di un fratello maggiore, non diversamente le famiglie raffigurate in Signori bambini appaiono irregolari e scombinate, affidate alla autorità precaria di madri bamboleggianti, vedove· «incapaci di elaborare il lutto», sorelle maggiori in carriera assillate dal problema dell’integrazione, come Rachida sorella di Nourdine, cui tocca peraltro il compito di sostituire un padre depresso e sognatore, chiusosi in se stesso dopo l’abbandono della moglie. Da questo quadro acquista significato l’invito a giudicare i bambini di oggi che «sono diventati fluorescenti, hanno scarpe da ginnastica che luccicano quando loro schizzano via nella notte, i walkman gli fanno teste da mosche [ … ] » superando i luoghi comuni che li vogliono «schiavi della televisione», poco abituati a leggere, meno che mai a scrivere, come dimostra l’avventura dei tre ragazzi protagonisti. Ad assolverli basta il contesto relazionale che li circonda, fatto di adulti falliti e insoddisfatti, di famiglie mutile o allargate, eppure rappresentate con ironia scanzonata.
Se questi motivi costituiscono forse il nucleo vitale e innovativo della produzione di Pennac, i suoi libri appaiono segnati anche da elementi di debolezza intrinseca, che il pennacchismo rischia di coltivare e amplificare.
Salta in primo luogo agli occhi una contraddizione: non si capisce perché alla rappresentazione spregiudicata del caos contemporaneo, che coinvolge il mondo del quartiere e della famiglia, si sottragga inspiegabilmente il mondo della scuola. La scuola risulta raffigurata, invece, secondo i moduli di una stilizzazione di maniera: vi operano insegnanti raffigurati secondo una banale logica manichea, che o incarnano un’autorità carismatica, capace di affascinare e suggestionare gli studenti, come il professore modello di Come un romanzo, o reprimono la creatività infantile con una didattica autoritaria e retriva, come fa il Castraing di Signori bambini. Il problema della crisi e della ridefinizione dei ruoli che assilla il contesto familiare non sembra, inverosimilmente, intaccare il mondo della scuola: ci sono fratelli e sorelle maggiori capifamiglia, madri e padri depressi e irresponsabili ma mancano insegnanti alla Benjamin Malaussène, immersi nella crisi relazionale dilagante e capaci almeno di ironizzare sul proprio ruolo. L’incongruenza, apparentemente casuale e curiosa, lascia percepire una smagliatura nell’universo di Pennac, un fondo di ambiguità che ne appanna la spregiudicatezza di superficie.
Si insinua il dubbio che in Penna c, accanto all’accettazione ostentata e disincantata del caos contemporaneo di rapporti, emblematizzato dal mondo turbinante di Belleville, resista una aspirazione di fondo al ripristino dell’autorevolezza carismatica degli adulti, non più giocata, peraltro, sul piano morale o ideologico ma su di una sorta di potere suasorio e suggestivo. Non per nulla il problema della crisi della paternità ricorre di frequente nella narrativa di Pennac, affrontato nella dimensione della memoria, della ricerca o dell’assenza (si pensi al racconto «Bartlebismo» in Ultime notizie dalla famiglia, inteso a far luce sulla nascita del Piccolo, uno degli ultimi nati della tribù Malaussène). Ed è significativo che questo motivo non solo ritorni in Signori bambini ma ne condizioni, persino, l’impianto narrativo agendo sulla configurazione del punto di vista: l’io narrante assume i tratti di un personaggio ben individuato, il padre di Igor Laforgue, vignettista ribelle morto in seguito a una trasfusione di sangue infetto. Un padre morto, dunque, che sostituisce all’autorità di genitore l’autorevolezza di narratore. Ecco che la tecnica narrativa di Signori bambini ripropone un motivo caratteristico della produzione di Pennac: gli adulti rappresentati dall’ autore sembrano preda di una sorta di ossessione fabulatoria, principalmente preoccupati di affascinare i piccoli con le risorse inesauribili delle loro doti narrative. Pare quasi che l’abdicazione dell’autorità parentale lasci come strascico non tanto l’orrore del vuoto ma l’orrore del silenzio. In questo senso Come un romanzo trasferisce in termini di proposta pedagogica e didattica, sia pure formulata in modo indiretto, un vero e proprio leitmotiv dell’opera di Pennac. Il nuovo compito educativo dell’adulto, non più capace di incarnare un’autorevolezza che gli restituisca una pienezza responsabile di ruolo, è quello di condividere e popolare l’immaginario infantile. Una proposta gratificante, che forse spiega il successo dell’autore presso il pubblico degli insegnanti, spesso tentati persino di prenderla alla lettera per farne il modello di soluzioni didattiche alternative. Se il dibattito sull’educazione alla lettura investe, in realtà, questioni più complesse, l’atteggiamento di Pennac è di facile presa, pronto a trasformarsi in tendenza, ma nondimeno segnato da debolezze intrinseche. L’inno all’immaginazione contenuto, per esempio, nelle pagine di Signori bambini, l’invito rivolto agli adulti a recuperare l’autenticità della propria infanzia appare tanto suggestivo quanto ingenuamente romantico. Non solo: i bambini, apparentemente accettati nei loro comportamenti stravaganti e nelle loro intemperanze, sono non tanto sollecitati a una creatività che li veda soggetti protagonisti ma invitati a lasciarsi guidare e affascinare dall’immaginazione ammaliante degli adulti. Non per nulla nel finale di Signori bambini l’io narrante dilata la funzione, rivelandosi una sorta di narratore demiurgo, artefice consapevole dell’intera avventura paradossale, che lui stesso ha macchinosamente provocato in vista dello happy end classico: l’incontro tra la sua ex-moglie Tatiana, vedova inconsolabile, e una nuova anima gemella nei panni di Ismael, padre di Nourdine. Persino il disegno incriminato, che è costato il compito punitivo ai tre ragazzi, si rivela opera sua. Forse ha ragione Castraing a definirlo l’opera di un postsessantottino attardato. Una definizione che suona per Pennac autoironica ma che risulta perfettamente calzante per i pennacchiani suoi seguaci.