Le trasformazioni all’interno dei fumetti di Milo Manara ben rispecchiano l’evoluzione dell’immaginario visivo erotico negli ultimi quarant’ anni. Dagli albi tascabili con la copertina nera ai lavori più recenti, i corpi delle protagoniste femminili delle sue storie non hanno mai smesso di mutare in base all’estetica dominante. Oggi, nell’epoca del “Porn 2.0” fruibile da tutti gratuitamente, le “veneri di Milo” si muovono in narrazioni al confine tra arte e storia: un contesto nuovo, contenutisticamente più raffinato e commercialmente sostenibile.
Milo Manara è l’autore di fumetti che meglio di chiunque altro sintetizza le trasformazioni dell’immaginario visivo erotico sul finire del terzo millennio. Questo trentino classe 1945 ha esordito nel 1969 disegnando albi tascabili, lo stesso formato che dal 1° novembre 1962 le sorelle Angela e Luciana Giussani portano puntualmente in edicola con le avventure di «Diabolik». Quell’albo tascabile rappresentava una novità per almeno due classi distinte di motivi: da un lato raccontava le avventure di un criminale che, pur rispettando un complesso sistema di personalissimi valori morali, non esitava a rubare, uccidere e dimostrare l’inefficienza della giustizia; dall’altro, si presentava ai suoi lettori con pagine di formato piccolo, composte da due sole vignette sovrapposte e leggibili con poco sforzo e in un tempo contenuto.
L’alienità di Diabolik aveva immediatamente trovato una schiera di lettori entusiasti e la novità del formato gli aveva di fatto procurato un’innumerevole sequela di imitatori.
Albi di quel formato erano un vantaggio tanto per gli editori quanto per i lettori. Erano facili da produrre, richiedevano investimenti contenuti e si muovevano lungo un solco che era stato definito con chiarezza dal capostipite: agli imitatori bastava superare Diabolik premendo l’acceleratore su una violenza più esplicita e su un erotismo completamente assente sulle pagine delle Giussani.
Manara esordisce proprio in quel formato, aiutato da un fato con il senso dell’umorismo e da Mario Gomboli, attuale proprietario di Astorina, la casa editrice di Diabolik, che presenta il disegnatore all’editore Furio Viano. Il fumettista disegna alcuni episodi di «Genius», uno dei tanti emuli del re del terrore, e proprio sulle pagine di questa serie viene notato da Renzo Barbieri che, con Giorgio Cavedon, pubblica tascabili a fumetti con il marchio ErreGi. La piccola casa editrice presenta fumetti che insistono, con un po’ di morbosità, sulle nudità femminili. A Manara viene dato l’incarico di occuparsi di «Jolanda de Almaviva», una serie ispirata a un personaggio salgariano (la figlia del Corsaro Nero) che, non senza ironia, naviga in cattive acque. I disegni del giovane salvano la testata dalla chiusura. Gli albi tascabili neri ed erotici rappresentano il formato meno nobile della produzione a fumetti: da lì un autore può idealmente solo risalire. Ed è esattamente quello che fa Manara negli anni successivi: dal 1974 al 1976 disegna per il «Corriere dei Ragazzi», settimanale per giovani lettori pubblicato dal «Corriere della Sera», collaborando con lo scrittore Mino Milani; nel 1976 pubblica su «Alterlinus», costola avventurosa di «Linus», Lo scimmiotto su testi di Silverio Pisu.
Il gusto di Manara per i corpi femminili, già evidente in alcune pagine pubblicate sul «Corriere dei Ragazzi» (per esempio, quelle dedicate a Elena di Troia), esplode sulle pagine dello Scimmiotto. Da quel momento l’erotismo diventa uno degli elementi centrali dei suoi fumetti. A volte è solo uno degli aspetti che contribuiscono alla costruzione del racconto, come in Alessio, il borghese rivoluzionario, o nel ciclo di Giuseppe Bergman, o nelle collaborazioni con Hugo Pratt o Federico Fellini; in altre, più frequenti, è l’ossatura stessa del racconto, come nel ciclo del Gioco, o nel Profumo dell’invisibile, o in Charlie ovvero il diario di Sandra F.
L’assidua frequentazione del genere da parte del fumettista permette di leggere la sua parabola autoriale guardando alle due direttrici più evidenti della trasformazione dell’erotismo negli ultimi anni: quella iconica e quella digitale.
La prima delle due traiettorie, quella iconica, è esclusivamente visuale. Per esemplificarla è utile guardare alla storia del mensile statunitense «Playboy». Fondato nel 1953 da Hugh Hefner, quel giornale ha rappresentato a lungo il canone dell’immaginario erotico occidentale. Lo sfoglio delle annate della rivista mostra una storia di sguardi voluttuosi che potrebbe essere idealmente scandita in decenni. Fino alla metà degli anni sessanta, il giornale presenta corpi morbidi che, nelle intenzioni di Hefner, appartengono alla bellezza normalmente straordinaria della vicina di casa: tra le prime playmates, le notissime conigliette cui il giornale dedica il paginone da aprire e ripiegare, c’è la segretaria di redazione, quasi a dire che in ogni ufficio ci può essere una donna così. Il decennio successivo è quello in cui i semi della rivolta di Berkeley attraversano la gioventù: e allora il “flower power” si fa sentire nelle immagini femminili e in quelle donne evidentemente democratiche che occhieggiano luminose accanto a scritti contro la guerra in Vietnam. E poi arrivano gli anni ottanta, con i tagli luminosi di maniera e le immagini affettate da strisce di luce che ricostruiscono l’atmosfera dei film di Ridley Scott (Alien e Blade Runner) e Adrian Lyne (Flash dance e 9 settimane e ½ su tutti). Il decennio successivo è quello dei corpi omologati dalla chirurgia estetica: la donna che finisce più spesso sulla copertina di «Playboy» è Pamela Anderson che, con i suoi capelli biondi e con le sue labbra e i suoi seni prostetici, si qualifica come modello unico di donna-oggetto globalizzata. Il periodo successivo è quasi irrilevante, tanto la digitalizzazione delle immagini ha preso il sopravvento: tra alterazioni Photoshop e accesso totale all’immaginario visuale a banda larga, «Playboy» diventa un prodotto così marginale da essere ormai considerato un curioso oggetto vintage.
La carriera di Milo Manara, fino agli anni duemila, corre parallela, per almeno tre decenni, alla vita editoriale di «Playboy». E, proprio come il mensile statunitense, il fumettista italiano definisce un tipo di femminilità erotica idealizzata. Eppure, nonostante questo ideale femmineo debba rispondere alle sole pulsioni artistiche ed emotive dell’autore, lo si scopre mimetico rispetto alle mode. Le donne si assottigliano, diventano meno carnose e i seni si alzano, quasi che, per resistere all’incedere del tempo che investe il fumettista, essi debbano incontrare il medesimo bisturi che altera la realtà materica e fotografabile.
La seconda traiettoria è quella della digitalizzazione dell’erotismo. Manara esordisce sui tascabili neri. Quei volumetti rappresentano, per un lungo periodo, il formato ideale per l’intrattenimento solitario dei maschi italiani: un prodotto funzionale, di qualità quasi sempre effimera, facile da nascondere, con due grandi immagini per pagina, che può essere facilmente sfogliato con una mano sola. Da lì in avanti, il fumettista cerca spazi sempre più nobili: dapprima i settimanali per ragazzi, poi le grandi riviste della tradizione del fumetto d’autore italiano e francese, per giungere infine alla pubblicazione in albi spesso cartonati e patinati.
E man mano che le vicende narrate da Manara diventano più esplicite e morbose, giocando spesso con situazioni di gusto discutibile, l’autore trova spazi di pubblicazione sempre più elitari e affianca all’erotismo più spinto collaborazioni sempre più prestigiose (Pratt, Fellini, Neil Gaiman, Alejandro Jodorowsky).
Manara è consapevole di vivere nell’epoca di YouPorn, sito che dal 2006 riposiziona ogni fruizione erotica e definisce il modello di comportamento di un’utenza che cerca gratuità, social network e “Porn 2.0”; ed è anche un narratore di talento e un imprenditore di se stesso capace di definire una chiara distanza tra i propri lavori e una massa informe di prodotti accessibili facilmente.
Per non rimanere schiacciato tra le due traiettorie dell’erotismo, quella iconica e quella digitale, Manara decide di mostrarsi quale artista del fumetto. Pur cercando di non abbandonare la vezzosa umiltà che gli deriva dal maestro Hugo Pratt e che lo induce a definirsi “fumettaro”, dedica i suoi lavori più recenti alla fantasiosa ricostruzione storica del Rinascimento (con i quattro volumi della saga I Borgia, sceneggiata dal cileno Jodorowsky) e all’avventura umana del pittore Caravaggio. Con queste pulsioni verso Arte e Storia, Manara si innesta in temi così universalmente riconosciuti da essere addirittura materie coperte dai programmi ministeriali della scuola dell’obbligo; in questo modo, le veneri di Milo, le donnine per cui il fumettista ha conquistato un grande seguito di estimatori, possono muoversi in un contesto accettabile e commercialmente sostenibile.