Il successo ottenuto dai romanzi a fumetti di Gipi sta nella sua grande capacità di raccontare la realtà così com’è. La credibilità delle sue storie, spesso episodi della sua vita, è dovuta da sempre anche all’empatia che riesce a creare con il lettore; un’empatia che negli ultimi libri si è appoggiata sempre più a elementi di invenzione. Il pericolo è però quello di inseguire troppo la reazione emotiva con dettagli “a effetto”; e far perdere così alla narrazione verità e profondità.
La rivoluzione del romanzo a fumetti sta soprattutto nel saper raccontare la realtà. Il fumetto l’aveva sempre reinterpretata, scavalcata, esagerata, compressa. Ma solo con il romanzo è arrivato davvero a mostrarla, proprio così com’è. Gipi è il poeta di questa verità. Altri hanno scritto biografie e autobiografie, altri hanno fatto giornalismo a fumetti, ma lui più di tutti ha dato il senso della verità di quello che trasmetteva ai suoi lettori. Anche attraverso il suo segno, che è vero perché è spesso immediato, buttato lì, schizzato e quindi espressivo ancor prima che bello. Il che non significa, peraltro, che poi non sia davvero bellissimo. E poi lo scritto: quelle lettere che Gipi spesso cancella di fronte a noi, lasciando il segno di cancellatura, per mostrare i ripensamenti, per farceli vivere. Perché cancellarli se possono esprimere con forza la verità? Gipi ha cominciato tardi a pubblicare fumetti. Il suo primo libro è del 2003, quando ha già quarant’anni. E si vede subito che è grande. E un poeta, e ha tanti mondi da raccontare, tante realtà da farci vivere tra rabbia e sofferenza, investigazione dei sentimenti, lancinanti intuizioni, senso del tragico e del tragicamente ironico, di ciò che è perduto, di ciò che sembra perso e invece si può ritrovare. All’inizio il suo rapporto con il reale non è diretto. In Esterno notte (2003) e in Appunti per una storia di guerra (2004) un piede è di qua e un altro di là, anche se i sentimenti sono tutti veri, qui e ora, tutti immersi nella carne, nelle lacrime, negli occhi, nel cuore. Poi è arrivato S, nel 2006, in cui parlava del padre, in cui provava a fare i conti con la sua morte. Un lavoro straordinario, vero, in cui Gipi apre il proprio cuore e i propri ricordi al lettore. Ma un poeta non è (solo) un cantore della verità. Un poeta sa anche (che brutte creature, dicevano De Gregori e De André) giocare con le parole (ogni volta che parlano è una truffa). Memorabile il conflitto tra Giorgio Caproni ed Eugenio Montale (ne ha scritto Luigi Surdich): il primo pretendeva che le parole usate nelle poesie fossero sperimentate, conosciute davvero da chi le usava. Montale non ne sentiva la necessità. Anche se non aveva mai visto le «tamerici pallide», anche se non aveva mai fatto cigolare «la carrucola del pozzo», bastava l’immagine, il suono delle parole a far scattare in lui il senso della poesia. L’emozione è anche l’effetto della capacità di comunicare, e un poeta può usare i mezzi a sua disposizione per aumentare gli effetti della propria capacità di dire il vero. Gipi, andando avanti con il suo lavoro, e sperimentando attraverso gli incontri con i lettori la sua capacità di parlare in pubblico, creando un’intensa empatia fatta di ritmo, di emozioni, e ancora di una assoluta credibilità, ha capito che a volte l’invenzione scatena entusiasmo quanto la sincerità è assoluta. A volte, ancora di più. E siccome è poeta sensibile e dalle molteplici anime, ha vissuto questa possibilità come un’arma pericolosa, perché efficacissima, nelle proprie mani. Lui stesso in alcune sue presentazioni ha ammesso che nei suoi romanzi a fumetti alcune parti che sembrano vere sono totalmente inventate (ma non rivelerà mai quali: un lettore attento le può andare a cercare in alcuni momenti di LMVDM La mia vita disegnata male del 2008). Con Unastoria (del 2013, passato alla storia per essere il primo fumetto candidato allo Strega) Gipi ha sviato il problema scavalcando l’autobiografia. Ma la questione della verità resta, sia da scrittore (e da regista), sia da personaggio pubblico.
Ora, da sempre i narratori inventano. Da sempre esagerano raccontando. Innegabilmente, 1’“effetto” aggiunge adrenalina, forza umoristica, passionalità; perché il gioco di prestigio è “popolare”, fa sgranare gli occhi, fa innamorare. Però, allo stesso tempo, rischia di togliere alle pagine profondità, verità e perfino (anche se è una parola grossa) eternità. E questo il grande dilemma che sta vivendo Gipi, vero poeta del fumetto.