Mentre una collana del «Corriere della Sera» fa (riscoprire ai lettori italiani i luoghi caldi della storia contemporanea – da Cuba alla Palestina – attraverso il fumetto di realtà, sugli scaffali delle librerie si affollano i narratori iberici, le cui opere testimoniano la preferenza accordata in Spagna al romanzo storico, spesso innestato con intrecci d’amore e d’avventura.
Per una geografia del racconto a fumetti: la collana «Graphic journalism»
Parallelamente al romanzo, anche il giornalismo e la non fiction hanno conosciuto una svolta «grafica»: e, con qualche anno di ritardo, anche i reportage a fumetti sono entrati a far parte dell’orizzonte d’attesa del lettore italiano, complice l’approdo di molti titoli in collane a larga diffusione come «Strade Blu» Mondadori e l’operato di editori di settore come Rizzoli Lizard, Coconino e Becco Giallo. In tempi recenti, l’interesse per il graphic journalism è stato confermato anche dalla mostra Nuvole di confine. Graphic Journalism. L’arte del reportage a fumetti, tenutasi in occasione di Tolentino Humor 2012, il cui catalogo è stato pubblicato da Rizzoli Lizard. E così, dopo il graphic novel anche il graphic journalism è arrivato in edicola: dal 20 aprile al 31 agosto 2013, con cadenza settimanale, il «Corriere della Sera» ha offerto ai lettori venti opere selezionate e introdotte da Paolo Interdonato e Matteo Stefanelli, già curatori nel 2006 di un’analoga collana dedicata al graphic novel per «la Repubblica-l’Espresso».
I venti titoli proposti ben riflettono la duttilità di un genere dai confini vasti e sfrangiati, spesso difficili da stabilire soprattutto per le sovrapposizioni con quelli del graphic novel. I «territori» del fumetto di realtà sono attraversati da significative isotopie: per esempio, le opere improntate al travelogue spaziano dalla Birmania a Gerusalemme (a firma del québécois Guy Delisle) all’Italia del Diario italiano di David B. e delle note intimistiche, esaltate da un tratto quasi pittorico che trova posto in tavole a pagina intera, di Marco Corona (La seconda volta che ho visto Roma); quelle di indole biografica, dedicate a Maria Grazia Cutuli e a Fidel Castro, vanno da Cuba all’Afghanistan; non mancano poi memoir (sottogenere che sta riscuotendo un grande successo anche in campo romanzesco) o narrazioni d’indole storica, come No pasaran di Vittorio Giardino. Insomma, il «fumetto che racconta la realtà» sembra capace di fecondi innesti sulle più diverse forme narrative. Interdonato e Stefanelli però non si limitano a un semplice catalogo tipologico, ma propongono una «riaccentuazione» di alcune opere, la cui funzione viene ridefinita dall’inserimento in una collana di indole schiettamente documentaria. Esemplare è il caso di Palestina di Joe Sacco, già incluso nella collana dedicata al graphic novel; ma anche di Persepolis, troppo spesso considerato una semplice autobiografia mentre, come osserva Interdonato, con la sua miscela di «resoconto storico e diario personale» ha contribuito a portare l’Iran nel nostro immaginario (non a caso il titolo fa riferimento al luogo in cui si svolge la narrazione, e non a una persona) e per questo rappresenta uno degli snodi fondamentali della «geografia della collana».
La metafora geografica è inoltre particolarmente calzante perché non serve solo a descrivere il genere del graphic journalism ma struttura a livello tematico l’intera collana: basta scorrere i titoli delle opere, tredici dei quali sono legati a un luogo, o quelli di alcune note introduttive: «Ci sono sempre delle frontiere», «Territori del racconto a fumetti», «Straniero in terra straniera». Interdonato e Stefanelli scelgono di concentrarsi su alcune zone ad alta tensione geopolitica, come a suggerire che la narrazione grafica, con il suo sguardo certamente soggettivo ma anche capace di riunire molti elementi su un’unica pagina, sia oggi la più adatta a raccontare le zone di maggiore problematicità, dai confini geografici instabili. Troviamo quindi l’ex Iugoslavia (con Gorazde. Area protetta, di Joe Sacco, e il meno conosciuto Pax da Sarajevo, firmato dal veterano del fumetto classico Joe Kubert), ma soprattutto Israele e Palestina, vero e proprio centro nevralgico della collana con ben quattro titoli e, non a caso, scenario dell’opera considerata in modo unanime come fondativa del genere: Palestina di Joe Sacco. Al resoconto dell’unico vero «fumettista e giornalista» (come recita il titolo della nota introduttiva) che ha più volte rivendicato il proprio punto di vista soggettivo e schierato, vengono affiancate altre tre opere, in modo da restituire l’estrema complessità dello scenario mediorientale e da rinegoziarne di volta in volta i confini all’interno di tavole formalmente molto diverse: a quelle a tutta pagina, in bianco e nero e talvolta corali, di Sacco fanno da contrappunto il tratto leggero e i colori tenui delle Cronache di Gerusalemme di Delisle, osservazioni di un «viaggiatore disambientato», o gli acquerelli del racconto scettico della giovane Sarah Glidden, Capire Israele in 60 giorni (e anche meno), nel quale significativamente ogni capitolo si apre con una cartina. E non manca l’adattamento in fumetto dello struggente Valzer con Bashir, il «documentario d’animazione» di Ari Folman che con David Polonsky interpreta in maniera personalissima le convenzioni di genere del fumetto di realtà.
A conferma dello stretto nesso tra narrazione e geografia suggerito dai curatori, va segnalata anche la presenza di titoli ambientati in zone dalla storia recente ancora relativamente poco esplorate nell’immaginario letterario occidentale, come i paesi dell’ex blocco sovietico. Oltre a Marzi, definito il «Persepolis polacco», racconto di un’infanzia sotto il regime di Jaruzelski, Interdonato e Stefanelli propongono i Quaderni Ucraini di Igort, uno degli esponenti di spicco del graphic novel e responsabile della sua diffusione in Italia. Partito alla volta della Russia con l’intenzione di disegnare la biografia del narratore dei narratori, Anton Cechov, Igort torna a casa due anni più tardi con due «quaderni», uno dedicato all’Ucraina ai tempi dell’Urss e l’altro al Caucaso. La biografia del grande scrittore di quella che è stata la patria elettiva della narrazione in prosa passa in secondo piano davanti alla complessità di uno degli scenari più dinamici del momento, difficile da restituire in una narrazione romanzesca di impianto tradizionale. La galassia postsovietica sembra richiedere nuove forme narrative, spesso all’insegna dell’ibridazione dei generi e dei media:
abbiamo così i «quaderni» di Igort, che combinano narrazione storica e testimonianze in prima persona, ma anche un altro reportage a fumetti dedicato alle repubbliche dell’ex Urss e non incluso nella collana {Stan Trek, firmato da Ted Rall, finalista al premio Pulitzer e tradotto in Italia da Becco Giallo). E non è un caso se due recentissimi «romanzi russi» – Timonov di Emmanuel Carrère e Il ultima favola russa di Francis Spufford –, scritti anch’essi da stranieri, giochino sul limite dei confini del genere romanzesco, rivendicando un forte coefficiente di realtà fattuale.
Proponendo una prima mappatura critica del graphic journalism, enfatizzandone la dimensione internazionale che ha caratterizzato l’emergere del fenomeno, Interdonato e Stefanelli mettono in luce anche un dato molto interessante che riguarda le sue dinamiche produttive. Delisle non è presente con ben quattro titoli solo per i suoi – indubbi – meriti artistici: il fumettista québécois costituisce un vero e proprio esempio di narratore dell’era globale. Il suo sguardo «disambientato», come viene definito dai curatori, è in realtà molto lucido: è quello di chi per anni come testimoniano Pyongyang e Shenzhen – ha lavorato come supervisore della catena produttiva di serie di animazione, gestita quasi interamente in outsourcing, cosa possibile – osserva Interdonato – solo quando si lavora con le immagini. Analogamente, Delisle scrive i due libri successivi – Cronache birmane e Cronache di Gerusalemme – quando parte al seguito della moglie in missione per Medici senza frontiere.
Offrendo un canone già ben insediato a livello internazionale, la collana del «Corriere» conferma la vitalità e la consistenza di un genere che, a giudicare dai sempre numerosi esempi di fumetto «documentario» sui misteri d’Italia pubblicati in tempi recenti, sembra ormai ben radicato anche nel nostro sistema letterario. La svolta grafica nel giornalismo ha fornito una piattaforma rappresentata materialmente da una tavola a tutta pagina su cui convergono contenuti verbali e grafici di diversa natura – capace di reggere il confronto con i nuovi media che hanno profondamente cambiato il mondo dell’informazione rispetto ai tempi dei reportage o dei taccuini di viaggio scritti.
Notizie dalla Spagna, tra localismi e globalità
Accanto a nomi già noti e apprezzati da una fascia di lettori medio-alta come Javier Marias, pubblicato in Italia da Einaudi, Eduardo Mendoza (Feltrinelli), Almudena Grandes (Guanda), Javier Cercas (Guanda), Alicia Giménez-Bartlett (Sellerio) o Enrique Vila-Matas (Feltrinelli), che anche quest’anno sono arrivati sui nostri scaffali con nuovi titoli, ampio spazio hanno da qualche tempo anche autori capaci di presidiare a lungo i primi posti delle nostre classifiche con bestseller a sfondo storico. In principio è stato Carlos Ruiz Zafón, autore del fortunatissimo L’ombra del vento (2001, edizione italiana Mondadori 2004), poi sono venuti Ildefonso Falcones, Clara Sànchez e Arturo Pérez-Reverte.
Falcones e Pérez-Reverte hanno portato le loro ultime opere (rispettivamente La regina scalza, Longanesi, e Il tango della Vecchia Guardia, con cui l’autore passa da Tropea a Rizzoli) all’ultima edizione di Pordenonelegge e nel 2012 la Spagna (con la Romania) è stato il paese ospite del Salone di Torino: in quell’occasione Falcones e Sànchez hanno partecipato insieme a un dibattito dal titolo: «Quello che la Storia nasconde le storie rivelano», moderato da Bruno Arpaia (il quale, insieme con Danilo Manera, è uno dei mediatori – e traduttori – più attivi nel campo della letteratura in lingua spagnola). Il titolo dell’incontro torinese è di per sé indicativo, perché i bestselleristi spagnoli hanno una cosa in comune: scrivono tutti romanzi «a effetto storico».
Non c’è da stupirsi, perché in Spagna il romanzo storico, insieme al poliziesco (portato al successo planetario da Manuel Vàzquez Montalbàn), è stato uno dei generi più praticati nel periodo della Transizione e poi in quello democratico, assolvendo una funzione politica in un paese che ha conosciuto una vera e propria «guerra della memoria» (non ancora conclusa). Fuori dai confini nazionali, a un pubblico di non specialisti ne è arrivata eco soprattutto attraverso i romanzi «storico-documentari» di Cercas – Soldati di Salamina e Anatomia di un istante –, scrittore che debutta nel 2001 e riflette sul rapporto tra storia e romanzo dal punto di vista di chi alla morte di Franco aveva dieci anni. I suoi romanzi hanno avuto in Italia ottima accoglienza, tanto che quest’anno Guanda, insieme al nuovo titolo di Cercas (Le leggi della frontiera), che sancisce il suo ritorno alla fiction, ha pubblicato anche la conversazione tra lo scrittore e Arpaia tenutasi l’anno scorso a Pordenone (Uavventura di scrivere romanzi). D’altra parte, complice anche «l’effetto Eco» (Il nome della rosa veniva pubblicato in Spagna durante la fase cruciale del passaggio alla democrazia vera e propria; ringrazio Simone Cattaneo per le sue indicazioni su questo punto), negli anni il romanzo storico è stato progressivamente ibridato con altri generi, come il poliziesco.
Oggi nelle librerie spagnole esiste non di rado un settore dedicato, nel quale, tuttavia, non si trova tanto la copiosa produzione dei romanzi di argomento storico degli anni settanta e ottanta, quanto una altrettanto vasta messe di narrazioni che sull’ampia campitura del genere innestano storie d’amore e d’avventura, o di spionaggio. E qui che troviamo i titoli di Falcones, di Matilde Asensi, alcuni titoli di Pérez-Reverte, ma anche di autori per ora meno noti come Jorge Molist e Santiago Posteguillo (entrati di recente nel catalogo Piemme). Alla base di un tale successo, oltre all’ibridazione dei generi, c’è anche il carattere locale e globale insieme delle storie narrate: se il fulcro dell’ambientazione rimane la Spagna, siamo sempre in epoche – dall’impero romano sotto Traiano, primo imperatore spagnolo, al Medioevo cristiano, al Siglo de Oro – note a un pubblico internazionale di lettori. Oppure, come accade negli ultimi due romanzi di Falcones, la narrazione storica abbraccia la storia di comunità specifiche, quali i moriscos o i gitani. Si tratta quindi sempre di romanzi di produzione spagnola, che però oltre che per un pubblico interno, il quale ripercorre pagine gloriose della propria storia, sono pensati fin dall’inizio per un pubblico internazionale non del tutto ignaro degli eventi narrati, come invece potrebbe esserlo di pagine meno conosciute della storia spagnola: tratto, questo, tipico del fenomeno della letteratura globale. Al di là di una simile constatazione di fatto, varrebbe la pena di chiedersi se tale processo porti davvero a una internazionalizzazione dell’immaginario, o se invece non favorisca un appiattimento generale, a discapito di una vera conoscenza di narrazioni e luoghi «altri», non per forza di accesso immediato, in cui fondamentale è l’operato di mediatori culturali e traduttori.
Va infine notato che il successo della letteratura spagnola per un pubblico di ogni livello è determinato anche da un altro fattore: il sistema dei premi letterari, che in Spagna, a differenza di quanto accade in altri paesi, sono gestiti direttamente dalle case editrici. Il più famoso è quello del colosso Pianeta (ora proprietario di molti imprint editoriali, un tempo indipendenti, come per esempio Tusquets), che con una dotazione altissima ha da sempre dedicato particolare attenzione a titoli commerciali; altri editori hanno invece preferito orientarsi su autori emergenti o guardare all’universo latino-americano. Pregi e difetti di una simile scelta meriterebbero un lungo discorso, in parte già affrontato in sede accademica; da un osservatorio italiano va comunque rilevato che il modello spagnolo sta facendo scuola: nel 2012, infatti, Neri Pozza ha lanciato un premio letterario che, nelle parole del direttore editoriale, si ispira a quelli iberici. Insomma, malgrado la crisi che la attanaglia (ritratta con toni comici in O la borsa o la vita di Mendoza), la Spagna si è imposta come attore di spicco nel campo della produzione letteraria globale.