La sparizione della saggistica dai banchi delle librerie è sintomo di un problema più ampio, che negli ultimi anni ha visto affermarsi una preminenza della comunicazione sul contenuto comunicato.
Da ragazzo seguivo con passione il lavoro di mio padre, operaio tipografo e fotoincisore, ossia stampatore di immagini e non solo di caratteri. Il suo sogno era stampare solo libri fotografici di pregio dove magnifiche fotografie a colori erano commentate da illustri studiosi e destinate a un pubblico di studiosi. Per molti anni, prima di passare alla «Stampa» e abbandonare quindi il lavoro di tipografo e giungere a una perfezione nella fotoincisione che fu sormontata e soppiantata poi solo dall’applicazione delle moderne tecnologie informatico-tipografiche, aveva sognato di divenire un piccolo editore.
Nelle ore che dedicava all’insegnamento serale nei corsi paritetici, ossia cogestiti da sindacati padronali e sindacati operai, avrebbe non solo «fatto teoria», come diceva, ma stampato dei libri di pregio scritti dagli intellettuali con i quali, tramite la politica, veniva via via in contatto nel suo incessante ricercare spirituale. Mi diceva sempre che la differenza vera più profonda e spiccata non era solo quella tra uomini di paglia e uomini con la schiena diritta, ma tra tipografi e editori e il suo sogno, quindi, era quello di divenire editore. Penso che trovasse in questo modo una via di fuga dalla reificazione del lavoro e non solo dalla reificazione capitalistica, ma dalla reificazione tout court, che è un prodotto della mancata oggettivazione totale dello spirito nel lavoro, ossia nella realizzazione del sé, legando finito e infinito, nel lavoro medesimo. Del sé, nell’attività cognitiva più alta che ci sia, che è appunto il cosiddetto lavoro manuale. Anche qui il feticismo delle merci fa scambiare lucciole per lanterne e chiama manuale ciò che è invece consustanzialmente prodotto della mente, perché mentre si progetta e si prospetta si deve procedere altresì all’esecuzione o implementazione. E l’esecuzione è consustanziale a un pensiero complesso. La più semplice esecuzione deriva dal pensiero più complesso che ci sia, mentre la più cattiva esecuzione deriva da quello meno complesso. Non prevedendo variabili multiple ciascuna varianza di processo non prevista fa cadere nella polvere ogni schema lineare esecutivo.
Penso sempre a questo plesso di ricordi di una vita umana associata che appare sempre più lontana dall’oggi, quando rifletto su ciò che mi è apparso innanzi tra l’opera e la sua diffusione nella mia vita di scrittore «saggistico», ossia di scienziato sociale comunicante: di autore pubblicato. Sì, perché è essenziale definirsi autori pubblicati per impersonare appieno l’essere narcisistico dell’industria culturale. Devo dire di essere affetto da uno junghiano pregiudizio archetipale nei confronti della condivisione dei prodotti del mio pensiero. Penso di essere donativo, ma non voglio obbligare nessuno al controdono, «le don et le contre-don» à la Godelier, e al rito natalizio applicato a tutta la vita sociale, ossia la più grande invenzione di marketing mai apparsa sulla Terra, che tutti si sforzano di imitare come ci insegnò trent’anni or sono Lévi-Strauss. Per me ciò che conta è il capolavoro assoluto conchiuso nell’opera e non nel successo della diffusione sua e di riflesso dell’autore. Ma è proprio questo che oggi è scomparso. Oggi la comunicazione quale che sia fa aggio sul contenuto comunicato. E una sorta di nuovo fascismo mediatico che avanza. Non conta ricercare, ma parlare della ricerca. I sondaggi sono stati l’epifenomeno primigenio di tale processo distruttore della civilizzazione del libro e della ricerca medesima. E quindi il punto di congiunzione tra ricerca e libro non può che riflettere telluricamente questa scomposizione dell’essere nella frantumazione della realizzazione sempre incompiuta dell’infinito nel finito: la dialettica della riproduzione culturale non si realizza più. Le monadi studiano e scrivono per pochissimi che condividono l’alienazione della solitudine. Ai più si racconta della ricerca senza ricercare. Così può capitare di raccontare per anni che l’austerità in economia fa bene alla società e produrre la strage degli innocenti e accorgersi dopo che tutto era falso. Ma si è trattato di un incidente di percorso. Il finito si era ricongiunto all’infinito per un attimo fuggente. Ma non è importato nulla a nessuno. Il letto del fiume che si era aperto subito si è richiuso e nessuno è stato sommerso.
E ci stupiamo che non si stampi più saggistica nelle cattedrali dell’editoria? Ma non scherziamo… È appena l’inizio…