Dove si colloca oggi l’Italia sulla mappa degli scambi editoriali globali? L’abbiamo chiesto a due persone coinvolte nei processi di internazionalizzazione del mercato librario: Alberto Rollo, direttore letterario di Feltrinelli, e Paolo Grossi, direttore dell’istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, da anni attivo nella mediazione fra istituzioni culturali e mondo editoriale. Nel frattempo, in Italia, il 2012 è stato l’anno del rilancio di un’opera in grande sintonia con il carattere allo stesso tempo localistico e transnazionale del sistema letterario d’oggigiorno, l’Ulisse joyciano.
Alberto Rollo
Che cosa esporta all’estero una grande casa editrice italiana come Feltrinelli?
Feltrinelli è nata con una vocazione internazionale: Il Gattopardo fu venduto in tutto il mondo insieme a un romanzo russo di cui Feltrinelli aveva i diritti mondiali, Il dottor Zivago. Per quanto riguarda l’oggi, la prima cosa che appare evidente è la difficoltà di entrare nei mercati di lingua inglese. Oltrepassare la Manica e varcare l’oceano è veramente arduo: tutti gli autori di qualche peso non capiscono come mai si faccia tanta fatica ma la verità è che il mondo anglosassone è molto chiuso alla letteratura italiana. Insomma, dopo i grandi successi di Italo Calvino e Umberto Eco non c’è stata una vera esplosione di interesse da parte del pubblico. Diciamo che non esiste un automatismo e che l’interesse intorno agli autori italiani va riacceso ogni volta, a fronte di casi eclatanti e di opere di indubbio valore. L’ultimo serio tentativo di lancio nel Regno Unito è stato fatto con Niccolò Ammaniti, ma i risultati non sono stati quelli sperati. Per quanto riguarda gli autori del nostro catalogo, Simonetta Agnello Hornby è stata tradotta sia in America (Farrar, Straus and Giroux una delle più nobili case editrici americane) sia in Inghilterra (Penguin) ma anche in questo caso senza ottenere risultati veramente apprezzabili. E singolare come si sia fatta più fatica a imporre il suo romanzo maggiormente «inglese», Vento scomposto, puntando sulla cittadinanza londinese, cercando così di superare lo «sbarramento» dell’italianità. La verità è che il pubblico anglosassone coltiva ancora un’immagine troppo stereotipata dell’Italia. L’eccezione, in tempi recenti, è stata quella di Saviano, che è stato un fenomeno di portata globale, anche grazie alla caratteristica dell’opera a cavallo tra fiction e non fiction. Un discorso a parte merita la saggistica, recepita maggiormente anche in paesi di lingua inglese, dove i nostri interlocutori sono per lo più editori legati a realtà accademiche.
Il quadro appena delineato riguarda per lo più il contesto anglosassone. Quanto si riesce a esportare nel resto d’Europa?
Altrove la situazione è diversa: in Francia e Germania, per esempio, Alessandro Baricco, Stefano Benni o Gianni Celati sono pubblicati regolarmente. In generale il mercato funziona laddove tradizionalmente ci sono editori che dedicano un’attenzione particolare all’Italia. In ambito francese è stato molto importante Bourgois, che per primo ha lanciato Antonio Tabucchi, poi passato a Gallimard, Tiziano Scarpa e Pino Cacucci. Ora sono molto attive la casa editrice Actes Sud e Liana Levi (suo è stato lo straordinario successo di Milena Agus). In Germania un editore di riferimento è Wagenbach, a cui va il merito, per esempio, di aver importato con successo autori giovani come Davide Longo e Ugo Cornia, ma sono ricchi di scrittori italiani i cataloghi di Piper Verlag e Rowohlt. La Spagna dimostra un interesse costante per la letteratura italiana: accanto ai «grandi nomi», pubblicati da Siruela (Landolfi, Celati, Calvino ecc.), hanno ottenuto buoni risultati, fra i nostri autori, Simonetta Agnello Hornby, lanciata da Tusquets, e il giovane Alessandro Mari pubblicato da Seix Barrai. Quanto alle vendite nei mercati «emergenti», il posizionamento della Russia, potenziale forte acquirente, è ancora in via di definizione, mentre in Polonia e in Slovacchia, dove la comunità editoriale è molto attiva, si sono già visti risultati incoraggianti.
Sembrerebbe quindi che nelle dinamiche ricettive degli ultimi anni non si siano verificati mutamenti profondi. Oppure qualcosa comincia a cambiare?
Sono aumentati considerevolmente i volumi di scambio, ma questa è una tendenza generale. Riguardo agli ultimi anni bisogna osservare un dato molto interessante: mentre prima erano solo i «grandi nomi» a essere esportati, adesso si riesce a vendere anche il giovane scrittore che dimostri qualche valore letterario e che non scriva esclusivamente di tematiche italiane. Due esempi: Marco Mancassola, portato in Francia da Gallimard e più noto Oltralpe che da noi; e poi Giovanni Montanaro, un autore Feltrinelli acquisito in Francia, in Germania e in Svezia. Il dato rilevante, in questo caso, è che l’interesse degli editori è nato a partire dalla lettura, e non dal successo ottenuto in Italia. Un altro fenomeno reso possibile dalla dimensione globale del mercato editoriale è quello della fama acquisita in campi diversi da quello letterario, che – più o meno intenzionalmente – funge da traino per il prodotto librario. E il caso, per esempio, di Paolo Sorrentino: la sua notorietà all’estero come regista cinematografico è stata sicuramente un elemento determinante per l’acquisizione del suo romanzo. Questo cambia le carte in tavola. Perciò stiamo sempre più attenti a presentarci agli appuntamenti internazionali con un’offerta ben articolata: continuiamo a proporre, volenti o nolenti, materia «folclorica», ma lavoriamo molto anche su romanzi meno connotati all’interno di un immaginario collettivo ormai radicato a livello internazionale, ma che noi riteniamo di qualità.
Paolo Grossi
La mostra Copy in Italy. Autori italiani nel mondo dal 1945 a oggi, tenutasi presso la Biblioteca Nazionale Braidense nel 2009, è servita, tra le altre cose, ad avviare una riflessione sul ruolo dell’Italia in una prospettiva geoeditoriale, collocando il paese su una mappa letteraria globale. Durante i numerosi convegni e seminari che hanno accompagnato la mostra in Italia e all’estero, è emerso come negli ultimi anni gli scambi editoriali si siano ulteriormente intensificati. In qualità di direttore dell’istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, lei è attivo nella promozione della letteratura italiana. Vuole raccontarci la sua esperienza e spiegarci come si configura il ruolo delle istituzioni culturali in un simile contesto?
La mia esperienza è nata dalla constatazione della scarsa conoscenza che il mondo editoriale, nella fattispecie quello svedese, ha della realtà italiana. Tutto è cominciato quando, trent’anni fa, insegnai all’università di Uppsala. Allora, all’interno delle redazioni editoriali c’erano interlocutori che conoscevano l’italiano e, seppure in modo superficiale, la nostra letteratura. Quando sono tornato in Svezia come direttore dell’istituto, ho trovato una realtà diversa. Oggigiorno, pochi hanno conoscenza diretta della lingua, ci si affida per lo più a lettori esterni, accademici o traduttori. Un simile avvicendamento di figure intermediarie impedisce persino alle grandi case editrici di avere una linea editoriale forte; per questo le scelte vengono fatte molto spesso quasi per casualità, sulla base di criteri banali – l’ultimo Strega, l’ultimo Campiello – oppure semplicemente di classifica. Di qui l’opportunità di iniziative quali la rivista «Cartad’italia», o del progetto di sito a cui stiamo lavorando con Fondazione Mondadori. L’idea è fornire strumenti agli editori che, al di là della frequentazione delle fiere internazionali – di Londra e Francoforte -, hanno raramente modo di seguire da vicino gli sviluppi della letteratura italiana contemporanea. Dopo aver elaborato autonomamente un progetto di sito web dedicato alla promozione del libro italiano nel mondo, ho scoperto l’esistenza di esperienze analoghe in altri paesi: la Germania, per esempio, ne ha due, Litrix.de e New Books in German.
Quest’ultimo ha tra l’altro una collocazione interessante, Londra. Non è un’emanazione di istituzioni nazionali, ma si pone in un’ottica globale e transnazionale.
Sì, ed è tutto in inglese. Litrix è un’emanazione del Goethe Institut, e si pone in una prospettiva volutamente istituzionale. Mentre New Books in German è più aperto, ha un taglio più commerciale. Entrambe queste esperienze sono per noi fonte di stimoli.
Avvierete una collaborazione con il Centro per il libro e la lettura di Roma?
Ci terremmo ad averlo come partner e stiamo lavorando con Fondazione Mondadori proprio perché accanto al ministero degli Affari Esteri anche il ministero per i Beni e le Attività Culturali possa avere una parte in questa vicenda, ma – tengo a precisare – siamo ancora in una fase di progettazione e i due ministeri non sono ancora stati coinvolti. Vorremmo certamente attivare un rapporto virtuoso con la molteplicità di siti già esistenti rivolti alla promozione del libro, oltre che, naturalmente, con editori, istituti di cultura, fondazioni.
Read. LeggItaliano, da voi creato in collaborazione con Fondazione Mondadori, può forse considerarsi un primo esperimento in questa prospettiva?
Read è un prototipo di quello che potrebbe diventare il sito. Sono stati selezionati dodici autori, proponendone un «assaggio» tradotto nella lingua del paese ospitante [giapponese e svedese – N.d.R.]. Il titolo è Dodici scrittori italiani da scoprire. Per Tokyo, i brani selezionati sono stati raccolti in un e-book scaricabile gratuitamente. Per il salone di Goteborg, accanto all’e-book realizzato in collaborazione con Bookrepublic è stato stampato anche un volume cartaceo. Riteniamo che si tratti di una proposta interessante, anche perché un’esperienza analoga, seppur di minori dimensioni, ha già dato buoni risultati in passato. Mi riferisco al primo numero di «Cartaditalia» (dedicato al romanzo, curato da me e Domenico Scarpa), che presentava dieci autori mai tradotti in Svezia. Quattro di questi – Sandro Veronesi, Vitaliano Trevisan, Valeria Parrella e Roberto Alajmo – sono stati poi comprati da editori svedesi; è una percentuale altissima. Il dato interessante – di cui non vogliamo certo attribuirci il merito come Istituto – è che da allora sono nate tre piccole case editrici dedicate alla letteratura italiana. Si tratta di iniziative di giovanissimi, e l’istituto Italiano di Cultura è stato, in un certo senso, il suggeritore nascosto di molti loro titoli, di narrativa ma anche di saggistica.
Con la sua attenzione specifica alla letteratura contemporanea, quindi, Read. LeggItaliano vorrebbe essere complementare alla collana dell’istituto, nella quale avete dato maggiore spazio ai classici?
Certo. Abbiamo anche ripubblicato autori importanti, come Calvino, la cui opera era «spezzettata» tra editori di dimensione diversa e di cui abbiamo tradotto Perché leggere i classici. Lo stesso vale per Pasolini, che, malgrado la fama di cui gode in Svezia, è stato pubblicato per lo più da piccoli editori: oggi le può capitare di entrare in una libreria e di trovare come unici titoli disponibili quelli della nostra collana. Il nostro obiettivo non è quello di sostituirci agli editori, ma di svolgere una funzione di stimolo, di sollecitazione. E lo stesso vorremmo fare con la letteratura contemporanea: per Read. LeggItaliano, le scelte sono state fatte dagli editori coinvolti, che hanno sostenuto per intero le spese del progetto. Con il sito invece vorremmo porci come «mediatori informati» tra realtà editoriali di paesi diversi. Come nel caso di Litrix o di New Books in German, l’obiettivo è proprio quello di fornire strumenti per operare scelte consapevoli.
L’anno dei modernisti
Torniamo in Italia. Sugli scaffali della letteratura straniera è stato l’anno degli scrittori modernisti. Complice, una fortunata coincidenza temporale: nel giro di pochi mesi sono scaduti i diritti sulle opere di Francis Scott Fitzgerald, James Joyce e Virginia Woolf. I loro romanzi, pubblicati per lo più negli anni venti, erano arrivati in Italia, tranne qualche eccezione, nel secondo dopoguerra. Consacrati da traduzioni autorevoli – si pensi al Grande Gatsby di Fernanda Pivano – erano considerati libri «difficili», per lettori colti. E tali sono rimasti fino a tempi recentissimi: la scadenza dei diritti sembra ora cambiare le carte in tavola.
L’editoria italiana si è presentata puntuale all’appuntamento e ha riportato a nuova vita romanzi come Gatsby o Ulisse, proponendo non mere ristampe ma nuove traduzioni. O, nel caso di Woolf, opere di non fiction mai tradotte in italiano, come il Diario di viaggio in Italia, Grecia e Turchia (Mattioli 1885) e molti dei saggi contenuti nella corposa raccolta Voltando pagina, curata da Liliana Rampello per il Saggiatore. A colpire è appunto la notevole articolazione dell’offerta, volta a intercettare un pubblico ampio e diversificato. Nel caso di Gatsby, per citare solo alcune delle versioni pubblicate, si spazia dall’audiolibro cui ha prestato la voce un attore della fama di Claudio Santamaria, alla traduzione firmata da un autore caro a un certo pubblico giovanile come Tommaso Pincio per i tipi di minimum fax, alla versione di Franca Cavagnoli, collocata significativamente nei «Classici» Feltrinelli.
L’evento dell’anno è stato però il successo della nuova traduzione di Ulisse, realizzata da Enrico Terrinoni per Newton Compton: sei ristampe per un totale di 13.500 copie vendute in soli sei mesi. Joyce torna quindi a fare notizia accanto ai grandi successi «globali» esattamente trent’anni dopo essere riuscito, grazie alla traduzione di Finnegans Wake, a posizionarsi nella classifica italiana tra Cronaca di una morte annunciata e Gorky Park. Determinanti sono stati il tempismo perfetto – la versione einaudiana di Gianni Celati, anticipata a puntate sul domenicale del «Sole 24 Ore» come «capolavoro dell’estate», si farà attendere fino al 2013 – e il prezzo competitivo (9,90 euro per 854 pagine). Il dato interessante è soprattutto la strategia promozionale di Newton Compton, che ha presentato il nuovo Ulisse come un investimento sui classici, reso possibile anche dall’enorme successo di titoli mainstream, ottenendo così un ritorno d’immagine. Allo stesso tempo, però, collocando Ulisse nella collana «Mammut», il direttore editoriale Raffaello Avanzini ha dichiarato di voler «allargare lo zoccolo dei lettori di Joyce», facendo del romanzo illeggibile per antonomasia un libro «popolare». Ed è partito dalla copertina, dove la caricatura di Joyce ammicca al lettore.
La traduzione di Enrico Terrinoni si muove esattamente in questa direzione, volta com’è a recuperare le cadenze colloquiali che segnano lo humour tutto irlandese di Joyce. Ma la partita non si gioca solo sul piano formale: Terrinoni ha recepito l’interpretazione in chiave post-colonial di Declan Kiberd – curatore, non a caso, dell’edizione tascabile Penguin -, sottolineando la portata politica di Ulisse per la storia irlandese, nell’intento di sfatare il mito di un’opera astratta dal reale, la cui scommessa si gioca solo sul piano estetico. Che Ulisse possa diventare, come si sono spinti ad affermare alcuni, un «libro per tutti», è alquanto difficile. Ma quando sarà disponibile anche l’intera traduzione di Celati – erede diretta della prima versione mondadoriana nella sua interpretazione del romanzo joyciano come epopea del linguaggio – a ogni lettore toccherà scegliere il proprio Joyce. Anche in Italia, ormai, Ulisse ha tutte le carte in regola per diventare un classico della «letteratura globale».