Nella tempesta di cifre negative che ha investito il mondo editoriale nella prima metà del 2012 l’unico dato che possiamo provare a prendere come incoraggiante è quello che disegna un calo meno sensibile delle librerie indipendenti rispetto alle librerie di catena. Ma resta il fatto che – tra e-book, online store, self-publishing e quand’altro – le librerie sembrano aver perso quella posizione di rilievo che prima avevano nella vita di molti lettori, o almeno di quelli forti.
A giugno scorso Milan Kundera ha pronunciato un discorso di ringraziamento per il premio all’insieme della sua opera che la Bibliothèque nationale de France gli ha conferito. Secondo lui «il nostro tempo comincia a mettere i libri in pericolo» ed è a causa di questa angoscia che da molti anni ormai aggiunge a tutti i suoi contratti, in qualsiasi paese del mondo, una clausola in base alla quale i suoi romanzi «non possono essere pubblicati che sotto la forma tradizionale del libro». «Affinché li si possa leggere solo su carta – aggiunge lo scrittore – non su uno schermo.»
In un altro contesto, gli editori Claudia Tarolo e Marco Zapparoli (Marcos y Marcos) hanno dichiarato i motivi per cui una delle poche sorprese positive nell’editoria libraria italiana di quest’anno – Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, tradotto in sei lingue e presto al cinema – non esiste in versione e-book: «per noi sostenere i librai significa dare a loro e al libro fisico l’esclusiva».
La pretesa di Milan Kundera ha senz’altro il valore di nobile attaccamento a quel modo «libresco», come lo chiama George Steiner, di considerare gli scritti, ma nessuna clausola può fermare la nuova realtà che avanza e tramite una semplice ricerca in Google oggi chiunque è in grado di scovare in rete la celebre edizione Adelphi dell’Insostenibile leggerezza dell’essere illegalmente digitalizzata e pronta per essere «scaricata» in formato pdf su e-reader, tablet o telefonini (del resto, secondo stime dell’Associazione italiana editori, tre e-book su quattro in classifica esistono già sul web in versione pirata).
Così come possiamo ipotizzare che, nonostante la lodevole iniziativa e l’intraprendente creatività, i risultati di vendita della prima notte bianca delle librerie indipendenti – organizzata, tra gli altri, da Marcos y Marcos il 21 giugno scorso – non serviranno purtroppo a cambiare il tetro panorama che i dati più recenti hanno dipinto sullo sfondo dell’editoria italiana del 2011 e dei primi mesi del 2012.
«La tempesta perfetta», «Libri e librerie in profondo rosso», «Il dicembre peggiore degli ultimi trent’anni»: sono solo alcuni dei titoli che abbiamo letto sui quotidiani nazionali nei giorni del Salone del Libro di Torino quando l’Associazione italiana editori ha presentato i dati Nielsen per il settore: un primo trimestre 2012 che segna – 11,8% a valore sull’anno precedente, con il segno negativo che ricade soprattutto sulle librerie di catena (-12,8%), seguite dalla grande distribuzione (-11,7%) e dalle librerie indipendenti (-10,6%). Per le librerie online c’è un -12,4% che non comprende però i dati Amazon e che non ha quindi nessun valore reale.
In questo stillicidio di numeri negativi, l’unico dato che potremmo provare a prendere come incoraggiante è quello che disegna un calo meno sensibile delle librerie indipendenti rispetto alle librerie di catena. Si tratta di un dato che ribalta la situazione registrata da Nielsen lo scorso anno (-5,2% per le indipendenti e +10,9% per le catene) e che se l’anno prossimo venisse confermato potrebbe essere un utile incoraggiamento per tutti gli attori in scena (autori, editori, lettori) ad ascoltare un po’ di più la flebile voce dei librai indipendenti, troppo spesso soffocata dai sonori proclami dei colossi dell’editoria italiana.
Cosa è successo alle librerie di catena?
Gli accordi commerciali fra le librerie di catena e le case editrici hanno portato a una massificazione tale da «ingorgare» il sistema. «Pur di ottenere percentuali di sconto maggiori ci siamo portati in libreria quantità enormi di titoli che, in moltissimi casi, non hanno portato ai risultati sperati» spiega il libraio bolognese Marino Buzzi (cronachedallalibreria.blogspot.it), che prosegue: «L’enorme quantità di prodotti che hanno invaso le librerie negli ultimi anni ha portato a una saturazione del mercato […]. A un certo punto, a parte pochissimi casi, non è più bastato comprare la vetrina o chiedere al libraio di turno di costruire grattacieli con il presunto best seller. Le vendite sono calate drasticamente e lo scontrino medio è sceso sia per numero di libri che per prezzo del singolo libro». Sempre Buzzi: «Chi lavora in una libreria di catena sa che il nostro ruolo, oggi, è quello di fare tessere, di servire il più velocemente possibile il cliente, di esporre libri che non abbiamo scelto noi».
In questo contesto non stupisce che durante il Salone del Libro di Torino cinquantasei editori abbiano firmato un manifesto che è un vero e proprio atto di accusa verso la PDE, la casa di distribuzione che storicamente distribuiva i piccoli editori ma che dal 2008 fa parte del gruppo Feltrinelli e che oggi con Messaggerie, RCS e Mondadori si divide il mercato della distribuzione. Nel manifesto i piccoli editori lamentano che una riduzione «forzata» della presenza in libreria «causa prenotati a volte insignificanti, oppure un innalzamento eccezionale del tasso di resa dovuto soprattutto a insolvenze finanziarie della filiera e non a carenze delle case editrici». Secondo i firmatari del manifesto, il problema risiede nei sempre maggiori accentramenti dei processi produttivi e nei recenti cambiamenti strutturali: nella distribuzione e nella promozione, nei riassetti e nelle riconfigurazioni di interi settori, nelle aggregazioni e nelle acquisizioni. Come non vedere, del resto, il problema che attraversano oggi questi editori? Una volta i distributori come la PDE facevano un po’ da «incubatore» per i piccoli, li promuovevano, li proteggevano. Senza contare che, storicamente, la promozione e la distribuzione erano separate in modo da creare quella sana concorrenza che giovava ai libri e che chiaramente oggi si perde.
«Cari editori, ascoltate i librai indipendenti»
L’associazione che raggruppa il maggior numero di librerie indipendenti del nostro paese, l’ALI, le definisce «attività commerciali libere, senza altro interesse se non quello di vendere libri. Luoghi dove le persone si confrontano, dove il consiglio del libraio è ancora un bene prezioso, dove la politica di assortimento e di presenza degli editori è garanzia di pluralità e di libera circolazione delle idee; dove la pratica del consumo culturale non degenera in cultura consumata». Ma oggi le librerie indipendenti non hanno vita facile, minacciate da un lato dai colossi di catena e dall’altro dalle librerie online.
Secondo Alberto Galla, presidente dell’ALI: «alle problematiche della filiera bloccata si aggiungono oggi quelle relative alla forte crisi dei consumi e alla trasformazione del mercato, con il grande sviluppo del commercio online di libri fisici e il lento e inesorabile avanzare del libro digitale». Avviata una fase di forte rinnovamento che poggia su un programma di formazione permanente, l’ALI auspica anche un rapporto nuovo e maturo con gli editori e in questo senso il suo presidente si fa portavoce di una proposta: «che tutti, i grandi come i piccoli editori, si concentrino a produrre buoni libri». Perché la difficoltà delle librerie indipendenti si può, sempre secondo Galla, ricondurre principalmente a problemi di natura finanziaria causati dall’eccessiva produzione editoriale. E in un mercato caratterizzato più dall’offerta che dalla domanda è fatale che questo avvenga.
Librerie di catena e librerie indipendenti sembrerebbero quindi accomunate dagli stessi problemi. Non solo l’editoria parafrasando Jéròme Lindon – è l’unico settore che ha risposto a una diminuzione della domanda con un aumento dell’offerta. Tanto più, megastore e piccole librerie si trovano a dover affrontare quello che, nell’ambito del vero e proprio tracollo delle vendite registrato fra l’ultimo quadrimestre del 2010 e l’ultimo quadrimestre del 2011 (il numero di acquirenti di «almeno un libro» è diminuito del 10%), è il dato forse meno prevedibile e di conseguenza maggiormente angosciante, cioè il calo dei lettori forti (-20% negli acquisti e -18% nella lettura) dai quali, come è noto, l’economia del libro dipende in maniera sostanziale. E in questo senso i dati Nielsen sono inesorabilmente confermati anche dall’Istat (dati diffusi il 21 maggio 2012): tra i 700mila lettori che si sono volatilizzati nel 2011 molti sarebbero proprio i lettori forti.
Dove sono finiti i lettori forti?
Si potrebbe imputare questo calo agli effetti della Legge Levi e proprio mentre scriviamo si sta svolgendo un incontro in Commissione Cultura della Camera con l’intento di analizzare il mercato a dodici mesi dall’entrata in vigore della tanto dibattuta legge che regola il prezzo dei libri (Legge 128 del TI luglio 2011). Valutazioni tutt’altro che facili da fare, visto che la cosiddetta «legge anti-Amazon» è arrivata in contemporanea con la crisi economica generale e con il rallentamento delle vendite. Secondo Gino Roncaglia, per esempio, «l’errore di strategia non poteva essere peggiore: proprio in un momento di crisi, in cui sarebbe stato essenziale rafforzare la percezione del carattere anticiclico del libro, si è data invece l’impressione di un giro di vite sui prezzi» senza contare che «un risultato collaterale del tetto agli sconti è stato quello di esacerbare il meccanismo Newton Compton: per fare percepire al lettore di aver fatto un buon affare, non avendo a disposizione la valvola degli sconti, si ricorre sempre più spesso a prezzi di copertina aggressivi, molto visibili ed esageratamente bassi, con il contrappasso spesso rappresentato dalla bassa qualità dei contenuti del prodotto editoriale».
Ma ci si potrebbe anche, legittimamente, chiedere se i lettori forti, spinti dalle motivazioni più diverse e imperscrutabili, non siano invece passati al digitale. Se ci atteniamo ai dati forniti dal Centro per il libro e la lettura sembrerebbe di no, perché la percentuale dei lettori che hanno acquistato almeno un e-book nel corso del 2011 è solo dell’ 1 %. Ma i dati Istat sulla produzione libraria ci dicono invece che nel 2011 il 17,5 % dei lettori forti (contro il 4,3% dei lettori deboli) ha acquistato prodotti editoriali tramite Internet. E sappiamo inoltre che nell’ultimo anno sono stati venduti in Italia circa 400mila e-reader. In questo modo i conti tornerebbero e si confermerebbe anche la tendenza che arriva, neanche a dirlo, dall’America: il ritratto del lettore di e-book proposto dall’ultima ricerca del Pew Research Center è quasi perfettamente sovrapponibile a quello del lettore forte di libri stampati, e secondo il Book Publishing Report gli e-book «anziché scovare nuovi lettori, per lo più hanno cambiato il DNA dei lettori e degli acquirenti di libri che già c’erano».
Come dire: per resistere agli e-book, le librerie hanno una sola via d’uscita: vendere gli e-book.
Strategie di sopravvivenza
Come è emerso, per esempio, al convegno Soluzioni per vendere l’e-book in libreria del Salone del Libro di Torino. Lì Giorgio Pignotti, della libreria Rinascita di Ascoli, ha illustrato l’esperienza di MacBOOK, il sistema gestionale che permette di vendere a un ipotetico cliente libri sia di carta che elettronici, convinto che i secondi possono essere la soluzione ideale per accontentare chi cerca libri da tempo fuori catalogo o anche solo momentaneamente esauriti. Ma non necessariamente, perché questa – come ha fatto notare invece Marco Ghezzi, della piattaforma Bookrepublic – è un’impostazione culturale che guarda all’e-book ancora come un surrogato del cartaceo, mentre sarebbe bene iniziare a considerarlo come un prodotto in sé vero e proprio. «C’è anche da dire» ha aggiunto Pignotti «che se lo 0,9% su cui quest’anno si sono attestate le vendite di e-book in Italia diventasse il 20% degli Stati Uniti, i librai finirebbero per chiudere tutti, perché nessuno si può più permettere il 20% in meno di fatturato». Ecco perché il libraio deve aprirsi all’e-book, «perché fai il libraio, cioè il mediatore culturale, perché sennò lo fa qualcun altro e un sacco di altri perché», tra cui quello citato da Maurizio Guagnano, della libreria Liberrima di Lecce: per lui è addirittura «necessario» che gli e-book siano venduti in libreria, per «far sì che il lettore in libreria continui ad andarci, e non si accontenti della scorciatoia dei siti di e-commerce, dove trova il cartaceo e l’e-book con qualche clic senza muoversi da casa». «E come se il libraio dovesse sempre difendersi da qualcosa (una volta le grandi catene, adesso l’e-book) e non invece agire. E vero, col 20% in meno di fatturato non si campa, ma sostituendo quel 20% con qualcos’altro, lavorando come negozio, allora ce la si può fare. Insomma, il libraio deve attrezzarsi, pensare di andare un po’ avanti». Come sta facendo il gruppo Simplicissimus, che a Torino ha anticipato Ultima Books Pro, un progetto per vendere gli e-book anche all’interno dei negozi fisici indipendenti, dove gli stessi librai non solo consiglieranno i clienti ma potranno scaricare per loro i libri elettronici.
E sempre nell’ottica dell’integrazione tra digitale e fisico si colloca sicuramente una delle grandi novità di quest’anno, vale a dire la nascita di un nuovo operatore multicanale, «prodotto» della fusione tra Ibs.it e la catena di negozi Melbookstore. Un nuovo soggetto, di primaria grandezza, con un fatturato complessivo di 100 milioni di euro, circa 260 addetti, 9 grandi negozi con una superficie complessiva di 8.000 mq, un magazzino centrale di 9.000 mq, i siti internet Ibs.it, MYmovies.it e Wuz.it. Al centro di tutta l’operazione c’è un ambizioso progetto di formazione che punta alla creazione di un nuovo tipo di libraio: «oltre a essere capace di consigliare i titoli, dovrà essere in grado di aiutare a scegliere e a usare un e-reader, a scaricare per il cliente il titolo introvabile e persino a reinstallare un software che non funzioni. Questo libraio sarà un consulente del lettore che non si limiterà a vendere i libri della “sua” libreria ma che, se necessario, spiegherà passo passo come accedere allo sterminato catalogo online di Ibs.it» spiega Alberto Ottieri, presidente di Giunti e Messaggerie.
Poi c’è un esempio che è sotto gli occhi e sulla bocca di tutti, quello della catena di librerie inglese Waterstones salvata dal fallimento e acquistata da un oligarca russo (Aleksandr Mamut) che, subito dopo l’acquisto, ha messo a capo delle librerie James Daunt (fondatore di Daunt Books, una catena di cinque librerie che puntano tutto sulla preparazione dei librai, sulla qualità dei libri e su un catalogo forte). Un incarico, quello in Waterstones, che ha obbligato Daunt a includere tra le sue priorità l’e-commerce e le operazioni online, a diventare competitivo nel mondo dei dispositivi digitali e della lettura elettronica. Secondo lui tutti i librai, oggi, devono conoscere la rivoluzione digitale in atto: «gli e-book esistono e per noi librai costituiscono un’enorme opportunità […], dobbiamo fare in modo che l’offerta digitale sia almeno altrettanto buona di quella di Amazon, dobbiamo diventare bravi anche nel distribuire, oltre ai libri fisici, gli e-book, i tablet, gli e-reader». Sembra cauto invece, a proposito, Carlo Feltrinelli: «L’idea di James Daunt di attivare la vendita di e-book all’interno delle librerie può essere una buona idea, ma per ora sospendo il giudizio. Noi puntiamo a una maggiore integrazione tra il sito Feltrinelli e il luogo fisico delle librerie, cercando di creare un mondo coerente e funzionale».
Digitale all’italiana
Sulle «Amazon italiane» e sugli e-book mancano dati reali (il fatto che, per politica aziendale, Amazon non li fornisca non permette di fare confronti) e c’è ancora confusione ma, fatte le debite differenze con la trimurti americana (ad Amazon e a Apple Store da maggio si è aggiunto anche Google Play), i risultati cominciano a vedersi anche da noi.
L’ultimo rapporto dell’Associazione italiana editori parla di un aumento del 55,3% degli acquirenti e del 59,2% dei lettori di e-book nel 2011. La quota di mercato è ancora piccola (0,9% dei canali trade) ma, se guardiamo per esempio alla produzione di titoli, a maggio 2012 si registra già un aumento del 180% sul 2011 (4,4% dei titoli in commercio)
Secondo i calcoli effettuati dal «Corriere Economia» al 25 aprile 2012 erano stati venduti, in un anno, 456.400 e-book da quelli che potremmo definire i cinque protagonisti dell’e-book all’italiana: Ibs, Feltrinelli, Boi, Bookrepublic e Edigita. Le prime tre sono librerie online pure, la quarta è una libreria-distributore mentre Edigita fa caso a sé come distributore puro. Sempre secondo stime incrociate sui dati di vendita forniti dagli interessati (e sempre escludendo Amazon), Ibs (del gruppo Giunti e Messaggerie) deterrebbe una quota di mercato pari al 20%, Feltrinelli del 18%, a seguire Boi (di Mondadori), Edigita con il 15% e Bookrepublic con il 9%. A questi andranno aggiunti almeno i nomi di Ultima Books, Libreria Rizzoli, Cubolibri, Webster, Libreriauniversitaria, Ebooksltalia, Deastore, Hoepli. Da segnalare, a nostro parere, non solo l’attivismo mediatico ma anche l’approccio facilmente accessibile e insieme molto innovativo di Bookrepublic e di Ultima Books. Il primo si distingue per la continua proposta di «bookpack», raccolte che racchiudono ora titoli di grandi autori, ora le saghe più note, ora particolari percorsi di lettura pensati dalla redazione e venduti a un prezzo scontato; il secondo si caratterizza per il fatto che in alcuni casi offre, insieme alla possibilità di comprare gli e-book, anche quella di noleggiarli, per due o sette giorni. Entrambi gli store inoltre forniscono un numero telefonico al quale si può rivolgere l’utente che si trovi eventualmente in difficoltà con le procedure di acquisto online: un servizio non da poco nell’era della disintermediazione digitale.
Un discorso a parte merita invece lo sbarco in Italia di Google Play, avvenuto, come dicevamo, a maggio 2012 e da «tenere d’occhio» per almeno due motivi. Innanzitutto perché dopo Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia, il nostro paese è il primo di lingua non anglosassone dove il sito più visitato al mondo estende il suo servizio di vendita di libri digitali: per una volta siamo dunque in anticipo rispetto a Francia e Germania. Poi perché il suo sistema di fruizione, totalmente innovativo, si pone come una vera alternativa rispetto al modello dominante: Google, infatti, non sceglie di puntare su un dispositivo ma consente di sfogliare l’e-book direttamente dal browser web grazie al cloud computing. Vale a dire che il libro diventa visibile su tutti i dispositivi che siano semplicemente connessi a Internet, dal pc, agli smartphone ai tablet, agli e-reader (eccetto il Kindle, per ora) e che se si interrompe la lettura su uno dei supporti si può ricominciare su un altro nello stesso punto in cui ci si era interrotti. Dopo la lettura, l’e-book resta nei server Google, accessibile dal proprio account, che diventa a tutti gli effetti uno spazio virtuale in cui conservare la propria biblioteca, e registrandosi ogni volta con il proprio username e password il sistema elimina anche la necessità del DRM (Digital Rights Management), ovvero la tanto discussa tecnologia antipirateria usata dalla maggior parte dei grandi editori italiani. Senza eliminare però – anzi aumentando – la possibilità di tenere traccia di ogni nostra azione online. Sì, perché Amazon, Apple e Google riescono ad avere sui loro lettori informazioni molto precise grazie alle App (applicazioni) che servono a scaricare il libro e a connettersi con la libreria virtuale. I vari tablet utilizzati per la lettura degli e-book registrano quanto tempo un lettore dedica alla lettura, come ha scelto il libro, quali parti legge e quali decide di trascurare, quanto tempo impiega a leggere un determinato numero di pagine, quante ore dedica ogni giorno alla lettura. Tutte informazioni preziose per orientare il mercato. Barnes & Noble, per esempio, ha iniziato da tempo a raccogliere dati sulle abitudini dei lettori e ha deciso di comunicarli agli editori per aiutarli a produrre libri in grado di interessare il lettore.
«Gli editori devono sudare»
Secondo Jeff Bezos oggi nel business editoriale ci sono solo due attori ad avere il futuro garantito: i lettori – che con gli e-book risparmiano e hanno accesso alla loro libreria virtuale in ogni momento – e gli autori ai quali Amazon paga il 70% dei diritti. «Tutti gli altri devono lavorare per assicurarsi un futuro» e, a guardarla da una certa prospettiva, l’altro anello più debole della catena, dopo quello della distribuzione libraria, sembrerebbe proprio essere la mediazione editoriale. Perché digitalizzare il catalogo oggi non basta più e il vero salto per gli editori diventa rovesciare l’intero processo di produzione, pensando a un libro digitale che solo poi (forse) verrà stampato, come avviene nella serie «Rizzoli First»: una collana di narrativa che esce prima in versione e-book, anche in inglese, e che solo in un secondo momento vedrà, eventualmente, le stampe. Una strategia editoriale questa già saggiata da Rizzoli nell’ottobre 2011 – quando ha pubblicato in anteprima digitale War Horse di Michael Morpurgo mentre il libro di carta e il film di Spielberg sono usciti tra gennaio e febbraio di quest’anno – con percentuali di vendita e-book comparabili a quelle del mercato americano secondo quanto dichiarato da Marcello Vena, responsabile digitale in RCS Libri, che specifica: «sperimentiamo il lancio in anteprima digitale di titoli per cui abbiamo una fondata certezza che tale operazione sia più efficace rispetto alla pubblicazione in contemporanea carta più digitale. E un nuovo modo di fare editoria che si aggiunge e non si sostituisce agli altri». Con questa logica stanno nascendo anche altre collane esclusivamente digitali che per ora hanno scelto soprattutto di utilizzare la forma breve, spesso un racconto o un reportage, al prezzo di un caffè: «Feltrinelli Zoom», «Chiarelettere Originai», «SperlingTips», «In un batter d’occhio» (Vallardi), «zeroquarantanove» (Newton Compton) sono alcuni esempi che si vanno ad aggiungere alla produzione degli editori nativi digitali come 40k e Sugaman. Mentre Laterza sta sperimentando il social e-book, un libro interattivo lanciato a capitoli online, e Quintadicopertina (altra casa editrice digitale, nata nel maggio 2010) propone al prezzo di 12 euro l’abbonamento per un anno a un singolo autore che si impegna a pubblicare almeno quattro testi inediti, oltre a intrattenere un rapporto personale con il lettore attraverso le e-mail e i social network.
Ma, e-book a parte, va detto che la battaglia tra la vecchia e la nuova editoria si gioca su un’altra questione che appare ormai cruciale: il self-publishing. Un sistema di pubblicazione autonoma che non solo porta grandi vantaggi agli autori già affermati (lo ripetiamo: Amazon, nella veste di editore, garantisce all’autore niente poco di meno che il 70% dei diritti), ma che fatalmente attrae molti aspiranti scrittori rifiutati dalle case editrici (è sulla bocca di tutti il caso, ormai ben noto, di Amanda Hocking i cui romanzi, nati dal self-publishing, sono diventati best seller di carta, tradotti anche in italiano). Secondo l’Associazione italiana editori sono 38-40mila le opere autopubblicate disponibili a oggi, in formato cartaceo, nel nostro paese: il 5-5,5% dei titoli in commercio. Numeri a cui si aggiungono anche 6.000-6.500 e-book creati con il self-publishing (sebbene, precisa l’AIE, questa cifra comprenda anche una fetta degli stessi testi cartacei ma in versione digitale). Negli Stati Uniti i titoli usciti con il self-publishing sono stati 211.269 nel 2011, di cui il 41% e-book. Secondo una ricerca di A.T. Kearney-Bookrepublic dello scorso febbraio, nel 2011 negli Stati Uniti la quantità di download di libri autopubblicati è stata pari al 3-5% del mercato complessivo dell’e-book e il self-publishing ha provocato una perdita di fatturato per gli editori tra i 70 e i 120 milioni di dollari. Nessun dato, invece, è ancora disponibile sui ricavi (o le perdite) legati al self-publishing in Italia. Alla domanda che sorge spontanea – se gli autori possono rivolgersi direttamente ai lettori, quale ruolo rimane per gli editori? – risponde bene Giovanni Peresson, responsabile Ufficio studi dell’AIE: «L’attuale sistema del self-publishing è piuttosto un self-printing, perché non è previsto alcun lavoro editoriale. Degli editori c’è ancora bisogno. I libri autopubblicati, per esempio, sono essi stessi un bacino in cui fare scouting e qualcuno lo ha già capito: Gems attraverso il meccanismo del concorso letterario IoScrittore; Piemme con un servizio di self-publishing destinato ai bambini lettori di Geronimo Stilton; Mondadori annunciando una piattaforma di autopubblicazione che sarà lanciata a breve». Tutto vero e sacrosanto, ma dall’e-book pubblicato con l’editore all’e-book pubblicato con Amazon o autopubblicato il passo è davvero breve ed è questa forse – questo possibile cambiamento del rapporto di forza con gli editori – una delle chiavi che potrebbe (e dovrebbe) spingere i librai a non ragionare solo come commercianti. Che comunque devono sudare, anche loro.
Fatti i libri, ora dobbiamo fare i lettori
Persino il «Guardian» si è chiesto recentemente se le recensioni online dei lettori superino quelle dei critici nel motivare all’acquisto e sulle pagine del «Corriere della Sera» Filippo La Porta ha proclamato la fine della critica, «o almeno di qualsiasi pretesa di autorevolezza e prestigio della critica tradizionale», notando che sulla quarta di copertina di un libro di un grande editore (Rosa candida, Einaudi) è riportato il giudizio anonimo di una lettrice su Amazon.
In realtà in rete succede anche di peggio e si arriva fino alla promozione letteraria occulta come nel caso degli scrittori Stephen Leather e Roger Jon Ellory che hanno recentemente ammesso di aver diffuso autorecensioni favorevoli usando pseudonimi allo scopo di creare un efficace passaparola sui propri libri. Dall’autopubblicazione all’autorecensione il cerchio sembra chiudersi e in rete impazzano fenomeni editoriali di puro narcisismo e proliferano autori che sembrano non avere più bisogno di editori, redattori, promotori, librai né critici.
Almeno dei lettori, ci auguriamo, non si potrà mai fare a meno, anche se oggi stiamo forse tornando alla lettura che Antoine Compagnon definisce «intermittente, digressiva e collettiva» praticata prima che il testo stampato spingesse i lettori «all’individualismo, alla solitudine e all’immaginazione» e anche se per captare l’attenzione del lettore che è nomade e scivola di continuo da un contenuto all’altro occorreranno nuovi strumenti di diffusione: «saranno necessarie nuove pratiche commerciali, rompendo con il principio dominante che associa un libro a un prezzo a vantaggio di abbonamenti, acquisto per capitoli, lettura in streaming, prezzi variabili nel tempo», secondo le parole di Frangoise Benhamou.
Ma intanto è un dato di fatto che le librerie abbiano perso quella posizione di influenza che prima avevano nella vita di molti lettori e che in Italia non esiste il corrispettivo di Hay-on-Wye, la Mecca dei bibliofili e dei lettori, il paese dove c’è una libreria ogni quaranta abitanti, il Paese dei libri come nel titolo del bellissimo libro di Paul Collins che in America e in Inghilterra ha avuto grande successo e diverse edizioni mentre da noi, tradotto nel 2010 da Adelphi, sembra essere passato quasi del tutto inosservato.