Non è vero che i nuovi lettori leggono meno, anzi grazie alla scolarizzazione di massa, leggono di più, ma in modo diverso, meno sequenziale e più mirato alla ricerca dell’informazione. Probabilmente dietro i comportamenti non lineari dei nativi digitali sta lo spazio offerto dalle nuove tecnologie ai diversi stili di apprendimento e di intelligenza. Per gli editori, andare incontro alle nuove esigenze è una sfida impegnativa, in una congiuntura densa di incertezza.
In questa intervista a Giuseppe Ferrari, direttore editoriale di Zanichelli, affrontiamo la questione dei nuovi stili di apprendimento e di lettura legati ai new media e alla digitalizzazione dei testi, in relazione all’editoria scolastica e a quella dei reference.
Cosa ne pensa della lettura sugli schermi, ormai praticata sia dagli immigranti digitali sia dai nativi digitali (in altre parole dagli adulti e dai giovani o giovanissimi)? Come evolverà e quanto influisce già oggi sul modo di creare dei contenuti culturali?
Ci troviamo in uno scenario in evoluzione, in cui nessuno sa esattamente dove andremo a finire ed è in grado di prevedere il futuro. Credo che nei prossimi anni vivremo in un mondo ibrido in cui esisteranno in modo complementare strumenti digitali e cartacei, ciascuno con i propri vantaggi e svantaggi. Già adesso, per esempio, io sono abbonato all’«Economist» e a volte lo leggo su carta altre lo leggo o lo ascolto sull’iPad, in base a dove mi trovo e quanto tempo ho a disposizione. I nuovi dispositivi influenzano il nostro modo di leggere e in particolare la lettura sugli schermi condizionerà in misura crescente anche il modo di produrre contenuti. Mi sembra interessante la metafora usata da Luisa Carrada, autrice del blog «Il mestiere di scrivere», che dice press’a poco così: «Quando una persona legge sullo schermo vede il testo come se stesse osservando un paesaggio dall’alto di una montagna: avendo un colpo d’occhio su tutto l’insieme e percependo distintamente i vari elementi di cui è composto». Così si tende a leggere non da sinistra in alto a destra in basso, riga per riga in maniera lineare, ma si cerca di capire la struttura del testo, come se si volesse subito cogliere la sostanza di ciò che sta scritto.
Una tendenza già in atto da un po’ di tempo, ma enfatizzata con la lettura digitale dove chi crea contenuti culturali pensa a cosa sia più importante mettere in evidenza, magari nelle prime cinque righe oppure attraverso i titoli, che effettivamente sono gli elementi che più colpiscono il lettore. Nella creazione di un testo, pertanto, si è più portati oggi a dare particolare rilievo alla sua struttura, anche e soprattutto attraverso la grafica che acquista un’importanza maggiore (specialmente per un certo tipo di opere come i libri scolastici, i manuali, i reference book, nda).
Detto questo, la lettura a schermo ha il grande vantaggio di avere dei link, e conseguentemente offre molte possibilità di approfondimento e conoscenza: se si ignora il significato di qualcosa che sta scritto sulla pagina (che sia una parola o un concetto) si può cercarlo in rete attraverso i collegamenti presenti nel testo stesso. Nel contempo però, accanto a questo evidente vantaggio, c’è anche lo svantaggio di perdersi: una possibilità di fuga che bisogna tenere controllata limitando in qualche modo la libertà assoluta, che per certi versi può rivelarsi inconcludente se non si hanno gli strumenti per orientarsi. C’è infatti un altro tema che riguarda la lettura digitale e che è sostanzialmente legato al supporto fisico su cui avviene la pratica: il libro è un oggetto tridimensionale che dà un senso di completezza; è un oggetto finishable, ovvero chiuso. Io so che tutto è contenuto lì dentro e ho la consapevolezza di quanto devo leggere per arrivare alla fine. Al contrario su Internet mi risulta difficile capire dove finisce una cosa e dove ne inizia un’altra: posso non uscirne più, proprio per la struttura a ipertesto ramificata (e virtuale) tipica della rete.
Nella creazione dei contenuti è giusto quindi offrire la possibilità di ulteriori approfondimenti senza dimenticare però di dare la sensazione di un testo compiuto, perché si rischia altrimenti di favorire una sorta di «libertà mal interpretata». Io credo che in questo processo di evoluzione e di selezione darwiniana degli strumenti di lettura il libro in senso stretto abbia ancora molto spazio. Credo che rimanga (e rimarrà), perché, come dice Severgnini, è una tecnologia perfetta. E come il bottone e l’asola, anche se il più delle volte usiamo le zip o come l’orologio a lancette, anche se usiamo gli orologi digitali o i cellulari.
Come giudica i nuovi strumenti digitali e qual è il loro ruolo negli attuali processi di apprendimento non lineari delle nuove generazioni?
Come dicevo prima, attualmente ci troviamo in una situazione di incertezza su più fronti. Noi, come editori, dobbiamo cercare di andare incontro alle nuove e diverse esigenze di apprendimento dei nativi digitali. Probabilmente dietro ai loro comportamenti non lineari si trova lo spazio offerto dalle nuove tecnologie ai diversi stili di apprendimento, che assecondano i diversi tipi di intelligenza che una persona può avere. C’è chi, per apprendere un concetto, preferisce leggere un testo, chi preferisce guardare un video, chi giocare attraverso un software interattivo che esplora i contenuti. Questi nuovi strumenti tecnologici danno la possibilità di scegliere i modi di apprendimento più adatti a se stessi essendo assolutamente alla portata di tutti. In passato, l’esistenza di un solo supporto implicava delle oggettive limitazioni: se una persona non amava la lettura era tagliata fuori dalla scuola e dall’apprendimento, con un grosso handicap sia durante gli anni dell’istruzione obbligatoria sia in quelli successivi (il caso limite è ben rappresentato dai dislessici, che hanno grosse difficoltà a interpretare un testo). In questo senso considero i nuovi dispositivi di lettura delle grandi opportunità che vanno incontro a esigenze diverse di apprendimento nella direzione di una sorta di democratizzazione del sapere.
Con Internet si è sovraesposti alle informazioni, con conseguente effetto da un lato di apertura mentale, dall’altro di essere colpiti da informazioni non volute. In altre parole ci si trova di fronte al problema di selezionare le fonti. Se nel mondo cartaceo finora hanno selezionano gli editori, chi si occupa invece di consigliare cosa fare e cosa leggere nel maremagnum di Internet?
L’estate scorsa stavo leggendo un libro in inglese sulla storia della finanza dove si parlava di hedge fund, di cui sapevo poco. Così sono andato su Internet, ho digitato la parola su Google e la prima voce che mi è apparsa sul video è stata quella di Wikipedia. Cliccando sul link mi si è aperta una schermata dell’enciclopedia libera con una trattazione lunghissima circa la voce che stavo cercando. Ho fatto questo esempio per mettere in evidenza due problemi: il primo è quello della fonte affidabile. Il secondo è quello dell’informazione tagliata su misura, che risponde alle esigenze del lettore in quel determinato momento. Io avevo bisogno di dieci righe che mi chiarissero che cos’è un hedge fund e non di cinque pagine ricche di dettagli. Nel nuovo contesto digitale il ruolo dell’editore è pertanto ancora più necessario in quanto affidabile per tradizione: sa controllare l’informazione e selezionarne la quantità e il genere che serve al lettore. Nel nostro caso specifico, occupandoci di scuola e università, crediamo di sapere quali sono le esigenze degli studenti e degli insegnanti: un conto è spiegare il DNA a un ragazzo delle medie, un altro a un universitario. Il marchio Zanichelli è un capitale di fiducia che va mantenuto nel passaggio dal cartaceo al digitale. Se per 150 anni abbiamo pubblicato buoni libri, ora dobbiamo essere in grado di pubblicare contenuti digitali altrettanto buoni e affidabili.
Uno dei segmenti che maggiormente si adattano a questa evoluzione è infatti l’editoria scolastica. Come si traduce tutto ciò nella vostra esperienza?
Noi giochiamo su più livelli in un mondo ibrido dove coesistono prodotti digitali e prodotti cartacei. I testi scolastici sono oggi disponibili in versione scaricabile su iPad e sul computer. Di diversi titoli scientifici abbiamo pubblicato gli interactive e-book, libri on line con impaginazione liquida che si adatta allo schermo. Il testo è arricchito con video, animazioni ed esercizi interattivi. L’insegnante può creare una classe virtuale, comunicare con i suoi studenti, seguirne i progressi e intervenire nei loro punti deboli. Abbiamo creato MATutor, un tutorial adattivo di matematica che riconosce il livello dello studente e gli propone esercizi alla sua portata: non difficili da scoraggiarlo, né banali da annoiarlo. E un po’ come tenere l’asta appena sopra l’altezza che un ragazzo è in grado di saltare. Questo consente di personalizzare l’apprendimento. I tutorial sono strumenti che possono essere utilizzati per diverse materie (non solo quelle scientifiche) e che testimoniano il passaggio da una didattica broadcasting a una didattica «personalizzata», dove la tecnologia aiuta il professore a far meglio il suo mestiere e lo studente ad apprendere in maniera più semplice e autonoma. Quest’anno è uscita la Divina Commedia recitata da Ivano Marescotti, di cui abbiamo pubblicato la versione per iPhone e iPad. Mi immagino uno studente che sull’autobus, mentre va a scuola, ripassa il canto ascoltandolo sull’iPhone. Tutti questi libri digitali testimoniano la nostra volontà di sperimentare in direzioni diverse e in ogni caso sempre nella direzione delle nuove tecnologie digitali. Già negli anni ottanta avevamo prodotto i cd-rom dei dizionari e nel ’97 abbiamo pubblicato il primo corso scolastico digitale, la Fisica interattiva di Ugo Arnaldi realizzata da Federico Tibone. Questo molto prima che il ministero stabilisse di fare libri con contenuti digitali. Nel corso del tempo abbiamo sempre cercato di proporre nuovi contenuti misurandoci con le reazioni di studenti e insegnanti, e la stessa cosa la stiamo facendo con gli e-book, terreno su cui continueremo a sperimentare.
Considerando la lettura sugli schermi, pare che oggi si legga di più rispetto al passato, anche se in maniera più superficiale. Secondo lei è una cosa positiva o negativa?
Credo che oggi si legga di più rispetto alla mia generazione. E questo grazie alla scolarizzazione di massa. Credo che si legga anche in modo diverso, meno sequenziale e più mirato alla ricerca dell’informazione che serve. Nel complesso il passaggio al digitale dà grandi opportunità di imparare con modalità adatte al proprio tipo di intelligenza e stile di apprendimento. Per un editore è una bella sfida intellettuale.