Mai come nel 2010 l’editoria sembra protendersi verso l’innovazione tecnologica. Con la diffusione di standard neutri e una pletora di e-reader in arrivo, la filiera si prepara a uno sforzo di ridefinizione e integrazione tra digitale e cartaceo. Come nel settore dei quotidiani le notizie diventano sempre più delle «commodity» e si cercano nuove fonti di valore unico per i lettori, così le case editrici devono riflettere su quale sia il valore del libro, e quale il valore che loro possono aggiungere. Il forte lettore continuerà a comprare se trova un’offerta interessante, un sistema di prezzi che lo premia, un servizio che rende l’esperienza di lettura superiore sui device rispetto alla carta.
10 ottobre 2010, Francoforte, Buchmesse. Come ogni anno, l’Associazione italiana editori presenta i dati relativi all’andamento del settore librario in Italia nel corso dell’anno precedente. Guardando a questi dati ne esce il quadro di un settore in cui si confermano le tendenze dell’anno precedente: fatturato complessivo 2009 attestato a 3.407.538.000 euro, in calo del 4,3% rispetto al 2008 – fra il 2007 e il 2008 era calato del 2,9%; libreria confermata come canale di distribuzione per eccellenza; progressivo rapido declino di alcuni canali di distribuzione e generi librari, quali le vendite rateali, la vendita per corrispondenza, i book club, i collezionabili, l’editoria elettronica nella forma di cd rom e dvd rom; crescita della distribuzione on line di libri. Mentre i dati sulla lettura in Italia sembrano segnare un lieve aumento – 800mila lettori in più rispetto al 2008, salendo così i lettori di almeno un libro all’anno dell’1,1 %, pari al 45,1% della popolazione – il quadro sembra segnare una sostanziale tenuta del mercato librario rispetto a un calo generalizzato dei consumi culturali. Lo scorso anno su Tirature ’10 scrivevamo che sotto l’apparente stabilità si preparavano cambiamenti importanti; anche quest’anno, guardando ai dati raccolti e diffusi da Aie, potremmo nuovamente intitolare il nostro commento al celebre «Perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi».
E però qualcosa è diverso quest’anno. L’eccitazione e la preoccupazione degli editori si concentrano sulle possibilità «distruttivamente creative» – per dirla à la Schumpeter – delle nuove tecnologie. La presentazione dei dati del 2009 sembra avere un sapore diverso quest’anno, essendo allo stesso tempo un più che mai necessario ancoraggio a un controllo numerico del settore e una fotografia di un passato che sembra più lontano degli scorsi anni.
Eppur si muove
Il 2010 è stato un anno intenso per il mondo dei libri. Al ritrovo dell’editoria a Francoforte così come precedentemente a Torino, le attenzioni si concentrano sulla stima di vendita degli e-book, che compare nel rapporto Aie e si attesta intorno a 1.068.000 euro, pari allo 0,03% per il 2009. La stessa stima si proietta in crescita per il 2010 per quantificarsi intorno ai 3,4 miliardi, ossia lo 0,1% del mercato complessivo. Sollevando un piede dalla tradizione della stampa, gli editori sembrano protendersi verso il tentativo di guardare il futuro e immaginare l’orizzonte sconosciuto aperto dall’innovazione tecnologica. Con la diffusione di standard di pubblicazione neutri, la digitalizzazione dei testi scolastici, e la diffusione di una pletora di reader, sembra proprio che la filiera si prepari al cambiamento, anche se per ora sta ricostruendo la versione digitale della filiera tradizionale.
E mentre Google viene chiamato in giudizio dalla Authors Guild e dalla Association of American Publishers per violazione del copyright a seguito della digitalizzazione di milioni di libri resi disponibili on line, attraendo per mesi l’attenzione dell’industria libraria internazionale, i readers dei libri elettronici si moltiplicano e diventano oggetto «aspirazionale», ossia un prodotto da avere assolutamente, anche se non lo si usa. Dal Kindle di Amazon del 2007 attraverso il Nook di Barnes & Noble e al Sony Reader del 2009 siamo arrivati al lancio dell’oggetto tecnologico dell’anno, l’iPad. C’è un reader per tutti i portafogli, le dimensioni, le preferenze. E naturalmente, una volta che entra sul mercato un nuovo device, c’è bisogno di contenuti. Bene hanno fatto gli editori a proporre un’offerta di titoli per sfruttare la popolarità dei nuovi strumenti; ma se il futuro è digitale, bisogna sviluppare titoli pensati per il digitale e non chiamare e-book piccole modifiche a file pdf.
La grande speranza offerta dagli e-book reader è quella di un supporto orientato alla lettura; un prodotto come Kindle, molto più di iPad, offre la possibilità di una lettura digitale. Chi – oltre le mode – sarà attratto dal nuovo? Il forte lettore, naturalmente, che continuerà a comprare se trova un’offerta interessante, un sistema di prezzi che lo premia, un servizio che rende l’esperienza di lettura superiore sui device rispetto alla carta. Se questo non accade e se gli e-book reader rimangono oggetto aspirazionale e basta, la diffusione degli e-book porterà alla morte del libro.
Il 2010 è anche l’anno della nascita di e-tailer, canali digitali specializzati nella vendita di e-book e piattaforme specializzate (come Edigita nella varia o Darwinbooks, l’archivio digitale dei libri dell’editore il Mulino). Per ora la filiera degli e-book è molto simile a quella fisica, anzi, possibilmente anche un po’ più lunga; il lavoro di pubblicazione dei titoli in formato digitale, l’immagazzinaggio su server dedicati, la promozione del catalogo di e-book e la vendita dei titoli sono spesso esternalizzate a società diverse e il lettore può acquistare titoli da una varietà di intermediari: le librerie on line che già conosce (Ibs o Feltrinelli o Boi), i negozi di elettronica di consumo (MediaWorld), gli e-tailer di matrice editoriale (BookRepublic, Ebooksitalia) o mista (come Biblet store di Telecom e Mondadori), oltre naturalmente ad Apple e Amazon. E evidente che presto questo nuovo mercato sarà piuttosto affollato e che assisteremo a fenomeni di concentrazione e di disintermediazione.
Imparare dai giornali?
Per ora la filiera dei libri elettronici è gestita dagli editori in parallelo alla filiera della produzione fisica dei libri, senza seri tentativi di integrazione fra le due. Le vicende del settore dei quotidiani potrebbero avere qualcosa da insegnare sulla trasformazione di un settore costruito, anch’esso come i libri, sulla stampa di Gutenberg. La maggior parte dei quotidiani nazionali e internazionali ha abbracciato Internet e costruito un proprio sito di notizie a partire dalla metà degli anni novanta. Con lo sviluppo della bolla Internet gli investimenti sono aumentati per poi essere drasticamente ridotti con l’esplosione della bolla della new economy poco dopo l’inizio del nuovo millennio. Per tutto questo tempo, dall’inizio delle attività dei quotidiani in Internet fino almeno alla metà del primo decennio del 2000, le operazioni on line sono state tenute separate dalle operazioni cartacee. Anche quando le notizie venivano pubblicate sotto la stessa testata, l’organizzazione della produzione di notizie per la carta era separata dall’organizzazione della produzione di notizie per il sito. Nella seconda metà del primo decennio del 2000, gli sviluppi tecnologici del web 2.0 e la persistente crisi di vendita e lettura dei giornali hanno spinto gli editori a optare per una strategia di integrazione organizzativa fra diversi modi di produrre e distribuire notizie, ossia diversi modi di fare il proprio mestiere. Questo cambiamento organizzativo di integrazione del nuovo e del vecchio, dell’innovazione e della tradizione, non è facile e non è senza ostacoli. E infatti la vera sfida degli editori di giornali.
Quanto è avvenuto nelle redazioni dei giornali sta per avvenire nelle redazioni delle case editrici, dove finora la gestione delle componenti digitali e multimediali è stata per lo più esternalizzata a fornitori esterni e considerata appendice promozionale. La presenza di sempre meno bestseller sempre più importanti che schiacciano il catalogo ha determinato una modifica significativa delle strutture di costo degli editori e dei livelli di rischio che devono sopportare; la digitalizzazione ha portato agli editori di quotidiani la possibilità di allargare il numero e la varietà di notizie diffuse così come la propria audience (ma non quella di migliorare la redditività); gli editori di libri potrebbero trovare nell’e-book uno strumento per riequilibrare il proprio business e riscoprire antichi princìpi di gestione del catalogo, come prima della diffusione del fenomeno dei bestseller.
Certo è che se la funzione dell’editore si è definita nei secoli attorno alla carta stampata e alle sue possibilità funzionali, ora gli editori sono chiamati a uno sforzo di ridefinizione. Come nel settore dei quotidiani le notizie diventano sempre più delle «commodity» e gli editori stanno lavorando e sperimentando per trovare nuove fonti di valore unico per i lettori, così gli editori di libri devono riflettere su quale sia il valore del libro e quale sia il valore che loro possono aggiungere.
Produrre valore
Jason Epstein scriveva il 5 luglio 2001 sulla «New York Review of Books»: «Data la durabilità e la convenienza dei libri stampati su carta e dato il sacro status attribuito ai libri in moltissime culture, i lettori potrebbero preferire – specialmente per i libri di valore eterno – un volume stampato e rilegato su queste macchine (NdR: di stampa on demand) alle immagini temporanee su uno schermo elettronico. Eccezioni saranno i dizionari, gli atlanti, le enciclopedie, gli elenchi ecc., che devono essere continuamente aggiornati. I loro dati saranno probabilmente letti su schermi a seconda delle esigenze». E aggiungeva che gli ostacoli a un futuro digitale senza intermediazione non erano tecnologici, ma istituzionali ed emotivi. Certo, la inevitabile trasformazione in atto è fonte di contenziosi, come sempre quando nuove forme di produzione sfidano vecchi assunti e vecchie pratiche.
La vera domanda che si apre in questo momento di transizione è: qual è il valore del libro? Esiste ancora questo valore eterno del libro che Epstein citava nel 2001? In qualunque forma e aspetto il valore del libro risieda, sarà questo valore che leggeremo nei rapporti Aie sull’andamento del settore librario, sempre se avrà ancora senso definire un settore librario come tale. La sfida per gli editori che per secoli hanno aggiunto valore costruendo un catalogo, promuovendo titoli e intrecciando relazioni con i canali distributivi è capire cosa dia valore ai lettori e come questo si monetizzi. Il 1° ottobre 2010, Robert Darton nel discorso di apertura di una conferenza a Harvard sulla possibilità di creare una biblioteca digitale nazionale negli Stati Uniti d’America riportava un esempio ripreso da Lewis Hyde, Common as Air: Revolution, Art, and Ownership (2010): una recente edizione elettronica di Alice nel Paese delle Meraviglie, pubblicato per la prima volta nel 1865, conteneva la seguente nota sul copyright: «Copia: Nessuna parte del testo può essere copiata dal libro […] Prestito: Questo libro non può essere prestato a qualcun altro. Donazione: Questo libro non può essere donato a qualcun altro. Lettura ad alta voce: Questo libro non può essere letto ad alta voce». A oggi gli editori si interrogano sul prezzo del libro di carta e su quello dell’e-book: la sostenibilità della filiera dipenderà dalla comprensione del valore generato per il lettore da sistemi diversi di offerta; e agli editori spetta il difficile compito di progettare il sistema di creazione di valore.