Declinato nelle vesti editoriali più variabili e dedicato a non importa quale ambito tematico, l’illustrato perfetto addita al lettore ben due strade sicure: la via colorata delle illustrazioni e quella a nero dei testi. Il vantaggio del bicefalo va però pagato a caro prezzo, almeno in fase di realizzazione: l’acquisizione e la lavorazione delle immagini incidono enormemente sul costo di produzione, costringendo l’editore a fatiche erculee per tenere in salute il conto economico. Tanto più che continua a pesare sul mondo degli illustrati la mancanza congenita di autori di riferimento economico che spostino l’indicatore delle vendite in maniera significativa.
Il mondo degli illustrati, per la sua natura marcatamente trasversale, si sottrae a ogni tentativo di ordinamento. Non è un caso infatti che nella classifica Nielsen gli illustrati appaiano in quasi tutte le categorie. Una tale vaghezza cromosomica dipende, con ogni probabilità, dallo spirito divulgativo che da sempre anima il settore. Una certa ansia di rendere accessibili le cognizioni specialistiche continua a ringalluzzire i propositi di chi briga in questo mondo, un’ansia che si tramuta in un imperativo che non conosce limiti, che non si arresta e tracima, infradiciando ogni tema, ogni tipologia editoriale, ogni genere letterario. Perché tutto, a conti fatti, può essere adeguatamente presentato con il comodo sussidio delle immagini, fosse anche per un solo lembo di segnatura. D’altro canto perché non dovrebbe essere così? Le immagini sono una risorsa, una stampella talmente robusta da reggere spesso da sola tutto il peso della lettura. Quando l’occhio del lettore si annacqua e la testa ciondola, un buon libro illustrato ha una cartuccia in più. L’illustrato perfetto vale almeno il doppio di quello che costa, perché addita al coraggioso acquirente ben due strade sicure da percorrere: la via colorata delle illustrazioni e quella a nero dei testi. Il vantaggio del bicefalo va però pagato a caro prezzo, almeno in fase di realizzazione del prodotto. In una casa editrice di illustrati il direttore editoriale deve faticare il doppio, poiché il libro viene alla luce dal ruvido contatto fra editor e art director.
La trasversalità di cui parlavo si traduce nella presenza capillare in ogni ambito tematico, declinato secondo vesti editoriali sempre differenti. Appare pressoché impossibile fornire un elenco completo delle diverse tipologie presenti sul mercato librario oggi, ma se costretti, pistola alla tempia, si potrebbe fare un timido tentativo. Il lettore, in linea di massima, troverà in libreria beaux-livres, gift hook, manuali e saggi, reference, prodotti destinati al mercato delle mostre e dei banchi museali, guide turistiche.
I beaux-livres sono libri contemplativi, generalmente di grandissimo formato, affollano le biblioteche dei professionisti emeriti, vanno guardati, li si legge raramente e servono ad attenuare la fiacca causata dalle lunghe giornate lavorative. Spesso pesano sui tavolini dei salotti buoni, ci raccontano, per immagini è chiaro, di emozionanti viaggi sull’altopiano di Loess, o ci mostrano, consumati dagli agenti atmosferici, i volti sofferenti di chi abita la provincia del Chubut. Sono libri natalizi, che arredano e si regalano, inducono la meditazione e fungono da calmante.
I gift book li sfogliamo tutti mentre siamo in coda alla cassa della libreria, sono colorati e a volte mettono di buon umore, non è raro che raccolgano massime e aforismi. Li si fa praticamente su tutto: sulle mamme, sui roditori con tendenze suicide, sulle scritte dei muri di Napoli. Li compra chi vuole ottenere il perdono della fidanzata che aspetta sotto la canicola, macchina in doppia fila, che noi si compri l’ultimo fondamentale romanzo americano. Sono il classico regalo da poco ma simpatico, conta il pensiero.
Se volessimo imparare a mantenere in perfetta efficienza la nostra bicicletta o a preparare un’eccellente omelette ai funghi porcini, i manuali illustrati sono quello che fa per noi. Se poi sentissimo il bisogno di scoprire i segreti della fotografia contemporanea o di decifrare un’ipotetica retrospettiva sulla videoarte di Nam June Paik, un saggio illustrato sarebbe la scelta giusta.
I reference illustrati, molto in voga negli anni passati, e sempre più rari in tempi di crisi, dovrebbero esaurire l’argomento, con nobile spirito e modi enciclopedici. Un buon dizionario dell’arte italiana, per esempio, ci dirà tutto quello che c’è da sapere sul tema, dal Maestro di Castelseprio fino a Michelangelo Pistoletto, passando per Guglielmo degli Organi e Angelo Caroselli.
I cataloghi di mostre e i cosiddetti prodotti da banco museale, di norma, sono gli illustrati più fragili e caduchi. Risentono terribilmente delle difficoltà dei Beni culturali, patiscono le cattive gestioni, e dovrebbero realizzare profitto girando come gabbiani attorno a baleniere che non governano: le mostre e i siti museali. Su questi libri l’editore ha un controllo minimo, non potendo gestirli ab ovo, ed è evidente che solo chi possiede spalle abbastanza larghe da resistere ai capricci della politica può tentare l’impresa.
La gestione delle guide turistiche è una delle attività editoriali più ardue in assoluto, per farsi strada ci vogliono muscoli, fiato e ingenti investimenti. Occorre costituire un catalogo corposo prima di acchiappare il lettore, essere presenti a lungo sullo scaffale e attendere pazientemente. Il turista poi, abituato ai tempi e ai modi del web, si aspetta continui aggiornamenti, informazioni e mappe precise, il che costringe l’editore a veri e propri salti mortali.
Benché sfuggente, la faccia del libro illustrato ha di certo alcuni tratti essenziali. Di norma lo si stampa su carta patinata, anche se non si disdegna la carta uso-mano; il contributo iconografico deve essere sempre sostanziale e il prezzo medio di copertina, rispetto ai cugini a nero, è in genere più alto, anche a causa delle prudenti tirature a cui la fobia del reso spinge gli editori. Gli illustrati sono per lo più libri di grande formato, volumi scomodi che il libraio espone a fatica, fra scaffali sempre carichi. Volumi, poveri loro, dall’aspetto resocompatibile. Un illustrato d’arte, bene che vada, costa almeno quanto otto tascabili. Al momento di compilare la lista dei resi il possente tomo verrà guardato con smania e finirà tra le mani leste del corriere. Il libro di grande mole, il libro impegnativo, refrattario all’acquisto d’impulso, è il primo a risentire dell’affanno librario. Concepito idealmente per rimanere esposto a lungo prima di essere acquistato, è la vittima perfetta delle celerissime rotazioni a scaffale. Non è un caso che gli editori ricorrano sempre più di frequente a formati più comodi, meno gravosi per l’esercente e per il portafoglio incastrato nei jeans strettissimi del prudente lettore. Se il formato diminuisce, però, deve diminuire anche il prezzo di copertina – prima leva editoriale –, e per far quadrare il temibile conto economico del libro e conquistare il margine necessario a tenere in piedi l’industria l’editore dovrà affrontare un rischio maggiore. Poiché sul libro illustrato pesano costi industriali e tecnici molto alti, la seconda leva su cui si può agire è quella delle tirature che, a fronte di formati ridotti, non potranno che aumentare. La coperta è sempre troppo corta. Il successo di un’azienda editoriale, si sa, si misura sul magazzino, quando aumentano le copie stampate si è inevitabilmente più esposti al pericolo – la svalutazione è sempre lì ad aspettare, nera in volto. Gli illustrati sono, dunque, libri cari da comprare, ma ancora più cari da produrre. L’acquisizione e la gestione dei processi tecnici di elaborazione e stampa delle immagini incidono enormemente sul costo di produzione dei volumi, costringendo l’editore a fatiche erculee per tenere in salute il conto economico. Tirature e prezzi sono insomma le uniche armi, potenti e pericolose, che si hanno a disposizione, perché quando aumentano i costi caratteristici della filiera – carta, stampa, trasporto, messa su bancale, incellophanatura e così via – non resta che intervenire su questi due valori numerici. Paradossalmente, le preoccupazioni che affliggono l’editoria illustrata sono legate a fattori difficilmente modificabili, piuttosto che ai costi dettati da autori e necessità redazionali, costi che peraltro con il passare del tempo influiscono sempre meno.
Un’altra temibile afflizione agita le notti di editor e direttori: il prezzo delle immagini e dei diritti di riproduzione. Perché è evidente che di immagini questo settore vive e si nutre. L’apparato iconografico sgorga prezioso da due sorgenti fondamentali: le campagne fotografiche promosse dalla stessa casa editrice (sempre più rare a causa dei costi proibitivi di realizzazione) o l’acquisto da agenzie fotografiche internazionali e istituzioni, di norma musei o fondazioni, che posseggono i diritti di sfruttamento. Considerata la vocazione internazionale del settore, i diritti dovranno spesso essere liberati per l’Italia e per il mondo intero, perché la speranza è sempre quella di coeditare con il maggior numero di case editrici estere, tentando, nei casi più fortunati, di realizzare il sogno di ogni editore di libri illustrati: il coprint internazionale, vera ghiottoneria, panacea di tutti i conti zoppicanti. Il cammino economico che congiunge la fotografia ispirata sul Chogolisa e l’eccelso olio su tela carico di secolare stratificazione culturale alla riproduzione a mezzo stampa è lungo e irto di variabili. E un cammino lastricato d’oro, oro da comprare però. Ricerca iconografica, acquisizione delle immagini in alta risoluzione e dei diritti di pubblicazione, fotolito e prove di stampa rendono l’apparato iconografico di qualunque illustrato, sia esso una monografia sul Tintoretto o un ricettario di cucina vegetariana, una delle voci di costo più significative. Ed è evidente che tali esborsi gravano sul prodotto finale: il libro. E tuttavia le leve in mano agli editoriali sono sempre quelle due, tiratura e prezzo.
Il comparto degli illustrati ha da sempre guardato all’estero, specialmente nei momenti di crisi, e il mercato italiano, maturo e affaticato, non di rado ha sperato che dalle fiere internazionali, Londra e Francoforte su tutte, potessero arrivare i tanto agognati campioni di vendite. La maturità genera circospezione, cautela e lentezza, rallenta il passo e reclama il riposo meditativo. A fatica e non sempre efficacemente, gli editori hanno scelto la via dell’Est, cercando di saggiare il terreno vergine dei mercati giovani, mercati che negli ultimi anni hanno dato prova di una eccezionale ricettività.
Nel corso degli ultimi dieci anni un fenomeno inaspettato ha poi alterato irreparabilmente la macchina degli illustrati. Milioni di volumi su carta patinata hanno affollato le edicole e, inesorabili, hanno riempito le mensole di tutti i salotti, delle sale da pranzo con libreria, degli studi con poltrona e vista su giardino. Tutto è stato venduto in allegato con i giornali: monografie d’arte, ricettari, raccolte di poesie, saggi, storie universali dell’architettura e così via. Se è vero che il mercato del libro è regolato dall’offerta, è altrettanto vero che le visure catastali degli appartamenti sono immutabili, lo spazio fisico in cui collocare librerie e mensole ha un limite e al marito che ogni mattina dopo la brioche va in edicola prima o poi verrà impedito di portare in casa un altro volume sulla storia del costume europeo. L’onda di maremoto è stata incoscientemente cavalcata, e ha travolto il mercato, ingolfando il canale. La speranza è che il mare si ritiri e che si possa, scoppiata la bolla, ritrovare degli spazi.
Non rimangono che i tradizionali canali di vendita: libreria e, per l’arte, bookshop museali. Tenendo ben presente che, ahimè, il «trucco della catasta» – invitato al compleanno dell’amico, mi accorgo soltanto alle sei che non ho comprato un regalo e non mi resta che correre, poca grana in tasca, in libreria. Vado di fretta e all’ingresso, ceffone in faccia, mi accolgono, impilate, duecento copie del giovane autore italiano di grido. Nessun dubbio, tante copie, tanto successo. E un attimo, il giovane autore italiano, che poi è il solito giovane autore italiano, grazie a me, si è conquistato un posto in Nielsen – non funziona per gli illustrati che, ordinati dal libraio in poche copie, si notano appena. Tutta la prima battuta del libro si rischia in un attimo, mesi di accortezze e riflessione non allungano la vita del volume. Il canale dei bookshop che, oggi, in Italia è utile solo ai libri d’arte e d’architettura risente dell’arretratezza dei poli museali: scarsi investimenti, scarsi visitatori, e dunque scarsi acquisti. In ogni caso, se la mostra funziona, si comprerà il catalogo ufficiale piuttosto che le altre numerose proposte sull’artista di turno. Per la natura particolare dell’editoria illustrata, il web offre ancora poche possibilità concrete, questi libri vanno presi in mano, soppesati, guardati a lungo, un occhio al valore percepito, un occhio al contante disponibile. Non è un caso che alcune aree tematiche siano più remunerative di altre; la puericultura, per dirne una, non conosce crisi: l’acquirente modello, la madre in attesa del primo pargolo, riconosce in un attimo la qualità del volume e non si pone il problema del prezzo – cosa non si farebbe per il bene dei figli?
Il problema dei canali è atavico, quasi intrinseco al settore; librerie organizzate e indipendenti, insieme con i bookshop museali, non sembrano in grado di offrire soluzioni di vendita alternative per i libri illustrati, che non possono e non dovrebbero essere trattati come i tascabili. La palla è in mano dunque agli editori, che dovranno prima o poi inventarsi qualcosa. Il web? Le librerie specializzate? La vendita diretta? Per il momento nessuna di queste opzioni pare quella giusta, ergo si continua a cercare il Santo Graal.
Il mondo degli illustrati ha un’altra peculiarità, una casualità inspiegabile, una mutazione anomala, una mancanza congenita, albinismo editoriale che rende fragili ed esposti. L’assenza, tranne che in un ristretto numero di casi, di autori di riferimento economico, quelli che spostano l’indicatore delle vendite, per intenderci. Benché le professionalità autoriali siano molte e di qualità, benché non sia infrequente scoprire penne eccelse e grandi accademici dal nobile istinto divulgativo, quasi nessuno riesce a creare un concreto e consistente bacino di pubblico acquirente. Se anche un editore, fornito di contanti in abbondanza, volesse perseguire a forza una politica di acquisizione e aggiudicarsi, succosi anticipi alla mano, i migliori – sempre in termini economici – autori di libri illustrati, incontrerebbe notevoli e disarmanti difficoltà. I pochi nomi in circolazione sono per lo più autori di narrativa e saggistica, occasionalmente prestati all’universo dei libri con immagini. L’illustrato d’arte, per esempio, è un prodotto sostanzialmente specialistico, e gli autori di fama formano un piccolo drappello, in genere già reclutato. Si tenta spesso di ricorrere a vedette provenienti da altri mondi: personaggi televisivi o giornalisti. Un’incredibile relazione diretta sembra unire fama mediatica e successo editoriale, la notevole visibilità dei personaggi televisivi illumina anche da grande distanza il pianeta del libro illustrato ed è comprensibile che si cerchi di accalappiare ogni possibile autore già dotato di rassicurante notorietà propria.
Questo curioso albinismo, dunque, rende unico il lavoro in una casa editrice di illustrati, dove i libri presenti nel programma annuale sono spesso ideati, cercati e concepiti unicamente dallo staff editoriale. Quasi nessuno, è evidente, spedisce il proprio manoscritto in casa editrice già corredato di immagini in alta risoluzione, progetto grafico, didascalie e testi. Piuttosto, in fase di ideazione del piano, direttori ed editor cercano di prevedere quale possa essere la voce più adatta a cui rivolgersi per ogni progetto. Viceversa, se l’idea è proposta spontaneamente da un autore, è quasi sempre un’idea da sviluppare, una traccia, lampadina appesa al soffitto, che necessita di cure e impostazione editoriale. I rischi e le responsabilità in mano agli editoriali sono quindi enormi, il foglio Excel che dovrà, riga per riga, essere riempito genera terrore. Ci si augura spesso che le strutture di servizio, marketing o ufficio stampa, drizzino le orecchie, per captare l’argomento caldo della stagione, la lacuna da colmare nell’offerta, il titolo da, si spera, alcune decine di migliaia di copie. Ma l’onere della compilazione del piano è sempre in mano agli editoriali, si scommette sperando che la roulette non tradisca.