La crisi della stampa? È una questione collaterale

bardita parabola dei libri in edicola si è esaurita. Colpa della crisi dell’editoria periodica, ma anche di scelte conservative che non sono riuscite a rivitalizzare il fenomeno. Le prime collane mostravano criteri di coerenza complessiva e di qualità che si sono smarrite con il tempo: dopo la bolla del 2005, l’epoca dei collaterali è stata gestita con miope avidità, alzando i prezzi all’inverosimile e proponendo troppi prodotti preconfezionati generici o di bassa qualità. Con il risultato di far avvitare il mercato su se stesso, con un danno per l’intero sistema.
 
Se «crisi» è stata la parola più usata negli ultimi tre anni per descrivere qualsiasi mercato, di uno in particolare è diventata quasi sinonimo: quello della stampa quotidiana e periodica. E il vero protagonista di quello che dovremmo per amor di verità chiamare tracollo – visto che tra il 2007 e il 2009 ha allineato contrazioni dell’1,4%, del 4,5% e del 9% rispettivamente – sono stati i prodotti collaterali, ovvero gadget, cd, dvd e libri venduti insieme a giornali e riviste: –23,3%, –22,3% e –28% negli stessi periodi. Sono dati che certificano che non si tratta di una crisi congiunturale, come evidenziano in maniera ancora più esplicita le prime stime del 2010, che riportano il segno più in molti bilanci, ma rimarcano un perdurante calo dei collaterali, quantificabile in un’ampia forbice che varia tra il 15% e il 30% a seconda dell’editore. E venuto insomma il momento di chiedersi se questo colossale insuccesso, del quale i libri sono i grandi protagonisti, più che alle difficoltà del mercato non sia da addebitare alla fragilità dell’offerta: in fondo non è difficile individuare nelle prime collane, quelle che hanno dato uno scossone al panorama editoriale nel 2002 e nel 2003, criteri di coerenza complessiva e di qualità che invece sembrano essersi smarriti col tempo.
La questione è ancor più grave perché la risposta rischia di essere drastica: la fine dei libri in edicola. E questo perché, come ne era stato sottostimato il potenziale, allo stesso modo ne sono state sopravvalutate dimensione e forza: dopo l’iniziale successo a sorpresa, infatti, molte case editrici hanno puntellato i loro traballanti bilanci, minati da un calo pubblicitario iniziato già dal 2000, con la nuova, inaspettata, fonte di ricavi, gonfiandone però l’importanza fino a dipenderne troppo. Per essere più chiari, nel 2005 la voce collaterali occupava una fetta dei fatturati delle case editrici pari al 14,8%, precipitata sotto il 6% già nel 2008 a causa del crollo di vendite, ma gruppi come L’Espresso sono arrivati a realizzare addirittura il 55% dell’utile operativo attraverso questo mercato. E se il 2007 ha riportato i volumi di vendita al 2002, ovvero l’anno in cui furono lanciati i libri in edicola, è stato il triennio successivo a segnare la dissoluzione del sogno, trasformandolo in incubo. Un esempio eloquente per tutti: nel 2008 i libri abbinati ai quotidiani sono stati il 59,4% in meno. Insomma, in un parallelismo curioso almeno per la coincidenza dei tempi, i collaterali sono stati per il mercato editoriale quello che i bond sono stati per quello finanziario: una scommessa capace di generare utili al di sopra della media prima, un peso «tossico» per la ripresa oggi.
Come è stato possibile un simile effetto boomerang? In fondo parliamo del più clamoroso fenomeno patrio del nuovo millennio. Forse, per quanto appaia nota, vale la pena rileggere l’intera parabola dei collaterali. Nel gennaio del 2002, quando già le nostre edicole si sono attrezzate ad accogliere ciabattine, borse e cd rom, «la Repubblica» lancia la «Biblioteca», collana di 50 romanzi classici del Novecento venduta a 4,90 euro oltre il prezzo del quotidiano. Il «Corriere della Sera», che aveva già considerato, scartandola, un’iniziativa analoga, di fronte alle cifre da capogiro della «Biblioteca» appronta per maggio i «Grandi romanzi»: 30 titoli, anch’essi venduti a 4,90 euro più il giornale. Il successo è incredibile e porta a spacciare attraverso le edicole, nel solo 2002, oltre 44 milioni di libri, un risultato ancor più sorprendente perché arriva in un paese da sempre noto per le imbarazzanti quantità di non lettori e lettori deboli. E non è che l’inizio: nel 2003 si superano i 62 milioni e nel 2004 si toccano i 75 milioni e mezzo, cifre che si avvicinano a quelle dei canali di vendita tradizionali dei libri. L’offerta, intanto, si è allargata, spaziando dal Novecento all’Ottocento, dalla narrativa alla poesia e aprendosi alla saggistica e alle enciclopedie, universali e tematiche (medicina, economia, arte). Siamo nel momento più florido: i ricavi di questa fetta di mercato segnano crescite vertiginose (+49% nel 2003 e +46% nel 2004) e, nonostante l’entrata in scena, con successo, di film e musica (spesso associati ai settimanali), racchettoni, palloni da calcio, sciarpe e borse (con i periodici maschili e femminili), si ascrive al libro ben il 69% del giro d’affari. Il 2005 è l’anno del consolidamento: 80 milioni di libri venduti a un prezzo medio che nel frattempo è cresciuto dai 4,90 euro aggiuntivi iniziali fino a 10,20 euro.
Sembra che il mercato abbia raggiunto il suo equilibrio e gli editori si comportano ormai come se fosse iniziata una terza era per la stampa: dopo quella dei giornali che si sostenevano grazie al prezzo di copertina e quella, inizialmente accettata dal pubblico con riluttanza, della preponderanza di ricavi pubblicitari, ecco l’epoca dei collaterali, nobili come i libri o, un po’ meno, come le infradito. Una vera rivoluzione se si pensa che la prima ondata di collaterali, inaugurata nei primi anni ottanta da «Cioè», settimanale per teenager, con una gomma a forma di cuore in regalo con la rivista, era concepita come un costo: i gadget venivano allegati, senza sovrapprezzo per l’acquirente, per sostenere o incrementare le diffusioni e, di conseguenza, la raccolta pubblicitaria.
Il 2005, però, non è il momento della normalizzazione, bensì il picco da cui tutto inizia a precipitare: già il 2006 preannuncia che la contrazione, di volumi e di prezzi, sarà rapida almeno quanto la crescita, e 2007 e 2008 confermano ogni più cupa previsione. Il 2009, addirittura, affossa le case editrici, che incominciano ad agire sulla struttura dei costi del loro core business originale, ovvero quotidiani e periodici, ma non trovano contromisure per arginare l’emorragia dei collaterali. Durante questo processo, i libri ritornano al più ragionevole prezzo medio di 4,90 euro degli esordi e arrivano a pesare per meno della metà dell’offerta da edicola, che intanto ogni gruppo organizza in più linee seriali vendute contemporaneamente, con conseguente aumento del rischio e riduzione dei margini.
E siamo alla situazione attuale. Tanto per capirci, e sia detto senza snobismi, tra i risultati migliori del 2010 spiccano film e collezionabili puri (leggi modellini d’auto in scala o squadre di Subbuteo) mentre il titolo di collaterale di maggior successo va agli otto dvd dedicati dalla «Gazzetta dello Sport» all’Inter, prima squadra italiana capace di vincere nello stesso anno Campionato, Coppa nazionale e Coppa dei Campioni, evento ancor più raro se si considera che il trofeo più importante non entrava nella sua bacheca da 45 anni.
Quanto ai libri, la situazione sembra come minimo confusa. Abbondano le iniziative estemporanee, come i 10 titoli dei «Maestri del noir» proposti da «L’espresso»-«Repubblica» in estate, che vedono un po’ casualmente fianco a fianco Andrea Camilleri e David Baldacci, Corrado Augias e Fred Vargas; oppure i 16, sempre estivi, di «GialloSvezia», collana del «Corriere» che si apre con 6 uscite di Stieg Larsson, ovvero i tre libri di Millennium, ciascuno opportunamente spezzato in due; o ancora la «Dan Brown Collection» commercializzata come lettura da ombrellone da Mondadori attraverso «Panorama», «Tv Sorrisi e Canzoni» e «Donna Moderna». Tutte scelte incentrate su un solido nucleo di titoli stravenduti in libreria. Oltre a queste collane, tanta cucina, un po’ di storia, qualche iniziativa per i più piccoli, alcuni manuali pratici e, soprattutto, tantissimi fumetti. «L’espresso»-«Repubblica» punta su Tex, «Corriere»-«Gazzetta» su Corto Maltese, «Panorama» su Alan Ford, ma anche Kriminal, Diabolik e Batman, quest’ultimo scelto pure da «Il Sole 24 Ore». Sono collane a volte di lunghissima serialità, ristampe di classici a basso rischio che garantiscono una buona copertura sul lungo periodo, con qualche eccezione inedita come l’albo su Garibaldi di Tuono Pettinato pubblicato da «Sette» o la serie di fumetti d’autore proposta da «l’Unità» a luglio e agosto.
Non ci vuole molto a capire che il mercato si è avvitato su se stesso puntando su scelte conservative e operazioni a basso costo, mentre ormai il fenomeno che aveva contribuito a far affermare le testate giornalistiche come marchi affidabili a garanzia del prodotto librario si è esaurito. E non è difficile neppure diagnosticare che, insieme agli errori di valutazione sulla portata del fenomeno dei collaterali, se ne sono commessi altri, più gravi, di miope avidità, alzando i prezzi all’in verosimile e riempiendo il mercato di prodotti editoriali preconfezionati di bassa qualità e, peggio ancora, generici, ovvero incapaci di rafforzare riconoscibilità e autorevolezza dei singoli brand. Ciò che è mancato, insomma, è stata la capacità da parte di quotidiani e periodici di comportarsi da editori di libri, attuando scelte chiare e aggredendo il mercato delle novità, nel momento in cui ne avevano opportunità e mezzi. A quel punto, cosa facile da dire oggi, ma forse non difficilissima da capire all’epoca, diventava impossibile alimentare un sistema voracissimo di titoli senza ritrovarsi in affanno, avendo ormai pubblicato il pubblicabile a livello di classici e avendo rinunciato a sperimentare nuovi filoni o ad assecondare la produzione di novità.
Quanto in tutto questo abbia contato l’atteggiamento dell’editoria libraria, forse spaventata dalla crescita incontrollabile dei nuovi competitor, è difficile da stabilire. Però una cosa è certa: il crollo del mercato dei collaterali è un danno per l’intero sistema della lettura, perché come minimo è andato smarrito quel lettore debole o, chissà, morbido, che in edicola comprava ma negli altri canali, dati degli ultimi anni alla mano, no. Ed è per questo che sembra giunto il momento di tentare un matrimonio tra stampa ed editoria libraria più saldo negli intenti e meno orientato sullo sfruttamento reciproco. Forse le cifre degli anni gloriosi saranno inavvicinabili, ma c’è ancora tempo per sviluppare in modo adeguato un potenziale che si è dimostrato enorme e che oggi pare vicino a dissolversi completamente.