A colloquio con Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS), il primo gruppo editoriale indipendente in Italia. Mauri ci spiega come per fare bene l’editore servano anzitutto competenze imprenditoriali e capacità organizzative, ma sottolinea anche quanto sia fondamentale e imprescindibile la dimensione culturale.
A colloquio con Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS), il primo gruppo editoriale indipendente in Italia. Mauri ci spiega come per fare bene l’editore servano anzitutto competenze imprenditoriali e capacità organizzative, ma sottolinea anche quanto sia fondamentale e imprescindibile la dimensione culturale.
Stefano Mauri ha cominciato a occuparsi di editoria scrivendo la tesi di laurea. Ci racconta che già nel 1984, benché studiasse Lettere, si dilettava di programmazione e che perciò aveva scritto un programma in un linguaggio misto tra Basic e Pascal che faceva lavorare il suo pc mentre lui era in caserma per il servizio militare. La sera tornava a casa, interpretava le carte tematiche elaborate dal computer, e scriveva i capitoli della tesi. Ne uscì un volume sul mercato del libro in Italia, che fu pubblicato da Hoepli. Dopo la laurea, l’approdo a New York, dove prende un Master of Science in Publishing. In seguito gira per un anno mezza Lombardia vendendo ai librai i libri di dieci piccoli editori, per conoscere sul campo la realtà della vendita.
Alla fine del 1988 viene assunto da Mario Spagnol in Longanesi come responsabile marketing, una funzione allora tutta da inventare. «Ancora oggi» ci confessa con una punta di orgoglio «usiamo molti degli strumenti che misi a punto allora e che via via sono stati perfezionati.» Nel 1991 il primo incarico di peso, con la nomina a responsabile della gestione della TEA, mentre dal 1992 diventa direttore generale di Longanesi e nel 1995 amministratore delegato di Guanda e Corbaccio. Nel 1998 comincia a occuparsi di Vallardi, che andava risanata, poi, nel 1999, diventa amministratore delegato di Longanesi e nel 2005 presidente e amministratore delegato del Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS).
Dottor Mauri, come sintetizzerebbe la sua carriera nel gruppo Mauri Spagnol?
Via via ho raccolto cariche e ho risanato diverse aziende editoriali. Oggi il gruppo fattura 14 volte quel che fatturava quando sono entrato, che già mi pareva tanto. Diciamo che preservare il progetto editoriale, l’anima delle case editrici, portandolo a essere economicamente e finanziariamente autosufficiente, e dunque indipendente, è la sfida che ho sempre raccolto volentieri. E di grande soddisfazione veder mutare il «clima» di una casa editrice quando a un valido progetto culturale si riesce ad abbinare la solidità economica. Passare da una situazione di deficit che crea sfiducia e scetticismo (nel mondo o in se stessi, a seconda dell’ego) alla consapevolezza di fare bene il proprio lavoro, vederlo riconosciuto dal mercato, porta a fiducia, ottimismo, positività: tutti elementi fondamentali per il lavoro creativo.
Qual è il suo ruolo oggi nel gruppo Mauri Spagnol?
Ho molte cariche, ma fondamentalmente ne sono il principale responsabile come presidente e amministratore delegato. Oltre a me c’è Luigi Spagnol come co-amministratore delegato che si occupa dell’intera area ragazzi (Ape, Nord-Sud, Coccinella), di Salani, di Ponte alle Grazie e di Vallardi.
In cosa consiste il suo lavoro?
Sono responsabile della strategia complessiva, dell’organizzazione, della definizione dell’ambiente di lavoro. Della allocazione delle risorse umane, finanziarie, informative. Quando sono entrato nel gruppo c’erano 5 società e 15 persone. Oggi ci sono 15 società e 120 persone. Obiettivi, controllo, motivazioni, sono tutti aspetti che definiscono l’ambiente lavorativo e che discuto volentieri assieme ai miei collaboratori. Dopo di che, siccome opto per un’organizzazione verticale delle case editrici, di alcune sono amministratore delegato io, di altre no, perché non potrei seguirle tutte bene. Come amministratore delegato mi occupo di decidere le acquisizioni di opere oltre determinate soglie, dei diritti secondari, della supervisione al marketing, della fissazione di prezzi e tirature, del coordinamento delle riunioni di lancio.
Come definirebbe la specificità del gruppo Mauri Spagnol nel panorama editoriale italiano?
Non è facile né scontato dare un ruolo a una holding, quale è GeMS, che controlla 14 società e 15 marchi editoriali e che non pubblica in proprio. Forse una metafora mi può aiutare. Direi che si sta configurando come un parco nazionale di medie case editrici, esclusivamente concentrato sul libro, senza recinti di alcun genere. Le case editrici non sono macchine ma organismi viventi, che devono adattarsi via via al mutare dello scenario, che in un certo senso è il mondo intero. GeMS assicura loro strumenti di gestione efficienti, la forza industriale di un gruppo con i fornitori e con i clienti, l’esperienza di 30 anni di attività e di 15 modi di fare editoria, ma cerca di garantirne la piena libertà. Credo sia importante sentire la responsabilità di essere il primo gruppo indipendente in un paese come l’Italia e fare il caro vecchio lavoro di editore, distinguendolo da quello della direzione editoriale, ma anche da quello di imprenditore generico o finanziere. È un mestiere a sé, che richiede certe qualità e certi principi. In definitiva la missione di GeMS è coltivare i diversi modi di fare l’editore delle diverse case editrici difendendone la libertà editoriale, aiutandole a trovare l’equilibrio economico, ricercando e incentivando il talento degli autori.
«Tenere insieme» in un unico gruppo realtà editoriali così diverse è più una ricchezza culturale o una difficoltà?
Ciò che le unisce è solo il metodo di lavoro, entro certi limiti, tanto quanto basta ad assicurare una buona gestione e quindi la vera e piena indipendenza, senza sopprimerne le peculiarità. A volte naturalmente questa molteplicità crea complicazioni, ma il più delle volte finisce per creare un maggior senso di identità e di appartenenza, una maggiore coesione intorno al progetto artigianale della singola casa editrice, una ricchezza che può andare a vantaggio di tutti.
Esiste un «minimo comun denominatore» tra le diverse case editrici del gruppo?
Credo ve ne sia più d’uno. Comunque c’è soprattutto il rispetto per tutti i mestieri che vengono svolti. Se all’esterno figurano più spesso certe funzioni che hanno una dimensione più pubblica, all’interno tutti godono di eguale rispetto. In particolare al vertice di ogni casa editrice c’è una coppia, una direzione editoriale e un amministratore delegato. I più, anche nel settore, pensano che l’amministratore delegato sia lì solo a esaminare i numeri e decidere questioni legali. Da noi invece l’amministratore delegato deve anche indirizzare l’attività editoriale verso aree economicamente sostenibili. Deve dunque capire i processi editoriali e di mercato, saper prevedere il peso economico di un programma editoriale. Le case editrici si occupano di tre generi di libri: libri importanti, libri che le fanno guadagnare e libri importanti che le fanno guadagnare. I primi non possono prevalere su tutti gli altri, pena il fallimento economico, ma spesso sono necessari all’identità della casa editrice. Però devono essere bilanciati dai secondi e soprattutto dai terzi. Gli obiettivi sono chiari, le direzioni editoriali sono libere di raggiungerli come meglio credono e con tutta l’assistenza possibile per il gruppo, seguendo i propri percorsi e sempre a braccetto con gli amministratori delegati. E più aumenta il peso degli autori italiani, come accade in questi anni, più i percorsi diventano personali e la molteplicità diventa ricchezza.
Quali sono i principali mutamenti che il gruppo ha attraversato in questi ultimi anni?
Il mercato cambia costantemente per una sempre maggiore concentrazione della clientela. Essendo sempre cresciuti, direi che ci siamo rafforzati di pari passo. Internet naturalmente ha cambiato il modo di lavorare, da come si scrivono i libri a come si cercano, da come si pubblicano a come si commercializzano. Ogni anno un’organizzazione che si rispetti cambia e aggiorna un po’ le procedure e i modi di agire, sia perché fa tesoro dell’esperienza sia per adattarsi al mutare degli scenari.
Quali sono le linee principali su cui intende svilupparsi e su cui punta il gruppo?
Ogni casa editrice segue le sue linee, il gruppo come tale cerca di sfruttare l’esperienza e di valutare le opportunità man mano che si presentano. Certamente abbiamo avuto e avremo sempre molta attenzione per tutto ciò che si vende in libreria, procedendo di pari passo con il ramo del gruppo Messaggerie che si occupa di distribuzione. Cercheremo attraverso Internet di aumentare il rapporto diretto tra la casa editrice con i suoi autori e i lettori, ma per la vendita passiamo sempre attraverso i librai, i supermercati, i negozi on line.
Nel 2008 il gruppo Mauri Spagnol è approdato in Spagna. Perché questa scelta?
E un mercato nel quale le condizioni ambientali sembrano simili a quelle dell’Italia. Laddove divergono i casi sono due: o sappiamo qualcosa in più che ci può avvantaggiare su quel mercato oppure impariamo qualcosa di nuovo che può servire in Italia. Cominciare con una start-up è una scelta piuttosto originale, ma è anche un modo per conoscere bene un mercato contiguo e interessante. Che ha un futuro, sotto il profilo demografico, molto promettente.
Tre autori che è fiero di avere pubblicato?
Sono le direzioni editoriali a decidere cosa acquistare e pubblicare, di solito. Ogni tanto però un libro lo compro io per una qualche mia convinzione. Allora mi piace seguirlo dall’acquisizione fino alla pubblicazione. Recentemente è accaduto tre volte: La cattedrale del mare di Ildefonso Falcones (400.000 copie), Figlia del silenzio di Kim Edwards (170.000 copie) e II suggeritore di Donato Carrisi (100.000 copie, per ora).
Invece tre autori pubblicati da altri, che le piacerebbe fossero nel catalogo del gruppo?
Be’, avevamo offerto per Larsson e per la Meyer, ma evidentemente siamo stati troppo prudenti. Naturalmente mi sarebbe piaciuto poter leggere Giordano o Saviano, penso che li avremmo presi. Ma non è andata così perciò non posso millantare alcunché.
Che tipo di libri le piacerebbe pubblicare in futuro?
Un tipo che ancora non conosco.
Come definirebbe il suo ruolo, se dovesse usare una metafora?
Medico curante. Mi piace auscultare le case editrici quando sono in difficoltà, capire se hanno ancora un cuore funzionante, cercare di integrare ciò che mi pare manchi, creare una squadra che sia orgogliosa del suo lavoro associando personalità diverse. A volte hanno solo bisogno di una sana gestione, altre volte di più creatività, altre volte ancora di amputare delle parti per farne crescere altre. Se una società è già in salute, ci si occupa di migliorare dei dettagli, come fa un dietologo, o un chirurgo estetico; se è messa male, tocca passare alla chirurgia o a terapie più invasive, ma alla fine la guarigione rimette tutto a posto. E le case editrici poi ti sorprendono sempre, metà di ciò che diventano non era prevedibile e non dipende da te. Hanno una loro personalità autonoma prodotta dalla miscela tra chi ci lavora e il mondo.