I fumetti di Tex Willer sono la «narrativa d’avventure» autoctona che serviva all’Italia del dopoguerra (e che è mancata alla letteratura senza disegni). Fuorilegge, ranger, navajo: familiare e inconfondibile, la sua solidità serena riesce a contemperare rispetto delle leggi e difesa (anche autonoma) della giustizia, risolutezza da eroe solitario e protagonismo condiviso, genere western e ibridazioni fantastiche. Un efficace connubio di felicità inventiva e robustezza di gestione che ha garantito al fumetto bonelliano di «Aquila della notte» sessant’anni di presenza ininterrotta in edicola, in formati sempre rinnovati, fino alla recente inedita versione in quadricromia.
Quasi sessanta, e non li dimostra. Sono gli anni di un Tex che il 2007 ci consegna in smagliante forma editoriale: alla abituale produzione bonelliana – i 36 fascicoli delle tre serie mensili, i 3 «Albi speciali», l’«Almanacco del West» e il «MaxiTex» – si sono aggiunti dal 1° febbraio i 50 numeri della «Collezione storica a colori» per «Repubblica-L’Espresso». Nelle edicole le pagine delle avventure di Aquila della notte sono giunte in folla: per ritmo d’uscita, bacino d’utenza, quantità di testi proposti, impegno produttivo è la più imponente iniziativa di pubblicazione che un fumetto italiano abbia conosciuto. Che ne sia Tex il protagonista non sorprende. Tra i segnali del suo perdurante consenso presso i lettori c’erano state, per esempio, le 45Ornila copie del volume dedicato a Tex nella prima serie dei «Fumetti di Repubblica» nel 1991. E Tex non di rado ci capita sulla bocca nelle conversazioni, entra nel discorso politico (faccio solo il caso recente del Sergio Cofferati sindaco: «quando mi paragonano a Tex Willer, ricordo che Tex è amico degli indiani…»), sintomo di quanto sia penetrato nell’immaginario collettivo.
Dalle pagine di questa nuova edizione «in allegato», aperta da un Sergio Bonelli che ritratta una lunga avversione per il colore, l’immagine del ranger emerge netta, spicca nel testo grazie anche alla felice lucentezza del giallo scelto per la camicia, vero marchio del suo vestire. Tex ci viene incontro nella sua fisionomia familiare e inconfondibile, la cui «normalità» – cifra grafica di una risolutezza serena – è l’impegnativo banco di prova dei disegnatori. I tratti regolari, l’assenza di spiccate peculiarità fisiche – l’ha ricordato di recente il copertinista Claudio Villa – rendono decisivi per la sua immagine i diversi particolari dell’abbigliamento (cappello, cinturone, fazzoletto ecc.).
Il segreto della longevità di Tex sta in un connubio notevole di felicità inventiva e robustezza di gestione. Vede la luce nei secondi anni quaranta (per l’esattezza nel dicembre 1948, in formato striscia), anni che – con il ritorno della democrazia, le drammatiche vicende degli ultimi anni di guerra e dei primi tempi di pace, la nascita di un nuovo pubblico – avrebbero potuto apprezzare e anche avrebbero avuto bisogno di una produzione narrativa d’avventure autoctona. Ne avrebbe avuto bisogno anche la letteratura colta senza disegni, che non seppe però trovare una forma, una formula di genere, capace di incorporare una dimensione avventurosa e darle continuità («vorrei propugnare la creazione di una buona narrativa d’avventure e di un buon cinema d’avventure. L’Italia non ha mai avuto né l’una né l’altra», scriveva Calvino ancora nel 1953).
Una risposta davvero efficace per acclimatare l’avventura nel dopoguerra italiano viene invece dal giovane e poco qualificato strumento espressivo del fumetto. Nel giro di poco, il personaggio Tex definisce i punti chiave della propria, innovativa, identità composita: fuorilegge, ranger, navajo. E proprio qui la prima origine della nettezza duttile, della fissità plastica che gli ha consentito di vivere tanto a lungo. Unitario e molteplice è anche il nucleo del sistema dei personaggi che gli ruotano attorno: il quartetto di moschettieri del West composto dallo stesso Tex, dal figlio Kit, e dagli amici Kit Carson e Tiger Jack, quasi un «attore plurale» ben variegato per età ed etnia, solidale nella visione delle cose e nei valori, complementare nelle indoli.
Il genere è saldamente il western, ma spesso ibridato. Aperto, per esempio, al fantastico, come accade nella serie di album dominati dalle figure di antagonisti d’eccezione come Mephisto o il figlio Yama. Lo spazio delle storie è elasticamente costruito sul doppio versante di una fedeltà topografica che fa tutt’uno con l’omaggio verso i paesaggi del grande western cinematografico e di una libertà di trasfigurazione che dilata i territori, spalanca percorsi imprevisti, scopre enclaves dimenticate.
In Tex una vocazione individualistica si unisce a una costante sensibilità collettiva, cavalca da solo ed è subito pronto a fermarsi con gli altri. Un impulso istintivo di difesa della giustizia, reso poi programma di vita consapevolmente perseguito, lo porta a impegnarsi in una lotta per l’instaurazione di società senza sopraffazioni. E una battaglia costante, animata da una fiducia, non priva di venature utopiche, nella «buona convivenza» come norma delle relazioni. Ma nella giustizia secondo Tex si alternano e intrecciano il senso moderno del rispetto delle leggi come principio della vita associata e l’idea arcaica di un diritto che si può amministrare in autonomia, secondo un semplice codice morale fondamentale non scritto. E poi la difesa dei valori in lui si realizza in una condotta all’insegna di un pragmatismo spicciativo, in più di un’occasione spregiudicato nei mezzi, nel trattamento degli avversari. Ancora, la disponibilità a collaborare con gli apparati dello Stato si congiunge alla percezione vigile degli arbitrii dei governi centrali e alla avversione secca verso i «politicanti» e gli «imbrattacarte».
Questa compresenza di atteggiamenti non omogenei è all’origine delle discussioni sull’interpretazione politica del personaggio (entrata negli annali del fumetto e della sinistra quella su «La città futura» nel 1977) e ha favorito nei lettori identificazioni di segno diverso. Atteggiamenti che, peraltro, si potrebbero anche leggere come risposte a un contesto segnato da un radicamento imperfetto dello Stato, da una transizione non completa alla democrazia, dove gli interessi generali sono contrastati da robusti contropoteri locali, di tipo mafioso-gangsteristico, e da interessi corporativi di portata nazionale, in un quadro insomma dove Far West e Italia del dopoguerra sembrano toccarsi più volte.
Un parte non piccola del fascino di Tex, vero eroe a tutto tondo, è dunque nel gioco di ambivalenze e contrasti che traspaiono dal profilo di un protagonista invincibile e sicuro, combattente coraggioso, formidabile tiratore, accorto stratega e uomo fortunato (lo suggeriscono, mai enfatizzate però dal racconto, le tante ferite di striscio, le tante combinazioni felici che portano i nemici a sconfiggersi con le proprie mani o tra di loro). Sono ambivalenze e contrasti tenuti in secondo piano, che la narrazione nega come tali, non mostra al lettore – né fa vivere al personaggio – come contraddizioni. L’interiorità di Tex è sempre lasciata fuori cornice, soltanto allusa, e Tex non attraversa crisi che ne mettano in qualche modo in discussione l’identità. I sessant’anni percorsi l’hanno un poco (ma poco) cambiato, reso – come ha ricordato Bonelli – più riflessivo, meno violento, ma senza discontinuità marcate, senza riscritture problematizzanti, come quelle che hanno ricevuto molti supereroi.
La solidità (sul triplice versante abilità-forza-moralità), la risolutezza serena, l’alacrità operativa, la razionalità progettuale continuano a catalizzare l’ammirazione dei lettori, a garantire loro soddisfazioni piene – e rassicurazione – negli itinerari di evasione avventurosa, mentre i contrasti in secondo piano evitano l’ossificarsi del congegno narrativo, avvicinano l’eroe con la sua natura «popolarmente divina» (Luca Raffaelli) a qualche inquietudine del pubblico.
La «Collezione storica a colori» è sicuramente la presentazione meglio criticamente attrezzata (con le cordiali e acute guide alla lettura di Raffaelli e con i profili di personaggi e le ricostruzioni d’ambiente di Sergio Bonelli) che sia stata fatta finora delle storie di Tex, ma certo tutt’altro che filologica. La colorazione è un intervento interpretativo pesante (cambia, per fare un solo esempio, la tonalità emotiva della lettura). Un intervento che si presta a essere letto in vario modo: dice delle tante energie comunicative che il personaggio ha ancora da spendere, della pressione del marketing sulle scelte editoriali, ci parla anche di noi, di un contesto culturale in cambiamento pronunciato e rapido, in forte articolazione, da affrontare senza nostalgie intransigenti di purezza, con apertura critica, cercando di mettere a fuoco rischi e risorse.