Eleganza e sangue freddo, sguardo seduttivo e pudore: Corto Maltese è un eroe che attraversa innumerevoli avventure senza perdere il proprio fascinoso aplomb. Del resto, il «bel marinaio» ama fare dell’ironia sulla propria natura di cattivo soggetto, forte di un’ambiguità morale coltivata con ironica noncuranza e di un sano disincanto nel giudicare la natura umana. Elusivo, a tratti distaccato, i suoi occhi sempre celati lasciano intravedere una regione nascosta, non accessibile ai visitatori superficiali. Ma dietro l’imperativo di non apparire tenero, molle, sentimentale – in definitiva vulnerabile – c’è soprattutto la volontà di mantenersi libero e svincolato da ogni giudizio.
Ha attraversato con eleganza e misura mille avventure, intrighi, esperienze estreme, perdendo raramente il suo aplomb e senza spendere una parola di troppo. O almeno, dando ai presenti un’impressione di grande riserbo e autocontrollo, con occasionali cedimenti e infrazioni alla regola forse più numerose di quel che parrebbe a prima vista.
Già l’abbigliamento aiuta subito a cogliere alcune proprietà cardinali del personaggio. Nel corso delle vicende di cui è protagonista, Corto Maltese indossa per lo più una sorta di divisa, quasi un abito di scena, che lo identifica come uomo di mare. Marinaio di un certo rango, che si è meritato il titolo di «comandante». Solo in situazioni limite, di grande movimento o di calura eccessiva, se ne libera, mostrando un corpo tonico e muscoloso, più robusto di quanto farebbe pensare la sua abituale uniforme, un po’ rigida e stretta, secondo l’uso del tempo. La lunga giubba a doppio petto e il copricapo parlano chiaro del suo statuto di capitano, in una fase in cui la navigazione a vela non aveva ancora ceduto del tutto a vapori e motori.
D’altronde, non va dimenticato che il nostro eroe è un figlio d’arte: anche il padre, nativo della Cornovaglia, andava per mare, e nell’isola di Malta doveva aver incontrato la donna, un’affascinante zingara, da cui sarebbe nato Corto.
Del sangue freddo, dell’estrema lucidità di Corto Maltese nell’affrontare, quasi sempre su sfondi esotici e marinari, una somma di pericoli, peripezie, enigmi, minacce mortali, circostanze imprevedibili, nemici insidiosi, situazioni di crisi, ai tempi della Prima guerra mondiale o giù di lì (spesso con importanti implicazioni geopolitiche, come si direbbe oggi), si sa molto, se non tutto.
Una qualità eminente del personaggio è la sua capacità di reagire in modo assai rapido, intelligente ed efficace alle situazioni più difficili e ingarbugliate. E vero che si tratta di una capacità comune a quasi tutti gli eroi delle storie d’azione, ma le doti di attenzione e acume di Corto sembrano sviluppate in misura singolare.
Parla poco, in genere, e questo costituisce già un segnale significativo di una notevole capacità di ascolto. Non invade lo spazio in cui si trova momento per momento, ma in parecchie circostanze preferisce rimanere in silenzio, concentrato, secondo la modalità dei gatti (animali che peraltro apprezza, al punto da parlarci insieme, quando non c’è nessuno in giro a origliare). Sa attendere. E anche far attendere, come sanno le donne, non poche, che subiscono il suo fascino.
Anche lui del resto è sensibile al fascino delle signore, di ogni razza e provenienza, purché misteriose e con una forte personalità, non necessariamente bellissime. Secondo le regole del genere avventuroso, che prevedono una buona dose di ritrosia e inconcludenza dell’eroe nelle faccende erotiche, non si va al di là delle schermaglie, e di qualche rara espressione amorosa. Gesti espliciti, ma pur sempre contenuti: un abbraccio inatteso, un bacio d’addio.
La seduzione spesso si consuma tutta negli sguardi. Ma Corto, sempre attraverso il magnetismo dell’occhio, esercita una fascinazione ad ampio raggio, a cui nessuno rimane del tutto insensibile, neppure l’avversario, il cattivo, il tagliagole. A cominciare dall’odiato-amato Rasputin, folle crudelissimo e completamente privo di scrupoli.
Lo sguardo del «bel marinaio» (così lo chiama Bocca Dorata, uno dei personaggi femminili meglio caratterizzati) appare appuntito e insieme sfuggente, concentrato e vago, diretto e deviato, presente e distratto, agganciato alla realtà e perduto nel sogno. Non rivela mai ciò che il personaggio ha in mente o sta pensando, ma custodisce la sua imprevedibilità, lo rende inafferrabile, libero, remoto.
Il singolare trattamento grafico dedicato alla parte del viso dove ha sede lo sguardo meriterebbe un’analisi dettagliata. Gli occhi appaiono acuti, penetranti, ma nel contempo velati e confusi in un reticolo di linee che evocano l’ombra, il retropensiero, il segreto. Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, quella di Corto tende a nascondersi dietro una superficie opaca, o forse offre una trasparenza puramente ostentata, che non vuole neppure illudere, ma lascia intravedere una regione nascosta, non accessibile ai visitatori superficiali.
I modi di agire e di reagire sembrano corrispondere alla peculiarità e all’uso sapiente dello sguardo. Non si lasciano mai afferrare né anticipare. Conservano qualcosa della freddezza del serpente.
Nelle sue azioni c’è spesso qualcosa di ambiguo e minaccioso: una qualità piuttosto singolare, per un eroe positivo. E vero che Corto si schiera sempre dalla parte giusta e che interviene istintivamente in difesa dei buoni e dei deboli («forse sono il re degli imbecilli, l’ultimo rappresentante di una dinastia completamente estinta che credeva nella generosità, nell’eroismo», dice di sé con qualche civetteria nel mezzo di una delle sue avventure), ma non lo fa necessariamente in modo cavalleresco.
Ci tiene del resto ad affermarlo in modo esplicito: «non voglio essere un eroe… mi basta essere un mozza-teste». Calci nelle palle o mozziconi di sigaro spenti nell’occhio di avversari troppo grossi per essere atterrati con un pugno testimoniano un uso alquanto disinvolto delle buone regole del duello. Nessuna preoccupazione di lealtà, dovendo confrontarsi con gente veramente cattiva.
Cattivo d’altra parte Corto si definisce e vuole essere considerato. Per esempio, quando si rifiuta di dare soddisfazione a un nemico morente (Bepi Faliero) o quando deve rispondere di un comportamento crudele. A chi gli chiede «perché è tanto cattivo?», risponde con una certa dose di compiacimento e noncuranza «non lo so, è un dono di natura».
Ama indugiare sui propri difetti, ama fare dell’ironia sulla propria natura di cattivo soggetto. Frasi dette al tavolo da gioco, come «sono un baro, avvocato. Onestamente ti avverto», colgono in pieno l’apparente ambiguità morale di Corto, la sua costanza nel coltivare un’immagine canagliesca da offrire agli altri, consapevole di stare sempre su un palcoscenico, «recitando per un pubblico invisibile».
Malgrado qualche sospetto di dandismo, tuttavia, Corto Maltese non apprezza esibizioni e scene madri, non è un istrione né uno smargiasso. Un timido, piuttosto, o comunque un tipo che tiene la discrezione nel massimo conto, capace di gesti teneri purché nessuno ne sia testimone, deciso a difendere i propri sentimenti più privati e segreti dalla vista e dalle opinioni altrui. Prova ne sia il rifiuto dei sopratoni e degli elogi, anche da parte degli amici (Steiner, per esempio, il dotto ubriacone).
Di regola, si schermisce quando gli viene attribuita una nobiltà d’animo che in realtà possiede e sa bene di avere. Oppure provoca accuse aperte di cinismo e pusillanimità, a cui peraltro non crede affatto neppure chi le pronuncia. D’altra parte, capita che lui stesso metta in dubbio la moralità delle persone che stima, così da accreditare la propria immagine di scettico radicale, disincantato nel giudicare la natura umana. Ecco per esempio una sua battuta rivolta a una donna, nel quadro delle solite schermaglie pseudoamorose: «non ti credevo tanto disinteressata». «Giudichi gli altri secondo te stesso, Corto Maltese», ritorce prontamente l’interlocutrice.
Una sua preoccupazione fissa, con ogni evidenza, è di non apparire tenero, molle, sentimentale, con gli effetti di vulnerabilità che ne discendono. Preoccupazione peraltro fondata: come gli fa notare un amico prendendolo in giro, «non ho mai visto nessuno più romantico di te… scommetto che in autunno vai a sederti solo soletto sulla panchina del parco».
Dietro al pudore dei sentimenti, più che la timidezza, agisce la volontà di mantenersi libero, di non farsi incasellare, di essere svincolato da ogni giudizio esterno. La prospettiva di vedere limitata la propria indipendenza risulta minacciosa quanto una situazione di reale pericolo. La reazione più tipica di Corto è la battuta spiritosa, l’ironia, l’atteggiamento cinico e noncurante, quasi a ridimensionare l’entità della minaccia: «quando mi trovo in una situazione imbarazzante faccio sempre lo spiritoso, ma mi riesce male».
In realtà ha in sé un pizzico di tenace narcisismo che gl’impedisce di apparire mai veramente selvatico o scontroso. Sarà anche elusivo, ma non si sottrae del tutto alle investigazioni curiose sul proprio carattere: «qual è stata la tua vita?» «non posso lamentarmi… ho avuto più di quel che ho dato… ma non si fanno domande simili, non sta bene» si corregge subito, quasi rendendosi conto che le matematiche morali e i conti sugli attivi e i passivi dell’esistenza sono indegni di lui.
Nella concitazione dell’avventura, le reazioni a caldo di Corto rivelano spesso le sue simpatie, che non si lasciano ricondurre a convinzioni e ideologie precise, e che semmai si accompagnano al rifiuto di ogni visione ideologica della realtà, normalmente associata a rigidezza eccessiva, prepotenza, comportamenti violenti di personaggi poco raccomandabili. I fanatici, i fascisti, i personaggi dominati dall’odio, dall’avidità, dalla volontà di potenza non godono della simpatia di Corto. In un’avventura veneziana ambientata negli anni venti, si rifiuta persino il gesto apparentemente banale di condividere una sigaretta con il capetto degli squadristi locali («io di solito non offro le mie sigarette alle persone che non conosco»).
Neutralità e distacco sono solo atteggiamenti, apparenze, rientrano in una parte. Che lui però continuerà a sostenere sempre, lasciando pochi varchi all’impulso, allo sfogo, all’autenticità degli affetti. Chi lo conosce bene tuttavia non s’inganna: «perché fai sempre finta di non interessarti di quello che succede intorno a te?», gli viene fatto notare. La risposta, se mai arrivasse, potrebbe essere di questo tipo: «perché ci tengo troppo al mio personaggio del solitario indipendente libero da ogni costrizione» (con un pizzico di «bel tenebroso», viene da aggiungere). Ma poi è lui stesso ad ammettere l’attitudine a farsi coinvolgere, se non altro per il gusto di conoscere e scoprire: «maledizione, questa curiosità sarà la mia fine, un giorno».
Solo nelle ultime avventure, forse per stanchezza o per l’avanzare dell’età (peraltro non tradita per nulla dall’aspetto), Corto Maltese si mostra incline a rivelare qualcosa di sé, dei suoi sogni, delle sue preferenze. È significativo che l’apertura intimistica si manifesti proprio a Venezia. All’improwiso, in un momento di trasporto, forse anche di malinconia, Corto lascia trasparire qualcosa delle sue letture, dei suoi gusti letterari. Non sappiamo molto dei suoi studi, della formazione culturale che ha ricevuto. Molto irregolare, probabilmente. Cultura esperienziale e non libresca, si direbbe, anche se tutte le volte che si arriva al momento in cui i sapienti (Levi Colombia, Steiner ecc.) sciorinano le loro cognizioni di archeologia, esoterismo, protostoria ecc. per dipanare l’intrico di un enigma, come succede in molte avventure, lui sa reggere bene il confronto e dà mostra non solo di assimilare e di capire alla svelta, ma di saperne parecchio già per conto suo.
A Venezia però non esibisce freschezza di nozioni o prontezza d’intelletto, bensì passione, ammirazione, entusiasmo per un personaggio bene identificato: «eterno perdigiorno, ingenuo don Chisciotte da strapazzo, seduttore frustrante e frustrato, parassita romantico, forse anche sentimentale». Sta parlando di sé o del suo idolo? E subito dopo, rendendogli omaggio: «ti odio ti amo t’invidio e ti saluto, Rolfe Baron Corvo». La scelta di un modello identificatorio così caratterizzato, lo scrittore decadente, l’avventuriero, il personaggio stravagante al di fuori di ogni regola, attesta una volta di più il dandismo, la teatralità sommessa e studiata di Corto Maltese, a protezione di un cuore generoso e misterioso.