La cronaca italiana, recente e passata, fornisce gli spunti; il giallo e il noir i metodi per raccontarla. E cosi che in un contenitore narrativo aperto all’ibridazione tra fiction e non fiction si creano spazi di sperimentazione in cui convivono l’inchiesta di cronaca e la ricostruzione storica, l’indagine psicologica e la riflessione sociologica. Dai Delitti imperfetti del colonnello del Ris di Parma Luciano Garofano alla Gomorra di Saviano, passando per i racconti neri di Lucarelli, nasce un nuovo genere, in rapidissima crescita e ancora privo di solidi modelli di riferimento, ma dal futuro promettente. E non solo per le classifiche di vendita.
Definirne i confini, e a volte persino seguirne le tracce, non è facile, eppure è del tutto evidente che un nuovo genere, che usa modi e forme della fiction per raccontare fatti di cronaca a tinte gialle o nere, si sta prepotentemente affermando. In libreria e nelle classifiche di vendita. Un approdo tanto inevitabile, dopo che dalla tv alla carta stampata la cronaca nera si è conquistata negli ultimi anni spazi sempre più ampi, quanto ricco di promesse. Perché, sciolto com’è da obblighi di format e da vincoli di lunghezza, il libro apre infinite possibilità di ibridazione tra la cronaca e la fiction, e offre ampi spazi di sperimentazione, specie in assenza di modelli di riferimento forti. Proprio come in Italia, dove il nuovo genere ha sì mosso i primi passi oltre un lustro fa, ma ha iniziato a crescere solo nel 2005 per esibire, nel 2006, un’accelerazione improvvisa quanto caotica. Siamo insomma a pochi istanti dal big bang e non tutte le galassie sono ben definite. E le differenze tra un libro e l’altro possono essere molto profonde se consideriamo che, all’interno dello stesso genere, hanno diritto di cittadinanza sia l’inchiesta di cronaca che la ricostruzione storica, sia l’indagine psicologica che quella sociologica, solo per esemplificare alcune possibilità. La stessa formazione degli autori è la più disparata: si va dai giallisti ai giornalisti, dai poliziotti ai magistrati, dagli psichiatri agli avvocati, spesso a fianco l’uno dell’altro nel firmare a più mani un libro.
In tutto questo caos, un punto fermo per la verità c’è: Carlo Lucarelli, giallista e sperimentatore instancabile del nuovo genere. Partito occupandosi, prima in tv poi anche attraverso i libri, di misteri della storia italiana, filone oggi seguitissimo, specie dai giornalisti, ha poi iniziato un sodalizio con lo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi, altro volto noto al pubblico del piccolo schermo. Insieme i due, dopo Serial killer (2003 ), campione di un altro filone in ascesa, quello delle biografie psicocriminali, hanno di recente intrapreso un’opera di vera e propria alfabetizzazione tecnica del lettore italiano, con titoli come Scena del crimine (2005) e Tracce criminali (2006), in cui spiegano terminologie e metodi della polizia scientifica, illustrandoli con alcuni casi esemplari. Un lavoro, questo di fare un po’ d’ordine, indispensabile in un momento di rapida crescita, come confermano altri due titoli premiati dal pubblico, firmati da Luciano Garofano, comandante del Reparto Investigativo Scientifico dei Carabinieri di Parma: Delitti imperfetti (2004, a cura di Fabrizio Rizzi) e Delitti imperfetti. Atto II (2005, a cura di Aurelio Pino). Curioso, semmai, l’apparente scambio di ruoli tra Garofano e Lucarelli: il primo si comporta infatti da romanziere e parte dai casi che ha dovuto affrontare raccontando solo in funzione della loro soluzione le tecniche che ha utilizzato; il secondo presenta, come in un manuale, una serie di tecniche investigative e innesta il racconto delle indagini in cui si sono rivelate più determinanti solo per chiarirne le applicazioni.
Ma i casi più interessanti dell’anno trascorso, sia per il successo di vendita sia per l’originalità del cocktail tra fiction e non fiction, sono probabilmente Il mostro (2006), di Michele Giuttari, e Gomorra (2006), di Roberto Saviano. Il mostro si legge davvero come un romanzo, e qui pesa sicuramente l’esperienza da scrittore del poliziotto Giuttari, che esordì proprio raccontando i fatti di Firenze con Carlo Lucarelli (ancora lui) in Compagni di sangue (1998), e di recente è stato l’apprezzato autore di Scarabeo (2004) e La loggia degli innocenti (2005). Il mostro è un libro incalzante, di cui è difficile interrompere la lettura, che ricostruisce passo dopo passo, in ordine rigorosamente cronologico, l’escalation dei delitti del cosiddetto «mostro di Firenze» e quella delle nuove indagini condotte da Giuttari, tutte successive agli omicidi. Con un merito non indifferente: nonostante molti dei fatti narrati siano noti, e molti ricordi riemergano inevitabilmente durante la lettura, il testo riesce sempre a tenere vivo l’interesse, svelando dettagli inediti oppure fornendo un nuovo senso all’insieme degli eventi. Il pregio maggiore del libro, però, sta nella messa in scena dello sviluppo delle indagini, tutta imperniata sugli interrogatori. Perché qui ci troviamo quanto più lontano possibile dalle modalità romanzesche consuete. I testimoni chiave, infatti, vengono ascoltati più volte, e a ogni dichiarazione aggiungono piccoli particolari che ampliano la loro versione dei fatti o ne cambiano, spesso leggermente ma significativamente, il senso. La verità, insomma, non si rivela attraverso una serie di colpi di scena ma grazie a un monotono e paziente lavoro di ritessitura da parte degli inquirenti, che oltretutto devono continuamente valutare come indurre il testimone ad aprirsi e badare a non commettere errori che potrebbero rendere le sue parole inammissibili in tribunale. Insomma, abbiamo la sensazione di trovarci per la prima volta dietro le quinte di una vera indagine poliziesca e questo accresce la nostra partecipazione emotiva, oltre a incuriosirci con una serie di piccole rivelazioni sulla quotidianità di un mestiere spesso trasfigurato a fini narrativi.
Questa atmosfera di vicinanza viene però turbata nell’ultima parte del libro quando, in linea con i più classici schemi del thriller, il poliziotto-eroe si trova a dover combattere, nella ricerca della verità, contro forze potenti e ben occultate che vorrebbero insabbiare gli aspetti più inquietanti della vicenda. E questo, che pure non può essere considerato uno stratagemma narrativo di Giuttari, bensì un’ulteriore rivelazione di una storia vera, tende a minare il patto di fiducia tra narratore e lettore. E un paradossale problema di verosimiglianza: in pratica, quando la realtà ricalca troppo le geometrie della fiction tendiamo a non accettarla perché poco credibile. E a soffrirne è l’intero genere, non solo Il mostro o Gomorra dove, come vedremo, si riproporrà in proporzioni ancora più accentuate.
Gomorra, tanto per cominciare, è un libro difficilissimo da definire, a metà strada tra il racconto in presa diretta e il saggio, così come il suo autore, Roberto Saviano, è sia testimone dei fatti sia documentato ricercatore universitario. Un doppio registro che regala al libro gran parte della sua forza e originalità, ma che insieme ne incrina l’equilibrio, perché alla lunga il tentativo di illustrare in modo organico la camorra e il suo giro d’affari rimane sopraffatto dall’emergere di un magma potentissimo di storie, figure e rivelazioni quasi impossibili da tenere a bada. Il risultato è che restano impressi a fuoco vivo nella mente solo alcuni aspetti del «Sistema», come chiamano la camorra coloro che ne fanno parte, e della vita al suo interno: capitoli come quelli che si occupano del ciclo delle merci clandestine, della produzione tessile per i marchi d’alta moda, del nuovo mercato della droga o dello smaltimento dei rifiuti sono veri schiaffi all’ignoranza o all’indifferenza di chi legge. Anche perché Saviano riesce a renderli materia pulsante nutrendoli di incontri che superano la corazza della facciata esterna, descrizioni che fanno appello a tutti i cinque sensi, scoppi di indignazione che chiedono di prendere posizione.
Molto del peso di questo lavoro, però, si ripercuote sulla posizione del narratore che, strattonato tra i fatti di cui è protagonista e quelli di cui riporta materiale documentale, diviene l’elemento più contraddittorio in Gomorra. La sensazione è che, per mantenere alto il coinvolgimento emotivo del lettore, Saviano usi il racconto in presa diretta anche in situazioni di cui non è stato testimone, forzando la mano e risultando così meno autentico. Accade solo a tratti, ma ciò complica le questioni di verosimiglianza sollevate, ancor più che nel Mostro, da una materia a volte troppo simile alla fiction. A partire dal comportamento dei boss, i quali volutamente traslocano di peso dal cinema alla realtà abiti o atteggiamenti per costruirsi un’immagine e incutere rispetto. Come Walter Schiavone, che addirittura si fa costruire una villa ispirata a quella del gangster cubano Tony Montana in Scarface: incredibile ma verissimo. E se in casi come questo il gioco è scoperto, ce ne sono decine d’altri in cui la realtà, descritta crudamente, presenta aspetti difficili da accettare, o troppo simili alle chiacchiere iperboliche da bar per essere presi sul serio, pur essendo drammaticamente veri. Ed è questo il vero nodo da risolvere per chiunque voglia raccontare fatti di cronaca: far dimenticare la fiction e rendere credibile la realtà. Una sfida complicata, che rappresenta però anche la miglior promessa di un genere di cui dovremo presto tornare a occuparci.