Che ci azzeccano i blog con la critica letteraria? Sono una disgrazia, utile giusto a mediocri sfoghi? O una benedizione, che darà nuova linfa a una pratica ormai consunta? Dinanzi alla parola autoriale chiunque può arrogarsi un diritto di replica immediato, senza il filtro dei mass media. La figura del blogger stravolge il ruolo del lettore, che da terminale passivo si assume in potenza le responsabilità di editore e critico. Al di là dello snobismo reciproco tra intellettuali connessi e sconnessi, in rete ha ormai preso forma una sorta di democrazia critica diretta, che riporta alla ribalta molte utopie targate anni settanta.
Nel metrò i reality. Alla posta il governo ladro. Dal barbiere la Marini. Al mercato queste stagioni, chi le capisce è bravo. Dopodiché il cordiale umanista torna a casa, apre la pentola di Internet e si ritempra con un appetitoso ribollire di discussioni letterarie: dibattiti, analisi, riletture, ma anche pettegolezzi, ironie, ingiurie… al limite della logorrea. Anzi, della blogorrea. L’esplosione del fenomeno blog, sorto da noi col nuovo millennio, da tempo ha investito in pieno i territori della critica. Per gli ignari, vale la pena di chiarire che i blog (contrazione di weblog, «diario in rete») sono dei siti personali, aggiornati continuamente, nei quali si può deporre la propria opinione su qualsiasi argomento, in attesa del commento degli ospiti. Ogni blog rimanda ad altri siti, con link appositi: basta pigiare un tasto per accedere alle fonti, a costo zero. Ne deriva una diffusione virale dei temi all’ordine del giorno. Al posto del tam tam o del bouche-oreille, si addensa uno sciame di pensieri polarizzati, che è possibile monitorare nell’insieme, come fa Technorati, offrendo rimandi e statistiche. In America BlogStreet è addirittura in grado di segnalare quali e quanti blog abbiano disputato di un libro.
Per recuperare questi materiali certo non occorre perdere intere giornate in polverose emeroteche. Con buona pace di Hegel, sempre più spesso l’uomo moderno compie la sua preghiera mattutina non spiegando un giornale sul tavolo, ma davanti a uno schermo. Non c’è da stupirsi dunque se negli ultimi tempi i periodici tradizionali hanno scrutato con morbosa attenzione i rivolgimenti in atto nel web. E chiaro a tutti che siamo in un periodo di transizione, alle prese con un gigantesco cambio di paradigma nell’accesso all’informazione. In ambito letterario, si resta perciò delusi di fronte ai tanti che reagiscono limitandosi a celebrare con dolenti epicedi la presunta morte della terza pagina d’un tempo, che – detto per inciso – non ha avuto tra le sue qualità quella di aprirsi alla cerchia di lettori che la scolarizzazione ha nel frattempo reso virtualmente interessati. Senza dire di quanti hanno progressivamente perso fiducia dinanzi agli scambi di favori, alle furbate, alle promozioni travestite da recensioni e via deprecando.
I litblog, viceversa, da un lato sarebbero del tutto estranei a queste logiche, dall’altro riuscirebbero a intercettare un pubblico finora trascurato o vilipeso. Avrebbero insomma una funzione democratizzante, sulla quale è bene soffermarsi. Intanto l’affermazione è vera dal punto di vista tecnico ed economico: per mettere in piedi un blog non occorrono investimenti rilevanti, né servono vertiginose competenze informatiche. Ogni convinzione, teoria, sospetto, ipotesi vi può essere resa pubblica, o meglio può essere pubblicata: dal che – come sottolinea Giuseppe Granieri, autore di un ottimo studio, Blog generation – finisce per l’appunto con l’emergere una nuova nozione di opinione pubblica. In effetti, dinanzi alla parola autoriale chiunque può ora arrogarsi un diritto di replica immediato, senza il filtro dei mezzi di comunicazione di massa. Piaccia o meno, la figura del blogger stravolge il ruolo del lettore, che da terminale passivo si assume in potenza le responsabilità di editore e critico. Tutto ciò espone a problemi che non è opportuno sottovalutare. Sarebbe troppo comodo sbrigarsela dando qualche saggio delle ingenuità, i luoghi comuni, gli svarioni che tempestano le pagine in rete. L’impressione è che siano ricomparse, sotto nuove spoglie, alcune utopie tipiche degli anni settanta: la creatività diffusa, il microfono a tutti, le assemblee fiume, senza contare il modello della controinformazione. Ma se l’impatto sociale è infinitamente più potente di quello che ebbero le fanzine, i ciclostile o i tazebao, resta l’opportunità offerta a nuove penne di crescere e mettersi alla prova in uno spazio di riflessione che non si saprebbe immaginare più stimolante. La blogosfera non è solo terreno di conquista per dilettanti allo sbaraglio, ma anche una palestra ideale per dar spazio a confronti e prese di posizione inconcepibili nell’editoria classica. Con ogni evidenza, a esserne beneficiate sono in primo luogo le generazioni più giovani, il che risulta tanto più importante nel settore in esame, gerontocratico quasi per definizione.
Altrettanto propizia la situazione dovrebbe presentarsi ai non addetti ai lavori, almeno a giudicare da ciò che accade negli Stati Uniti, dove i blog pare siano riusciti a determinare il successo di vari libri, e i loro autori vengono sempre più spesso corteggiati dall’editoria ufficiale con copie omaggio, richieste di collaborazione e simili. Da noi, per la verità, il panorama è ben diverso. I litblog più gettonati sono in genere opera di professionisti, già attivi nel ramo e conosciuti prima di tentare l’avventura della rete, siano funzionari editoriali, giornalisti o scrittori in proprio: basti pensare al collettivo di Nazione Indiana, a Giulio Mozzi, a Lipperatura, ai Miserabili, che in realtà è una e-zine (cioè un giornale elettronico), in cui il vulcanico Giuseppe Genna non accoglie commenti ai testi offerti. Negli altri casi, le comunità che ogni giorno animano i siti sembrano decisamente attirate dall’opportunità di confrontarsi con figure autorevoli. In genere si tratta di poche decine di appassionati, quasi sempre gli stessi; nulla a che vedere con le migliaia di post che gremiscono i siti di calcio, cucina o consigli per la maternità. Paradossalmente, questi circoli appaiono piuttosto chiusi, arroccati nella rivendicazione di un certo atteggiamento, in linea col carisma emanato dal padrone della bottega. L’avventore che incautamente dovesse rivendicare gusti estranei viene attaccato e respinto secondo una tecnica che nel regno animale è propria delle iene. A saltabeccare tra le discussioni, effettivamente, colpisce l’aggressività e la sicumera dei continui J’accuse in cui ci si imbatte. A volte vien fatto di pensare i blog come un’immensa gogna, dove anche la critica più ottusa e campata in aria – grazie alla solerzia dei motori di ricerca – permane e minaccia di demolire solide reputazioni. Eppure, anche questa vis forcaiola può avere dei risvolti benefici, nel momento in cui costringe la casta dei “detentori del gusto” a rimettere in gioco la propria funzione sociale. In quest’ottica, non è un caso che uno dei luoghi più sordi e impermeabili allo spirito dei blog sia l’accademia.
A ben guardare, però, si possono scovare anche convergenze impreviste. Il sussiego con cui nelle università si è a lungo guardato alla letteratura di successo e alle esigenze di lettura meno raffinate, appartiene anche alla maggior parte dei blogger “sconosciuti”, che vi uniscono lo spirito di fronda con cui sostengono che in rete si dovrebbero recensire soltanto libri inediti, o esclusi dai maggiori circuiti editoriali. D’altro canto dietro le valanghe di citazioni astruse, dietro l’esibizione di letture erudite, dietro la scrittura ricercata si indovina spesso un desiderio frustrato di esprimere la propria creatività, peraltro soddisfatto in alcune antologie cartacee, come La notte dei blogger, a cura di Loredana Lipperini. Più interessante, se ce ne fosse lo spazio, sarebbe esaminare nello specifico gli orientamenti delle blogstar italiane, che hanno avuto per esempio molta importanza nella riqualificazione della letteratura di genere nostrana registratasi nell’ultimo decennio. E difficile sottovalutarne l’importanza, del resto, se si pensa che tra i loro più accaniti lettori (sebbene di rado si manifestino) va contata l’intera comunità letteraria ufficiale, giornalisti culturali e addetti all’ufficio stampa in prima fila. Né pare prematuro credere che anche da noi – come oltreoceano – autori e case editrici intervengano di nascosto nei blog, per creare un mood positivo intorno ai propri prodotti. Peraltro, anche a rovistare nelle nicchie si fatica a cavarne l’esempio di un libro pervenuto a un successo di massa grazie al web. Paradigmatico è il caso di Perceber, romanzo d’esordio di Leonardo Colombari, che per il citazionismo estremo, il gusto dello stipato, gli accostamenti dissonanti rappresenta un perfetto proto tipo della maniera postmoderna che imperversa in molti blog, dove è stato infatti lodato per mesi con iperboli chiassose: le stesse che sulla canuta stampa periodica hanno accompagnato un’altra opera prima, quella di Alessandro Piperno, con una eco ed effetti infinitamente maggiori.
Per ora, i blog sembrano intervenire nel processo di valorizzazione più nei confronti degli specialisti che del vasto pubblico. Questo, su Internet, sembra orientarsi volentieri verso i siti di vendita, dove trova la possibilità di leggere a colpo sicuro i commenti di altri lettori comuni alle opere che intende acquistare, on line o in libreria. In Italia, chi voglia farsi un’idea più precisa di Con le peggiori intenzioni può dunque scorrere gli oltre 250 commenti presenti sia su IBS sia su BOL, ciascuno dei quali provvisto di voto; o quantomeno dare un’occhiata alla media di gradimento complessiva. Presto, forse, si potrà esprimere il proprio consenso ai migliori tra questi giudici improvvisati, come accade su Amazon («37 lettori su 41 hanno trovato questo commento utile»), dove alcuni di essi hanno acquisito una tale autorevolezza da essere ingaggiati dalla stampa tradizionale. Che vada cercata in questi paraggi, la vera fucina del canone a venire?