Dietro l’enorme successo dei libri allegati ai quotidiani c’è un piano strategico ambizioso e curato nei dettagli: un mix di interventi di marketing e editoriali che ha portato «la Repubblica» e il «Corriere della Sera» a conquistare in pochi anni un terzo del mercato nazionale, ma soprattutto a costruirsi una nuova identità come veri e propri marchi editoriali librari. L’ingresso di questi competitors atipici ma estremamente potenti impone un profondo ripensamento strutturale del settore. Per gli attori della filiera editoriale tradizionale, si tratta adesso di progettare efficaci strategie per ridefinire tempi, spazi e modi del proprio ruolo di mediazione culturale.
Tutto è cominciato con una superba operazione di comarketing; recuperati alcuni titoli di sicura qualità, titoli «usati» ma ancora validi, curata la veste grafica e la qualità editoriale, organizzata una campagna di marketing prelancio potente e sfiziosa e una campagna di marketing durante la campagna di rimbalzo sul quotidiano, attraverso un abile gioco di redazionali, due nuove case editrici – «la Repubblica» e «Corriere della Sera» – sono riuscite a collezionare 35 milioni di copie con una novantina di titoli e a conquistare in un anno il 30% del mercato editoriale librario in copie e circa l’8% in valore. Potenza del marketing? Senz’altro, ma non solo. Merito di un canale capillare, di una capacità finanziaria notevole, di un progetto molto curato in tutti i suoi aspetti, inclusa la qualità editoriale. Non era la prima volta infatti che i libri erano venduti insieme ai quotidiani: corsi di lingua, dizionari, libri di viaggio ed enciclopedie erano già stati proposti in veste di fascicoli negli anni scorsi, o abbinati tout court ai quotidiani. L’enorme successo di questa iniziativa è dipeso dal fatto che stavolta il libro non era un gadget, ma un prodotto editoriale stand alone di qualità elevata e di prezzo adeguato, pur significativamente inferiore ai prezzi medi di mercato in libreria.
Per i due protagonisti, si è trattata di un’operazione di successo; tirature dei quotidiani aumentate, ottima redditività dei libri, visibilità della testata, dunque ingresso di due nuovi concorrenti nel settore. La cosa più preoccupante per gli editori di libri sembra proprio questa: in così poco tempo, i due nuovi entranti hanno saputo affermare un marchio editoriale di cui il pubblico ha mostrato di fidarsi; prova ne è il fatto che, dopo l’operazione di comarketing sopra accennata, «Repubblica» e «Corriere» (con il secondo chiaramente avvantaggiato rispetto alla prima) si sono comportati sempre di più da «veri» editori di libri, proponendo collane nei segmenti più diversi o lanciandosi in operazioni interessanti dal punto di vista culturale, come per esempio le nuove traduzioni di classici dell’Ottocento: il successo legato alle vendite di libri d’arte e di poesia testimonia l’autorevolezza riconosciuta dal mercato a questi concorrenti e, quindi, la loro pericolosità. La continua immissione sul mercato di nuovi titoli ha anche richiesto importanti cambiamenti organizzativi: all’interno della struttura commerciale del quotidiano opera una struttura editoriale, incaricata di selezionare i titoli da proporre in abbinamento al giornale e di curarne la promozione; e il fatturato derivante da libri e prodotti venduti in abbinamento è confrontabile con quello di un medio editore di scolastica.
Dulcis in fundo, le due nuove case editrici sono diventate editori di bestseller, entrando in diretta concorrenza con gli editori di maggiori dimensioni; non si tratta più di utilizzare il giornale per trainare un prodotto collezionabile; il legame con il quotidiano resta nelle firme dei suoi giornalisti che diventano autori di fiction o di saggistica, ma i titoli sono bestseller venduti singolarmente. Il prossimo passo è che un Grisham, un Manfredi, un Eco, un Wilbur Smith decidano di cedere il loro prossimo romanzo a uno dei due nuovi editori e la loro posizione nel settore sarà definitivamente sancita. Chi altri potrebbe permettersi una campagna di lancio da parecchie centinaia di migliaia di copie presenti in oltre 30.000 punti vendita? Una pacchia per tutti, autore, editore e lettore, quest’ultimo facilitato nella scelta, nella localizzazione e nel prezzo, e facilmente raggiungibile attraverso campagne promozionali televisive, in edicola e sul quotidiano. La resistenza – per gli autori di bestseller già affermati – è affidata alla fedeltà al proprio editore, o, più probabilmente, alla solidità dei contratti.
Dal punto di vista delle case editrici di libri, poco si sarebbe potuto fare per contrastare questo massiccio ingresso da parte di concorrenti forti e agguerriti; troppi sono i titoli in commercio, troppi gli editori e troppo allettante la proposta di cedere i diritti per centinaia di migliaia di copie in una settimana, pur nella consapevolezza che questo avrebbe significato distruggere il magazzino per quel titolo e mettere a rischio le vendite dei tascabili.
All’inizio la reazione è stata cauta, ma adesso è difficile negare che il settore ha subito un cambiamento strutturale.
Il mercato si è allargato moltissimo, e questo senz’altro è un bene, nonostante l’allargamento non sia avvenuto a beneficio economico prevalente della filiera editoriale libraria. Peccato che forse si sia ingolfato; come era accaduto con le enciclopedie negli anni sessanta, improvvisamente le librerie degli italiani si sono riempite di libri, di buoni libri. Inoltre, la lettura in pubblico di classici è diventata evento di massa; nessuna campagna istituzionale di promozione della lettura avrebbe potuto realizzare una presenza così capillare di libri presso i lettori e spettacolarizzare un’attività così importante per il futuro del settore (e non solo…). Si pongono però due problemi per gli editori: per un certo numero di anni lo spazio fisico in casa e il budget destinato all’acquisto di libri saranno estremamente contenuti, poiché gli italiani – a meno di essere nel frattempo stati contagiati dal sacro fuoco della lettura – si troveranno a dover «smaltire le scorte». Secondo problema: il contagio del sacro fuoco della lettura avviene in pochi casi autonomamente, più spesso va accompagnato con adeguate proposte editoriali. Se anche solo il 5 % degli acquirenti di libri abbinati ai quotidiani ha letto qualcuno dei titoli proposti e ne è rimasto attratto, si tratta comunque di un mercato di nuovi lettori – interessante dal punto di vista dimensionale per un editore e di sicuro trascurato dall’editore di giornali – pronto per essere fidelizzato con un buon mix di interventi di marketing ed editoriali. Se ciò non accade, il mercato è destinato a restringersi altrettanto rapidamente di quanto è cresciuto.
I canali di distribuzione tradizionali di libri sono l’attore che più ha sofferto per l’ingresso dei quotidiani nel settore; in tutti i segmenti del settore dei media, i grossi cambiamenti sembrano riguardare la distribuzione prima che la produzione, e i libri non fanno eccezione. In pochi anni si sono imposti nuovi canali (grande distribuzione, superlibrerie, Internet) e ora un canale tradizionale per alcuni prodotti librari diventa canale trasversale rispetto ai generi proposti: il binomio genere/canale come asse portante del posizionamento di un titolo non sembra essere più così valido. Concorrenza sui prezzi, assortimento, varietà merceologiche e campagne di fidelizzazione sono le armi disponibili per i canali concorrenti per contrastare un fenomeno che non è destinato a diminuire di intensità nel prossimo futuro, ma a contribuire a un aumento di concorrenza nel settore.
Che cosa aspettarsi sul fronte editoriale da parte dei vecchi e dei nuovi editori? I primi sembrano seguire le strade già consolidate per esempio nel settore cinematografico e inclinano a utilizzare il quotidiano come possibile canale per negoziare la cessione di diritti secondari o per nuove edizioni. La negoziazione vede il quotidiano in posizione di forza, ma quando l’operazione funziona, si tratta di un modo nuovo e molto interessante di valorizzare il proprio catalogo o di condividere il rischio nel lancio di un bestseller. Difficile aspettarsi che nei libri compaia il marchio dell’editore originale, almeno nella narrativa, ma in alcuni segmenti specialistici qualche possibilità di vedere abbinati due marchi editoriali c’è, quando questo aumenti l’autorevolezza del marchio del quotidiano, o quando sia un marchio di famiglia. La sfida è triplice: partecipare in modo meno marginale al presidio del canale, riuscire a cavalcare l’anomalo allargamento del mercato prodotto dai quotidiani per sollecitare politiche istituzionali di promozione della lettura, riaffermare il proprio ruolo di mediatore culturale, dimostrando di saper progettare operazioni editoriali multicanale e multisupporto. Su questo ultimo fronte si giocherà la concorrenza con i nuovi editori, che da un lato continueranno a mungere il canale edicola – progressivamente meno redditizio, ma ancora per un poco sfruttabile – e dall’altro cominceranno a progettare sistemi di offerta in grado di rivolgersi sia al mercato dei lettori, sia a quello degli inserzionisti; già alcune collane – i libri di poesia, i libri di cucina – vanno in questa direzione. Se l’operazione riuscirà, avverrà nella produzione libraria quello che dieci anni fa è accaduto nella distribuzione: il nuovo entrante – la GDO – ha usato la leva del prezzo per entrare sul mercato, ma ha poi consolidato la propria posizione sviluppando un modello di business semplicemente migliore di quello tradizionale, aumentando i prezzi. Per gli editori, la cui legittimazione è già messa in discussione dalla «rivoluzione informatica», il rischio è che il loro ruolo di mediatori culturali sia confinato a poche nicchie. Sarebbe un vero peccato.