Anche la stagione scorsa ha avuto il suo bestseller giovanilistico: 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, nonostante l’esibizione di una sfrontatezza senza precedenti, si inserisce in una tradizione che, da Porci con le ali a Jack Frusciante, ha ormai assunto caratteristiche di genere. Romanzi in cui la narrazione dei turbamenti adolescenziali, procede come una navigazione a vista per prove ed errori; quelle cui presta voce un io narrante complice sono infatti le tappe di una progressiva assunzione di responsabilità nei confronti di sé e dell’altro sesso. Con un fine che, per quanto vicende e linguaggio appaiano spregiudicati, tanto spregiudicato non è: il raggiungimento dell’equilibrio e l’appagamento dei desideri, non solo pulsionali ma anche affettivi.
Il successo più strepitoso della stagione libraria 2003-2004 porta il titolo, all’apparenza svagato, di 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire. L’editore è Fazi, ritenuto di solito abbastanza affidabile culturalmente. Dell’autore, che è un’autrice, ci viene però detto solo che è un’esordiente giovanissima, sedici anni, e ha per nome Melissa: il cognome è indicato con la P.
Chi prenda in mano il libro, si rende subito conto che questo riserbo ha un motivo in sé plausibile: 100 colpi racconta infatti in forma autobiografica le avventure erotiche di una ragazzetta che si chiama appunto Melissa e sembra identificabile con colei che espone la sua firma in copertina.
Le tappe della sua laboriosa scoperta del sesso vengono illustrate con uno scrupolo ostentatamente candido: nulla viene lasciato sottinteso. Inesperta e scriteriata, la fanciulla conosce una serie di delusioni da parte di uomini che la trattano come un semplice oggetto di godimento. Ma è anche lei che se le va a cercare, perché far l’amore le piace assai, le piace troppo, le piace sempre di più – per quanto se ne vergogni. Per fortuna, alla fine tutto si aggiusta, in quanto Melissa incontra il suo Principe Azzurro, che la rende sessualmente appagata e sentimentalmente felice. Si può capire che alcuni lettori abbiano giudicato 100 colpi un porno travestito da romanzo rosa, mentre secondo altri sarebbe un romanzo rosa camuffato da pomo.
Ma lasciando impregiudicato questo assillo, è più significativo notare che il libro di Melissa, pur nella sua sfrontatezza estrema, non rappresenta affatto un caso inedito né inatteso. I precedenti non mancano: nel senso che si tratta dell’esemplare più recente di una serie di testi che hanno come carattere unificante l’età giovanile sia degli scrittori sia dei personaggi protagonisti sia anche dei lettori preferenziali. Qualcosa di analogo accade nel campo sterminato della narrativa femminile, dove il tratto comune è l’appartenenza di sesso. Nel ristretto filone giovanilistico, chiamiamolo così, l’intesa fra colui che scrive e coloro che leggono viene sollecitata mettendo in scena figure di grande impatto sull’immaginario adolescenziale perché alle prese con i turbamenti della pubertà, come fase cruciale del processo di crescita.
I romanzieri in erba che si propongano di raccontare la crisi puberale dall’interno, mentre la stanno vivendo, possono venir compensati della loro spavalderia con un consenso enorme da parte dei coetanei. Così è accaduto nei decenni scorsi a diversi libri che possono essere allineati uno dopo l’altro, come altrettanti momenti evolutivi di un filone ben circoscritto: Porci con leali, firmato Rocco e Antonia; Volevo i pantaloni, di Lara Cardella; Jack Frusciante è uscito dal gruppo, di Enrico Brizzi; infine i 100 colpi già citati.
Beninteso questi titoli, per quanto indiscutibilmente imparentati fra loro, mantengono forti aspetti di eterogeneità d’impianto: così come d’altronde i risultati espressivi si collocano su livelli molto diversi: Jack Frusciante è scritto con mano sapientemente leggera, Porci con le ali è un prodotto di dignitoso artigianato, gli altri due libri si situano ai livelli più elementari della letterarietà. Ma quando masse ingenti di consumatori fanno convergere le loro preferenze su un dato prodotto, lo segnalano come un oggetto di attenzione critica comunque significativo. E tutti e quattro i componenti del gruppetto possono venir connessi in una considerazione d’insieme: segnano infatti l’affermazione reiterata di una autocoscienza autonoma delle nuove generazioni, che si presentano come un soggetto collettivo capace di farsi sentire direttamente, contrapponendosi alle fasce d’età anziane sul piano della cultura e del costume sessuali.
Non per nulla la genesi del fenomeno va situata in epoca sessantottesca, o forse postsessantottesca; un impulso determinante a focalizzare la condizione puberale è venuto dal movimento femminista, con i suoi programmi di revisione generale dei ruoli sessuali. Una constatazione in proposito si affaccia subito, riguardando non solo i 100 colpi ma tutti i libri elencati: anche se il punto di vista narrativo può essere alternamente maschile o femminile, i personaggi più complessi e insieme più determinati sono fanciulle. I ragazzi hanno, al confronto, una raffigurazione assai meno icastica e una caratterologia più fragile; pure quando sembrano assumere l’iniziativa, in realtà finiscono per andare a rimorchio delle loro partner. Dal che nascono equivoci, incomprensioni, rappresaglie a non finire.
Qui sta il nucleo dell’intrigo, in questi romanzi o romanzetti. L’apprendistato dei rapporti con l’altro sesso mostra sempre una competitività inquietante, anche quando tramonta l’ideologia del patriarcato, anche quando entrambi i soggetti in causa coltivano propositi di pacifica parità. A venir espresso è il turbamento della scoperta di una realtà più squilibrata e insidiosa di quanto ce la si fosse aspettata: bisogna farla conoscere per quello che è. I nostri narratori esordienti inclinano a forme di romanzo-verità, come se scrivessero dei resoconti di vita vissuta: anzi, vogliono dare l’impressione di riferire esperienze capitate proprio a loro: sia in Porci con le ali sia in 100 colpi il nome degli autori coincide con quello dei protagonisti, Rocco e Antonia nel primo caso (cioè, nella realtà, Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera), Melissa nell’altro. D’altronde tre libri su quattro sono raccontati in prima persona, e uno di essi (700 colpi) è modellato come un diario, mentre un altro (Volevo i pantaloni) include il diario di un personaggio minore; il quarto infine (Jack Frusciante) è affidato a un io narrante vicinissimo al protagonista, del quale riproduce spesso pagine «dall’archivio magnetico».
Ovviamente, questi artifici non implicano che le storie non abbiano un carattere ultraromanzesco: l’effettismo sfrontato è una componente essenziale della enorme fortuna di pubblico incontrata dall’intera serie di testi. Accoppiamenti etero e omosessuali, maschili e femminili, genitali e orali e anali, assieme a incesti e pedofilia vengono serviti in dosi abbondanti; a meno che si punti invece sulla paura del sesso, come fa Brizzi, esagerando anche in questo caso. A volte, soprattutto Cardella e Melissa sfidano la verisimiglianza, oltre che il buon senso: ma ciò che importa è dare evidenza massima alle ossessioni mentali di cui i personaggi sono portatori.
Convenzionalmente accettata è d’altronde la finzione per cui gli avvenimenti figurano registrati in simultanea, con una immediatezza quasi radiocronistica. L’atteggiamento dell’io narrante verso il mondo narrato è improntato a una effusività complice, che evita le pose di sussiego e limita le impennate liriche, pur assumendo modalità di scrittura molto diverse, dalle più sgangherate a quelle controllate professionalmente. In questa prospettiva di disinvoltura diventa plausibile la liberalizzazione delle voci più spontanee dell’eros, con il ricorso ai termini e alle locuzioni d’uso familiare per designare gli organi genitali e le pratiche copulatorie più diffuse. Certo, Melissa parla del «segreto» femminile e del «mistero» maschile, per alludere alla vagina e al pene: ma lo fa solo all’inizio delle sue imprese erotiche; poi smette, e non è un danno.
Quando apparve Porci con le ali il vocabolario dell’osceno fece grande scandalo: oggi, si capisce, assai meno. Ma non bisogna credere che anche allora si trattasse di pura e semplice provocazione, piuttosto che di un proposito di naturalezza espressiva. Va tenuto presente che questi narratori non tessono alcun elogio del libertinaggio: uno di loro si diverte anzi a esaltare paradossalmente il bello della castità. Il turpiloquio vale come talismano, come prova di appartenenza a una generazione che vuol dimostrare di averla fatta finita con le ubbie e le inibizioni del vecchio senso del pudore. Ma in realtà quelli portati in scena sono poi dei giovani, certo più spregiudicati dei genitori e tuttavia sempre alla ricerca inquieta di un equilibrio pulsionale nient’affatto dissennato. Sia le femmine sia i maschi debbono potervisi riconoscere: anche se sono le prime ad avvertirne l’urgenza tormentosa con maggior cruccio rispetto ai secondi.
Parlano lo stesso linguaggio, insomma, ragazzi e ragazze, pur esprimendo punti di vista differenziati. Colui che narra imprime sempre la sua identità sessuale alle modalità del racconto. La soluzione tecnicamente più ben congegnata è quella di Porci con le ali, dove le voci di lui e di lei si alternano consentendo di mettere a confronto le diverse versioni di uno stesso avvenimento. In Jack Frusciante l’ottica del narratore è tutta maschile, in Vo/ew i pantaloni e 100 colpi è femminile. In ogni caso, l’intromissione nell’interiorità del personaggio vale solo per il sesso cui appartiene l’io narrante: il sesso opposto è rappresentabile solo dall’esterno. Il che emblematizza la preclusione alla comprensione reciproca.
Non diversamente stanno le cose nel dialogo fra le generazioni. Il punto di vista filiale colloca il mondo parentale in una luce di estraneità irreparabile, definitiva. Non importa quale sia l’ambiente socioculturale di appartenenza, popolare o impiegatizio o altoborghese: padri e madri non ce la fanno mai a capire cosa passa per la testa ai figlioli, i quali danno per scontato che non vai neanche la pena di provarsi a interloquire. La famiglia contadina siciliana di Volevo i pantaloni versa in un clima di autoritarismo sessuofobico da delirio; le figure genitoriali di Porci con le ali o Jack Frusciante appartengono invece alla borghesia evoluta di Roma o di Bologna; ancora più confortevole è la casa catanese di Melissa. Ma mai c’è uno scambio di vedute produttivo tra maggiorenni e minorenni.
Per parte sua, la scuola offre a tutti l’ambiente più propizio per l’incontro fraternizzante fra i sessi. Ma le aule sono soltanto il luogo di verifica d’una assenza delle istituzioni dai compiti formativi più delicati. In definitiva, i giovani protagonisti raccontano delle storie di autoformazione, compiute senza che nessuno abbia insegnato loro come si diventa grandi. Il significato primario di questi libri consiste in una assunzione di responsabilità da parte del protagonista, nell’atto di dichiarare le esperienze che ha attraversato. Il testo in effetti assume un carattere di confessione, come di chi porta in pubblico le sue avventure o disavventure anche se ciò gli costa imbarazzo, mentre vellica il suo esibizionismo: a spingerlo, sembra essere il desiderio di partecipare a un pubblico confratello una somma di smarrimenti, imprudenze e impudenze, eccitazioni gioiose e pentimenti contriti, presentati come le traversie inevitabili del passaggio dall’adolescenza alla maturità.
In effetti le trame si strutturano sulla base di un comportamento sbagliato o comunque inadeguato del protagonista, che suscita reazioni disastrose. Ma l’errore può aver natura molto diversa. In Porci con le ali Rocco forza troppo la disponibilità erotica di Antonia, che si sente offesa nella sua femminilità. In Volevo i pantaloni la trasgressività della protagonista non va oltre uno stadio puerile, anche se appare colpa grave a una comunità istericamente repressiva. La situazione di Jack Frusciante è opposta, in quanto il timido Alex si lascia suggestionare dai sentimentalismi disincarnati con cui Aidi vela la sua immaturità. Quanto a Melissa, estremizza schizofrenicamente il contrasto sistematico tra furori ninfomaniaci e aspirazioni romantiche.
E apprezzabile il fatto che in tre casi su quattro il racconto rifiuti la consolazione dell’happy end, lasciando il protagonista in uno stato d’incertezza scontenta, dove chiaro gli è soltanto che gli manca ancora parecchia strada per farsi adulto: quella felicità che era sembrata a portata di mano, all’uscita dall’infanzia, si è dissolta, pare irreparabilmente. Come se detto, solo Melissa raggiunge l’obiettivo cui tutti i personaggi guardano: una armonia di coppia basata sia sull’affiatamento fisico sia sulla comunione sentimentale. Ma questa conclusione paciosa ha un aspetto miracolistico, e appare motivata soltanto dal desiderio di contrappesare la grevità del quadro di perversioni che il libro disegna. Esordire nella narrativa all’insegna del sesso puberale comporta una fortuna di pubblico tanto maggiore quanto più nervoso, sino alla morbosità, è il senso di malessere promanante dalla rappresentazione.
Gli adolescenti di ieri e di oggi appaiono in balìa di se stessi. L’universo sociale cui appartengono si limita a ospitarli. Da un volume all’altro, si accentua il calo di attenzione per le questioni ideologiche e per la realtà etico-politica. Porci con le ali ha ambizioni di discorso saggistico, proponendo una verifica della parola d’ordine famosa «il personale è politico». Volevo i pantaloni è un pamphlet di denuncia furiosamente femminista. Jack Frusciante riafferma il valore dell’idillio contro il conformismo della sessuomania. 100 colpi diguazza nell’erotismo senza legge per proporre come via di fuga il privatismo chiuso in se stesso. Rispetto al primo libro della serie, c’è poco da rellegrarsi.