L’editoria fa male ai libri?

Duemiladue, anno fermo per il mercato nazionale e internazionale. È un’occasione per ripensare con più determinazione e creatività il marketing del libro; rivedere le politiche editoriali, specialmente sulla letteratura di qualità, e la relazione con gli autori; tentare una ridefinizione dei rapporti all’interno delle grandi case editrici, capire se la nuova legge del libro è funzionale al mercato. Sotto la lente il fattore prezzo, le mancate sinergie nei grandi gruppi, la vitalità dei medi e piccoli editori, l’esplosione dei festival. Tutti elementi buoni per andare alla ricerca del lettore perduto.

Saturno, il pianeta che stabilisce i limiti e ci spinge a prendere decisioni pratiche, è ora in Gemelli, il segno della parola scritta. Questa combinazione mette l’editoria nel periodo più duro degli ultimi 29 anni (il ciclo di Saturno). Saturno non lascerà i Gemelli fino a giugno 2003: sfortunatamente i problemi per l’industria editoriale continueranno per altri 18 mesi. Dopo questo periodo, l’editoria libraria ne uscirà rafforzata e non incontrerà periodi così negativi per i prossimi tre decenni.
Susan Miller, astrologa, su «Publishers Weekly», 21 dicembre 2001.
Gli italiani hanno chiùso il portafoglio. Meno soldi per i beni durevoli ma anche, secondo Ac-Nielsen Italia, per i beni di largo consumo, per giornali e libri. Il 2002 era iniziato malissimo per l’editoria italiana, un primo trimestre da dimenticare, come non si vedeva da anni. Poi le cose sono andate meglio e ci si è ritrovati pienamente confortati nel considerare che sì, anche per quest’anno il mercato è per fortuna stagnante. Inoltre, mal comune europeo: anche Francia e Spagna dopo un paio d’anni di crescita sono ferme; va meglio il Regno Unito, ma in Germania è il disastro: dopo quindici anni di continua espansione, il mercato è crollato (una prima stima indica un -8%), con la chiusura di moltissime librerie indipendenti, fallimenti, case editrici messe in vendita senza che però sia comparso nell’orizzonte teutonico nessun acquirente. Bertelsmann, la più grande casa editrice del mondo, tira i remi in barca, allontana Thomas Middelhoff, il super CEO che l’aveva fatta diventare un impero mediatico sopra il quale non tramontava mai il sole (letteralmente: dagli Stati Uniti, con Random House, il più grande gruppo editoriale americano, ai book club di Shanghai, passando per la leadership in Germania e le joint venture in Europa e nel mondo) e che aveva il sogno di far diventare Bertelsmann il primo retailer on-line della terra. Non solo di libri. Via Middelhoff – che è stato un ottimo amministratore, ma con una visione del futuro non più in linea con la proprietà -, abbandono del progetto di e-commerce, rientro convinto nel proprio core business, l’editoria, stop alle acquisizioni, al gigantismo, vendita di qualche ramo d’azienda per mettere i conti in pari. E di quotarsi in borsa — altro progetto del megacapo – non se ne parla proprio.
In Francia, oltre a un mercato fermo, hanno un’altra gatta da pelare: il disastro di Vivendi Universal e la conseguente cessione del primo gruppo librario francese (Vivendi Universal Publishing) al secondo, Hachette. Un’operazione che non solo pone una grossa incognita sulla cinquantina di sigle che fanno capo a Vivendi, ma crea una palese distorsione del mercato. Anche se probabilmente l’acquisizione implicherà per Hachette la cessione della scolastica e di parte della distribuzione, la Francia si ritroverà con un supergruppo editoriale monopolista nelle cui mani c’è almeno il 38% del mercato e della distribuzione (Livres Hebdo). Tanto per dare il senso delle proporzioni: sommando i fatturati 2001 di Vivendi Universal Publishing e Hachette Livre si ottengono oltre tredici miliardi di franchi. Il fatturato dei concorrenti più vicini (Albin Michel o Gallimard) è nove volte inferiore ma, comunque, sei volte le dimensioni dell’Einaudi. Sarebbe come se da noi ci fosse al primo posto un supergruppo «MondaRizzoLonganesi», al secondo Feltrinelli (librerie escluse) e in mezzo il vuoto. Quali saranno le conseguenze nel medio e lungo periodo sul mercato francese nessuno ancora l’immagina.
Anche negli Stati Uniti – il più vasto e robusto mercato librario del pianeta, spesso anticipatore di tendenze e terreno di sperimentazione per la futura industria libraria – non se la passano per niente bene. Abituato a tassi di crescita sostenuti, il mercato USA è rimasto fermo, fermissimo nel 2001 (-0,1%). Per il 2002 i più ottimisti prevedono un possibile recupero nell’ordine del 2,8% (Book Industry Study Group) solo grazie all’editoria scolastica e professionale, perché il «trade», cioè saggistica e romanzi, nonché la letteratura per ragazzi, sono dati in flessione. «L’industria editoriale» ha commentato Michael Cader, autore della seguitissima newsletter Publishers Lunch «è in una “mathematical death spiral”». Perché? «Con un numero crescente di novità ogni anno, un mercato online del libro usato sempre più attivo, il print-on-demand che spingerà a mettere fuori catalogo un crescente numero di libri, un mercato stagnante o in declino in tutti i settori», spiega Cader, «la somma di questi fenomeni dà un risultato disastroso: vendite minori per tutti; si salveranno solo pochissimi titoli». Alla fine di ottobre, l’economista Drew Matus della banca Lehman Brothers rincara la dose e dichiara, riguardo al crollo di fiducia dei consumatori americani: «Forse questo Natale verrà cancellato». Nel 2002, infatti, anche gli americani hanno chiuso il portafoglio.
Dobbiamo aspettarci un simile scenario anche per il mercato europeo? Se i pronostici delle stelle non sono incoraggianti, l’anno passato offre però abbondante materiale su cui riflettere.
Quanto i lettori italiani abbiano speso per i libri – e quindi l’effettivo esito commerciale dell’annata – potrà dircelo l’andamento delle vendite natalizie (questa rubrica si chiude a ottobre; dunque: dati non disponibili). Ciò nonostante, il 2002 è stato teatro di avvenimenti nuovi e non secondari. Il limite di sconto al 15% imposto dalla legge sul libro ha avuto una ricaduta sulle vendite nella grande distribuzione e apre oggi urgenti interrogativi su come gestire il fattore prezzo e il marketing del libro; la crescita delle catene librarie, prima fra tutte Feltrinelli, inizia a dare i primi segnali qualitativi di una diversa rotta presa dal retailing e dalla distribuzione; l’acquisto di UTET da parte di De Agostini si presta a una riflessione sul ruolo delle grandi concentrazioni editoriali; la moltiplicazione dei festival letterari offre lo spunto per mettere in discussione il rapporto tra editori, media e lettori, ovvero quali possono essere i nuovi strumenti per la comunicazione del libro. Infine, il grande successo dei libri offerti con «la Repubblica» e il «Corriere della sera»: quaranta-quarantacinque milioni di volumi venduti che sono andati a «impattare» soprattutto sulla vendita dei tascabili in libreria e, in modo non trascurabile, su tutti i libri venduti in edicola. Velo pietoso sulle false promesse della legge sul libro, che contemplava anche investimenti per la scuola, la promozione della lettura, ecc.: soldi non ce ne sono, tanto meno per un prodotto così poco popolare. È inutile parlarne, almeno per quest’anno.
Comunque, l’anno di sperimentazione della legge sulla limitazione degli sconti, prolungato fino a dicembre 2002 con una concessione più ampia alle «iniziative speciali», ha avuto una prevedibile e immediata ripercussione sulle vendite nella Grande Distribuzione (GDO). A settembre 2002, un dato indicativo per il reparto libri registrava -26% nel numero dei libri venduti, -18% a valore, un calo dello scontrino medio di circa 2 euro. Solo il periodo estivo, che in GDO vale per le vendite quanto un periodo «caldo» come Natale, ha registrato una forte flessione. Bisogna precisare che tutta la grande distribuzione (food e non-food) è in flessione, anche se con valori percentuali inferiori. E che hanno sofferto molto di più gli ipermercati, dove la differenza di sconto sui libri avvertita dal consumatore è passata di colpo dal 30-35% al 15%, rispetto ai supermercati, dove i libri erano offerti con uno sconto del 20% e la differenza, all’occhio del consumatore, si è fatta sentire meno.
Chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato? In teoria, la legge era stata varata per proteggere le librerie dalla concorrenza della GDO, e pare che le librerie indipendenti abbiano (forse) guadagnato qualcosa nei primi nove mesi; minimo il vantaggio per le librerie di catena, che lavorano su differenti coordinate economico-commerciali. Ci hanno guadagnato anche le proprietà di super e iper – per le quali il libro è sempre stato una merceologia secondaria – che si sono messe in tasca la differenza media dello sconto al consumatore prima e dopo la legge: almeno un +8% di margine. Pulito pulito. Ci hanno perso sia le aziende che distribuiscono libri in GDO, in particolare Mach2, sia gran parte degli editori (non tutti) per i quali questo canale è importante, in particolare i grandi gruppi (proprietari, tra l’altro di Mach2). E ci ha perso il consumatore. Perché ha avuto sconti inferiori, e perché il prezzo dei libri è aumentato (anche se l’Italia rimane un paese dove i libri costano abbastanza poco rispetto alla media europea).
Morale: serve veramente una legge per limitare gli sconti e proteggere le librerie indipendenti? A una prima valutazione, no, se la legge non fa parte di un programma efficace di promozione della lettura che parta dalla scuola (per di più il mercato per ragazzi è in forte flessione da un paio d’anni – nonostante Harry Potter – e quindi, nel futuro prossimo, verrà meno anche il serbatoio dei nuovi lettori). No, perché le caratteristiche dei mercati si vanno uniformando e non è ancora dimostrato che i paesi che adottano il prezzo fisso, Francia, Germania e Spagna, se la passino meglio di quelli che hanno un libero mercato come Regno Unito e Stati Uniti. No, perché l’editoria libraria italiana deve ancora togliersi da alcune pastoie ideologiche e culturali che frenano il mercato, e questo implica da una parte ripensare seriamente al marketing del libro (dal ruolo del promotore editoriale alle iniziative di comunicazione), dall’altra poter disporre più liberamente del fattore prezzo. Se n’è discusso a lungo; l’impressione è che questa legge, anche per i suoi sostenitori, sia una sorta di purgatorio.
Le questioni sul piano del «fattore prezzo» e del marketing librario sono diverse.
L’annata 2002 è stata stagnante anche perché gran parte degli editori hanno recuperato la flessione del numero di pezzi venduti con un aumento del prezzo di copertina compreso tra il 10% e il 15%. Ma, visto che i prezzi di tutti i beni di consumo sono aumentati, potrebbe essere ragionevole pensare che nei libri il prezzo non sia stato un fattore determinante nella flessione delle vendite. O, quanto meno, non così determinante, per quanto riguarda quest’anno. Una maggiore consapevolezza del valore dell’euro riporterà ancora più al centro dell’attenzione il «quanto costa». E non solo. Il lettore-consumatore dei prossimi anni si chiederà con più determinazione: «cosa mi offre in più questo prodotto, questo punto vendita, questo autore, questa casa editrice?».
La più recente indagine sulla lettura in Italia (La percezione della lettura degli italiani tra librerie, mode e supermarket condotta l’anno scorso da Età Meta Research per conto del quotidiano di marketing e comunicazione «Punto.Com») parla chiaro: descrive un’Italia che acquista un libro prima di tutto in base al prezzo (seguono copertina e autore), che è sensibile alle promozioni, che si sente a proprio agio scegliendo i libri all’edicola (dove, guarda caso, si trovano anche i libri che costano meno: «Miti», «Superpocket», le varie serie «Harmony», le promozioni legate ai quotidiani, tutti con prezzi non superiori ai cinque euro) e al supermercato. Un’Italia che è ancora messa in soggezione dalla libreria; molto meno se questa è un multistore con dischi, riviste, giornali, poltrone e divani per sedersi a leggere e magari bersi un caffè, proprio come i megastore Feltrinelli, Fnac, Mei, Mondadori.
Pensiamo ora al pubblico della libreria, il principale canale di vendita in Italia. Un pubblico che potrebbe non avere più gli stessi contorni di quello fotografato dall’indagine Doxa condotta a metà degli anni novanta (e dalla successiva Istat) nota per aver scoperto i «lettori morbidi» e aver messo l’accento sul fatto che era lo zoccolo duro di lettori (il 15% circa), una piccola minoranza colta e informata, ad assorbire la maggior parte delle vendite.
Una recente indagine condotta nel Regno Unito dall’autorevole società internazionale Point of Purchase Advertising Association (PPAA) sui comportamenti dei consumatori (anche in libreria) rivela che mentre qualche anno fa il 50% delle decisioni di acquisto erano state fatte prima di varcare la soglia del negozio, oggi il 72% dei consumatori decide cosa comprare dopo essere entrato nel negozio. Un dato che ci dice quanto sia importante il marketing sul punto vendita. È inoltre già dimostrato che attirare un nuovo cliente in un mercato (ovvero creare nuovi lettori, o fare in modo che i «lettori morbidi» entrino in libreria) comporta un costo da dodici a venti volte superiore rispetto a quello necessario per persuadere un consumatore a comprare di più in un settore di mercato che già frequenta.
Il marketing del libro, inoltre, non ha dato gran prova di sé in Italia: negli ultimi anni le operazioni innovative e di successo si contano sulle dita di una mano. Il resto è stato solo promozione stagionale basata sul 3×2, sul gadget o sullo sconto.
Eppure è evidente quanto, in un mercato stagnante, il marketing debba rinnovare velocemente la propria cultura, trovare nuovi strumenti, essere considerato parte integrante della creazione del prodotto editoriale, e non, come succede prevalentemente, rimanere un’entità alla quale affidare le sorti commerciali di un libro sul quale si è già deciso tutto (titolo, data di uscita, copertina, ecc.). La mancanza di comunicazione e di coordinamento – soprattutto nelle grandi case editrici – tra ufficio stampa, marketing, ufficio commerciale e divisione editoriale, è sotto gli occhi di molti operatori. In particolare, marketing e ufficio stampa sono, troppo spesso, due entità incomprensibilmente separate. E altrettanto evidente che, proprio in un mercato fermo, le promozioni che usano la leva del prezzo sono fondamentali, ma che non possono essere disgiunte da più ampie operazioni di marketing, anche sul punto vendita (happy hour, incontri con l’autore, concerti, segnalazione dei titoli preferiti dal libraio, esposizione di classifiche, banchi dedicati a temi di attualità, vendita di spazi alle case editrici, disponibilità di cestini della spesa, ecc.). In questo senso, il 2002 ha dato i primi segnali: la catena Feltrinelli (nei cui super store si vendono libri e dischi), ad esempio, si è distinta per un’intensa attività di animazione, ha creato continue campagne di sconto a rotazione sui titoli, ma tende a far sparire, a favore di un display organizzato per argomenti, i settori dove i lettori potevano trovare gran parte del catalogo di una certa sigla, a prescindere dagli argomenti. Una dimostrazione che, forse, il lettore fedele a questa o quella sigla è una specie in via di estinzione? Oppure una modalità di acquisto non abbastanza significativa? Espandendosi, le grandi catene accrescono il proprio potere contrattuale con gli editori, ovvero tendono a centralizzare gli acquisti su un numero maggiore di titoli e ad ottenere qualche punto percentuale in più di sovrasconto. Questo va bene alla grande editoria, ma non alla media e piccola, che già lavora su margini ridotti al minimo: nel prossimo futuro la soglia d’accesso alla libreria sarà destinata quindi ad alzarsi.
Intanto, l’editoria italiana gioca in difesa: meno titoli, tirature più basse. Fatturati stabili, si dichiara con cautela, soprattutto per i grandi editori. Flessione, netta, per alcuni piccoli editori, i primi a essere espulsi dalle librerie. Tengono, invece, quegli editori (in un range di fatturato che va dai due ai quindici milioni di euro) sulla cui media e talvolta piccola dimensione non gravano troppo i costi fissi (il personale, in primo luogo) e che, grazie a un titolo, a qualche autore che sta garantendo una profittevole serialità, a un catalogo che gira, o a qualche azzeccata iniziativa promozionale, stanno attraversando senza troppi patemi la situazione attuale.
A lato della profonda crisi che nel 2002 hanno attraversato i «multi-media titans», rispuntano gli interrogativi sollevati da André Schiffrin (Editoria senza editori), Jason Epstein (Il futuro di un mestiere) e indirettamente dallo stesso Roberto Calasso (L’editoria come genere letterario, in «Adelphiana», 1, 2002): le concentrazioni editoriali fanno male al libro? Il dibattito è aperto e ruota intorno a tre temi principali: il rapporto tra autore e casa editrice; le sinergie all’interno dei grandi gruppi; le difficoltà che incontrano sul mercato i titoli di letteratura non commerciale.
Il primo tema indica un fenomeno che già da tempo attraversa visibilmente l’editoria internazionale: l’autore trova sempre meno nella casa editrice un interlocutore attivo, capace di lavorare sul testo (ruolo che oggi, anche in Italia, svolgono sempre di più gli agenti letterari) e di accompagnarlo con continuità, sostenendo le sue potenzialità, nel percorso fino al punto vendita e oltre (ovvero, secondo mercato e macero, lì dove finisce effettivamente la vita del libro). Ufficio stampa e marketing abbandonano la maggioranza dei titoli poche settimane dopo l’uscita in libreria, incalzati dal ritmo delle novità. Forse per questo, alcuni autori di successo stanno sperimentando il «fai da te». Tre esempi tra i molti: Stephen King e altri autori blockbuster ci hanno provato con il libro elettronico, senza grandi risultati; sempre negli Stati Uniti, Dave Eggers, ha fondato una casa editrice, un Ottimo sito Internet, ed è passato direttamente all’autoproduzione e distribuzione (solo in librerie non di catena) del libro stampato; in Italia Alessandro Baricco ha da tempo preso in mano parte del marketing e della promozione dei suoi ultimi libri con un uso intelligente ed efficace di Internet. E improbabile che il fenomeno dilaghi, ma l’editoria dovrebbe essere consapevole di avere una pulce di grosse dimensioni nell’orecchio.
Sinergie. Di certo, le mancate sinergie all’interno dei mogul dell’informazione sono un altro aspetto di debolezza messo in rilievo dall’anno appena passato. Nei giganti dei media, infatti, qualcosa non gira. Per molti ha inciso sia la crisi di periodici e televisioni, riconducibile alla diminuzione degli introiti pubblicitari, sia una gestione confusa e persino le turbolenze dei mercati azionari. Più in generale, il gigantismo non paga. E le divisioni libri hanno avuto (anche in Italia) ben pochi vantaggi – in termini di comunicazione, travaso di contenuti, marketing – dall’appartenenza a grandi gruppi mediatici.
L’esempio più lampante viene dal tracollo del numero uno del multimedia mondiale, AOL Time Warner: il mega merger, che doveva chiudere il millennio generando un irresistibile circolo virtuoso tra i «contenuti editoriali» di Time Warner e i milioni di clienti del più grande internet provider del pianeta, si è trasformato in un circo di incredibili acrobazie finanziarie, diventate poi imbrogli belli e buoni. Disattesa la tanto promessa «digital distribution» ai tempi della fusione, le azioni di AOL-TW sono andate in caduta libera (un’azione valeva novantacinque dollari nel 2000, otto dollari e mezzo a maggio del 2002); i debiti, di cui sono responsabili per la maggior parte le attività di AOL, sono saliti a ventinove miliardi di dollari, mentre tutte le attività editoriali del gruppo hanno tenuto, per loro fortuna anche senza le false promesse della sinergia con Internet. Pare che le strade di AOL e TimeWarner si divideranno presto.
Anche senza tirare in ballo una delle vittime più illustri della new economy, il panorama internazionale non offre un bel quadro perle grandi concentrazioni del publishing. Con o senza Internet, da Pearson (Penguin, Viking, Dorling Kindersley) a News Corporation (HarperCollins; Fourth Estate, Morrow, Avon), da Viacom (Simon & Schuster, Scribner, Pocket, Atria) a Vivendi (Laffont, Fixot, Plon, Belfond, ecc.), da Bertelsmann (Random House, Knopf, Doubleday, Bantam, Ballantine, Transworld, Plaza & Janés, ecc.) a Holtzbrinck (Farrar, Straus & Giroux, Henry Holt, Macmillan, S. Fischer, St. Martin’s Press), questi mammut dei media sono in parte alla ricerca (ritrovamento?) del proprio core business, tappando falle più o meno grosse, vendendo i gioielli di famiglia per far fronte ai debiti (Vivendi), o tornando a modelli consolidati che rifuggono dai gigantismi e dalle seduzioni della borsa (Bertelsmann). Per tutte queste aziende, che pure conservano la propria divisione libri, in certi casi «piccola» se comparata alle altre attività (i libri non incidono mai più del 5-7% nel giro d affari), le sinergie tv-radio-periodici-libri non hanno funzionato. Le sigle librarie hanno continuato a camminare con le loro gambe (e piuttosto bene), senza ricevere aiuti apprezzabili da media potenti come i magazine o le televisioni e senza dare a questi quel «plus» di contenuti che doveva essere il cuore delle sinergie.
Novità interessanti nel campo delle sinergie potrebbero invece giungere dalla italianissima De Agostini: un colosso editoriale che ha sempre messo a segno con profitto strategie globali e acquisizioni particolari (vedi più avanti Alti e bassi editoriali). Cosa potrà riservare l’incontro-incrocio tra l’acquisizione della UTET – unico evento societario significativo del 2002 – e le attività internazionali del gruppo di Novara, la leadership nel fascicolabile, il patrimonio di «contenuti» e l’accesso ai terminali di Lottomatica, più numerosi degli uffici postali? Vedremo.
Terzo tema: best seller e letteratura «alta» (chiamiamola come vogliamo: letteratura di qualità, literary fiction, highbrow, ecc.). Secondo una recente analisi del «Financial Times» il book business sta iniziando a seguire le dinamiche dell’industria discografica: investimenti e ricerca del best seller, e crescente importanza attribuita alla front list per non perdere denaro in libri e in titoli che non rendono. «Un modello di business debole» commenta il «Financial Times». Per l’editoria libraria è una vecchia storia. Ma, per quanto le due industrie abbiano solo alcuni punti di reale similitudine, il pozzo in cui si è buttata l’industria discografica ha molti aspetti di un viaggio senza ritorno. Bisognerebbe tenerne conto, senza agitare lo spauracchio di Napster. Anche gli editori americani, con le antenne ben dritte quando sembrava che il libro elettronico potesse diventare incontrollabile a causa del file-sharing, se ne sono convinti: è stato il modello di business ad affossare il mercato del disco, non Napster.
Dunque, ci troviamo veramente di fronte o nell’anticamera di un «modello di business debole»? Ora come ora, per quanto profittevoli, le case editrici che appartengono alle concentrazioni sono per lo più tra l’incudine di una cultura d’impresa che privilegia la redditività immediata e il martello dell’incapacità di rispondere con prontezza a un mercato librario in continuo cambiamento. A volte si arriva al paradosso che il costo del libro (l’anticipo, le royalties) determini a cascata le scelte commerciali e di marketing, le tirature e il sell-in (coerentemente con il conto economico). Eppure è un modello di business che alcuni stanno iniziando a mettere in discussione. La sostanza del problema è: se al best seller, giustamente, non si rinuncia, come lavorare tutti quei libri di qualità che, anche se non ad alto potenziale commerciale, sono comunque strategici alla casa editrice? Sono libri pubblicati per costruire il catalogo, o perché l’autore nobilita la casa editrice, o per riempire il piano editoriale (raramente anche i banchi delle librerie), o per «dare un segnale» ai librai? O, magari li si pubblica nella convinzione che, santificati dal passaparola, possano diventare best seller? Un po’ di tutto questo, e non a torto.
Il fatto è che le grandi concentrazioni hanno una crescente difficoltà a trattare e affermare questo genere di libri. Nella logica della redditività, c’è sempre meno spazio per lavorare i libri a bassa tiratura, e sempre meno professionalità a disposizione per iniziative di marketing e promozione «artigianali», magari poco scenografiche ma molto mirate. Insomma, lo spettro è quello che negli Stati Uniti viene seccamente riassunto così: «ormai i grandi editori non fanno più publishing, si limitano a fare printing». La situazione appare invero più complessa, e per l’Italia a tinte non così forti. Le grandi case editrici cercano i libri di letteratura alta. Li cercano continuamente. Le collane nobili di Mondadori, per esempio (dalla «Scrittori italiani e stranieri» a «Strade Blu»), hanno cataloghi eccellenti e fior di autori, ma pochi, molto pochi, riescono a emergere. In questo senso Mondadori sta ripensando le proprie strategie, nella convinzione che nel mestiere dell’editore devono saper convivere due velocità. Dice infatti Massimo Turchetta (Direzione Libri Mondadori): «L’editore non può andare a una sola velocità: quando perde di vista una delle sue anime, per errori o perché costretto dalla situazione di mercato o di competizione, sbaglia. L’editore deve saper cercare e proporre al mercato libri veloci, commerciali, di alto artigianato sia pure di consumo; ma deve anche saper costruire un catalogo di futuri long seller» (Libri a due velocità, intervista di Giovanni Peresson, «Giornale della libreria», giugno 2002). Questi i propositi. Va da sé, però, che se un aggiustamento di rotta è necessario, richiede tempi lunghi, anni, soprattutto perché deve essere fatto proprio da tutte le professionalità di una grande casa editrice.
Dobbiamo inoltre considerare, come «zavorra mentale» di nuove politiche editoriali, che tutti i grandi gruppi hanno comunque le porte delle librerie sempre aperte, per la semplice ragione che rappresentano la fetta maggiore del fatturato. È chiaro, dunque, che Mondadori, più di ogni altro, abbia un proprio modo di fare editoria libraria. Così come è chiaro che le sinergie con Fininvest e Mediaset per la divisione libri di Mondadori, o quelle di RCS Libri con Hdp-RCS sono deboli e occasionali. Difficile però affermare che i grandi gruppi dell’editoria italiana (il Gruppo Longanesi, in particolare, che pure appartenendo alla galassia Messaggerie, mantiene la struttura reticolare di medie case editrici) abbiano preso la china di un «modello debole di business». Ma il problema esiste, per quanto l’anno passato abbia visto un discreto (modesto?) assortimento di titoli «letterari» entrare nelle classifiche. Senza però rimanerci a lungo; senza che questi autori siano diventati i Nick Homby, le Chevalier o i Richler del caso. Complice la crisi del mercato, è proprio su questo argomento che il 2002 ha avviato un dibattito interno ai gruppi editoriali che speriamo dia i primi frutti nel corso di quest’anno.
Resta infine da sottolineare l’attività di medi e piccoli editori, il loro intenso impegno nel promuovere la propria immagine con incontri, spettacoli, un uso efficace di Internet, scelte editoriali precise (e/o, Fanucci, Minimum fax, Neri Pozza, solo per fare alcuni esempi) che stanno incontrando il pubblico (e il favore dei librai) su un terreno che non è quello dei grandi gruppi. Chiaramente, le decine di migliaia di copie in più che portano un piccolo editore a guadagnarsi un sicuro posto al sole non influiscono sui macro numeri del mercato librario. Ma è importante dare valore, nel panorama della nostra editoria, a questo modo di svolgere il lavoro editoriale. Non sono, questi, editori che fanno editoria «come la si faceva una volta». Questa è editoria di oggi, senza alcun dubbio.
Anche la moltiplicazione dei festival letterari esprime un’esigenza del pubblico che andrebbe analizzata, e da cui trarre – per quanto possibile – suggestioni sia per gli editoriali sia per il marketing, piuttosto che sbuffare, come hanno fatto certi giornalisti che li considerano ormai troppi. L’anno scorso nel Regno Unito sono stati più di cento, tutti affollati, con una girandola di nomi di prestigio e un pubblico più che soddisfatto. E vien da dire, per quanto ognuno abbia i propri punti deboli, che anche la ventina di festival italiani sono una vera fortuna. Un momento unico per riannodare quella che Roberto Calasso ha definito, in un altro contesto, «la relazione con quello sconosciuto, oscuro essere che viene chiamato “il pubblico”». Forse non è così oscuro, ma semplicemente dotato di altre caratteristiche quando lo chiamiamo «mercato». Come le particelle subatomiche. Ma, a differenza di queste, l’osservatorio messo a disposizione dai festival non altera le qualità dell’osservato. Un campione importante dei lettori è lì, vuole avere un contatto diretto con gli scrittori e forse vuole avere qualcosa d’altro: molto probabilmente il libro giusto, nel momento giusto, nel posto giusto. E a un prezzo giusto. Quattro variabili che pur rimanendo quasi immutabili dalla nascita del libro, oggi si spostano più velocemente di quanto l’editoria riesca a vedere.

Alti e bassi editoriali
I dati di fatturato si intendono, generalmente, a prezzo di copertina e netto rese. I dati delle case editrici, relativi al 2002, sono da intendersi come pr e visionali per quanto riguarda il fatturato. Alti e bassi editoriali è stato chiuso il 31 ottobre 2002. L’Autore, consapevole della disomogeneità delle fonti cui ha fatto ricorso, si rende disponibile a eventuali rettifiche o integrazioni.

ADELPHI. La casa editrice di Calasso ha chiuso il 2001 con un fatturato di 52 miliardi di lire (+8%) e considera il 2002 (quarantennale della sigla) un anno di consolidamento, privo come stato di grandi best seller, ma con risultati più che positivi generati sia dal catalogo sia dai best seller degli anni scorsi (a ottobre 2002 sono state vendute 180.000 copie complessive di La versione di Barney e 700.000 copie dei titoli di Màrai, fra i quali Le braci, da solo, ha passato le 200.000 copie). Stabile la produzione, poco più di 60 titoli, con buoni risultati di Austerlitz di W.G. Sebald, Il falco pellegrino di Glenway Wescott, Pinocchio: un libro parallelo di Manganelli (terza edizione). Esordio nella narrativa per ragazzi con i raffinati volumi della collana «I cavoli a merenda» e nuovo esordio anche per l’elegante «Adelphiana» (direzione di Calasso, coordinamento di Matteo Codignola, redazione di Ottavio Fatica, Ena Marchi, Giorgio Pinotti), rivista libro, aperiodica (uscita una prima volta in numero unico nel 1971), on-line per qualche mese, quindi in volume cartaceo.
Adelphi, con un pubblico ormai fedele e consolidato di forti lettori potrebbe essere più al riparo di altre sigle dai chiari di luna del mercato; ma le logiche gestionali delle librerie più grandi e dei superstore tendono a eliminare gli spazi dedicati alle sigle editoriali, distribuendo i titoli nei vari settori tematici: fatto questo che toglie un punto di riferimento per il pubblico e penalizza le vendite.

BALDINI & CASTOLDI. Il Gruppo Baldini & Castoldi, del quale fanno parte Zelig e La Tartaruga, ha chiuso il 2001 con un fatturato consolidato di 30 miliardi di lire (+30%) e prevede di chiudere il 2002 a poco più di 18 milioni di euro. Pur non avendo avuto grandi best seller conserva una buona visibilità, alimenta un catalogo che spazia dalla saggistica ai libri dei comici e conta anche su titoli come No Logo che è diventato un classico del genere. Nell’anno scorso, i principali long seller sono stati Il secolo biotech di Jeremy Rifkin, Ballando nudi nel campo della mente di Kary Mullis, L’asso nella manica a brandelli di Rita Levi Montalcini, Lincontinente bianco e Dio li fa e poi li accoppa di Giobbe Covatta.

DE AGOSTINI. L’utile netto realizzato nel 2000 (3.430 miliardi di lire), derivato in gran parte dalla cessione della partecipazione in Seat Pagine Gialle, è stato il motore di numerose operazioni sia in ambito editoriale sia extraeditoriale.
Quella che più interessa l’editoria libraria è certamente l’acquisizione della UTET (fatturato UTET 2001: 200 milioni di euro; il capitale è valutato 120 milioni di euro). Tra le sigle controllate da UTET: Garzanti, Garzanti Scuola e Garzanti Grandi Opere (da non confondere con Garzanti Libri di cui ha solo il 20%), Petrini, Marietti, Isedi, Clup, Theorema, Liviana. A marzo 2002 il gruppo di Novara ha la meglio sulla cordata Motta-Paravia-Bruno Mondadori e conquista il 51% di UTET, acquisendo, rispettivamente, il 36% dalle banche (San Paolo Imi, IntesaBci, Efibanca e BNL) e il 15% dagli azionisti storici che fanno capo alle famiglie Merlini e Losana, alle quali resta il 26,8%. Un ulteriore 22% è in mano a un gruppo di azionisti. Dopo il nulla osta dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, De Agostini acquisisce in luglio ulteriori quote, portandosi al 78%.
Il piano di diversificazione industriale di De Agostini, fortemente incentrato sul multimediale, si esprime anche attraverso altre importanti acquisizioni. Prima fra tutte l’OPA lanciata nel gennaio 2002 su Lottomatica (ricavi consolidati 2001: 480 milioni di euro; utile 2001: 62 milioni di euro) tramite la controllata Tyche, della quale assume il controllo (59,31% del capitale) attraverso un’operazione valutata circa 1.170 milioni di euro; a febbraio la quota detenuta (direttamente e indirettamente) sale al 63,39%, quindi al 65,67%. La rete di Lottomatica, una delle maggiori reti italiane, si estende in 26.000 ricevitorie e 30.000 terminali on-line, il doppio di quelli delle Poste.
Ad aprile 2002 De Agostini entra nel capitale di Mikado Film, società di produzione e distribuzione cinematografica, acquisendone la quota di controllo. Tra gli asset della Mikado: 20% di Circuito Cinema, società che gestisce circa 80 sale cinematografiche; il 66% della società di produzione cinematografica Albachiara – del quale il 33% già di De Agostini – nata nel 2000; il 15% di e-Mik, dedicata alla vendita on-line di videocassette; il 50% di Cinemaundici, consociata che ha prodotto Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi.
A cornice di queste operazioni le attività di DeA Communications (varata nel 2001), sub-holding del Gruppo De Agostini, dedicata allo sviluppo di progetti, alleanze, acquisizioni e start-up nel settore media e comunicazione.
Nel 2001, prima della acquisizione della UTET, libri e multimediale rappresentavano il 5,4% dei ricavi del gruppo, le vendite dirette rateali l’11,6%, il direct marketing il 28,2%, il collezionabile (fascicoli ecc.) il 51,9%. Per il 2001, De Agostini dichiara ricavi consolidati per 1.178,3 milioni di euro (+2,5%) e un utile netto pari a 42,9 milioni di euro.
A settembre 2002 De Agostini riorganizza tutte le attività editoriali, italiane ed estere, ora gestite da una sub-holding guidata dal nuovo a.d. Stefano di Bella, che proviene dal gruppo Cirio Del Monte e prima ancora dal gruppo Barilla.
Più in generale, il 2002 rappresenta una sorta di giro di boa per il gruppo, destinato nei prossimi anni a costruirsi un’identità ben diversa da quella attuale. Seppure con pesi e funzioni diverse, c’è un filo rosso che collega l’editoria cartacea (libri, grandi opere, fascicoli, riviste), l’attività su Internet legata alla scolastica e all’editoria per ragazzi (il sito Sapere.it e il progetto La clessidra Look & Web), le decine di migliaia di terminali di Lottomatica, il cinema, le numerosissime attività internazionali, la joint venture e i progetti in corso con un grande gruppo straniero come Planeta, i 141 milioni di euro in titoli Olivetti (raccolti con molta discrezione nel 2001, prima dell’entrata di Pirelli), i 500 milioni di euro messi a disposizione per gli investimenti di DeA Communications (per creare, tra l’altro, un polo italo-franco-iberico nella fiction) e altro ancora.
Una cultura di marketing molto articolata (e perfezionata nei fascicoli, quindi in un canale, quello dell’edicola, di grande importanza strategica per comprendere consumi e consumatori di prodotti editoriali); i «contenuti» enciclopedici e cartografici in mano al gruppo; l’attività multimediale iniziata in tempi pionieristici (e ora forte di un sapere sedimentato oltre che di prodotti leader) e la logica applicazione di queste conoscenze nell’attività su Internet e sulla rete Lottomatica; infine il suo ingresso nel mondo del cinema, fanno di De Agostini forse l’unico gruppo editoriale a livello internazionale che potrebbe sviluppare reali sinergie tra contenuti, editoria, cinema, comunicazione e Internet. De Agostini, inoltre, si è sempre mosso con i piedi di piombo in campo finanziario, deciso a investire, sì, ma solo in operazioni che garantiscano una sicura redditività. E, come se non bastasse, restano ancora, dalla cessione Seat, svariate centinaia di milioni di euro in liquidità pronti per i progetti più vari.

E/O. Un altro dei piccoli editori storici si è avviato, con la cautela di un passista e scelte meditate e di qualità, verso l’editoria di medie dimensioni, riconosciuta a livello internazionale, e/o chiude infatti il 2002 con un fatturato di oltre 2 milioni di euro (+6,5%) e rese sotto il 30%, segno che il mercato assorbe di più, viste le tirature iniziali sempre ben ponderate.
Protagonisti della crescita, Elena Ferrante con I giorni dell’abbandono (40.000 copie), il fenomeno Carlotto, le cui vendite raddoppiano di anno in anno (60-70.000 copie all’anno per i sette titoli della backlist nei tascabili) e il successo di Il maestro di nodi (20.000 copie in quattro settimane e l’onore della classifica). Tra le novità, Alice Sebold, il cui The Lovely Bones è stato il caso letterario dell’anno negli Stati Uniti con oltre un milione e mezzo di copie vendute, sfuggito a tutti i grandi editori italiani (esce in italia a fine 2002) e due esponenti della nuova narrativa israeliana: Keret e Orly Castel-Bloom.
Buono l’andamento dei tascabili, lanciati dieci anni fa con una scelta temeraria ma che, dopo qualche anno di esperimenti, si dimostrano oggi molto funzionali per far girare il catalogo (Wolf, Tammuz, Scoppettone, ecc.)

FANUCCI. In poco più di tre anni Sergio Fanucci ha completamente trasformato la piccola casa editrice di fantascienza e fantasy. La politica di acquisizione di autori importanti iniziata tra il 1999 e il 2000 (tutto Philip K. Dick, Angela Carter, tutti i racconti di Ballard, un genio del noir come Jim Thompson, Coover, Spinrad solo per fare alcuni nomi), una maggiore attenzione alla qualità e alla traduzione, la scommessa vinta nel settore ragazzi con i titoli di Peggy Sue firmati da Serge Brussolo, la creazione di diverse collane-prodotto (da «Avant Pop», che raccoglie solo autori moderni al crocevia dei generi, ai tascabili «TIF») e la loro calibrata diffusione nei canali di vendita hanno rinnovato la sigla che oggi mira a essere, senza contraddizioni, punto di riferimento per la letteratura dell’immaginario e leader nel settore FS e fantasy. Fatturato 2001 a 2,5 milioni di euro (+20%); previsto per il 2002 un ulteriore balzo del 15-20% che dovrebbe avvicinare il fatturato a tre milioni di euro. Tradizionale ed efficace l’approccio al marketing: centralità dell’editore come «persona fisica», rapporti stretti con i librai e capillare conoscenza dei punti vendita.

FAZI. Dieci collane, 250 titoli in catalogo, pubblicati in buona parte (39%) negli ultimi due anni (più una collana di tascabili con oltre venti titoli), il fatturato in veloce crescita (nel 2001, 4 miliardi di lire, +50%; nel 2002, 2,5 milioni di euro, +20%), forte esposizione sui media grazie a un intenso lavoro di ufficio stampa, Fazi dimostra sempre più di voler stare sulla scena editoriale non come un piccolo ma come un medio editore. La produzione anche nel 2002 è intorno ai 50 titoli: una produzione che richiede molte risorse, anche in termini di personale (in casa editrice sono in undici) e quindi investimenti notevoli, anche se le tirature si sono progressivamente alzate. Fazi ha quindi mezzi finanziari per guardare in avanti, al di là delle contingenze del mercato, per la costruzione di un ampio catalogo di qualità, centrato soprattutto su narrativa e saggistica straniera, ma con un occhio agli instant book come Guerra alla libertà di Nafeez Mosaddeq Ahmed (alla terza edizione). Tra i libri del 2002 Luna di miele di Chuck Kinder (oltre 10.000 copie), Gore Vidal (35.000 copie per due titoli); J.T LeRoy (20.000 copie, due titoli). Promettono bene Zoe Jenny, Leo Malet e Leif Enger, esordiente, caso editoriale negli Stati Uniti con La pace come un fiume. Nei progetti di Fazi, il rafforzamento della narrativa italiana.

FELTRINELLI. Anni molto buoni per la Feltrinelli, sempre in crescita: il 2001 si è chiuso a 77 miliardi di lire (+20%) e si prevede per il 2002 di passare i 40 milioni di euro (+7%). Data una spolverata al catalogo, creato nuove collane di novità dal buon rapporto qualità-prezzo come «Super universale economica», rilanciata la saggistica di impegno, Feltrinelli ha creato una situazione virtuosa che mette insieme Bocca con il cardinal Martini, Dario Fo e Baricco, Strada e Arbasino. Chiude l’anno in bellezza con il Nobel a Imre Kertész e il nuovo best seller della Allende.
In maggio Feltrinelli inaugura il nuovo sito Internet, molto frequentato; la Francia premia Inge Feltrinelli con il titolo di Commandeur des Arts et des Lettres e Tabucchi con il Premio France Culture per la letteratura straniera. In autunno grosso investimento per il lancio di un’esordiente, La Mennulara di Simonetta Agnello Hornby, che entra presto in classifica.

FRANCO MARIA RICCI. Nuovo cambiamento di proprietà per FMR, che passa dalla holding lussemburghese P.A. Investment ad Art’è (100%). FMR cede, contestualmente, la propria partecipazione nelle Edizioni Scientifiche Italiane. 25.000 abbonati alla rivista, librerie in Francia, Regno Unito, Svizzera, USA e Messico, accordi di comarketing con Diners Club Italia (al cui data base accede), FMR fa lievitare la stima del fatturato 2002 di Art’è a 55 milioni di euro. In cambio della cessione di FMR, Perna entra nel capitale di Art’è con una quota del 21% .

GARZANTI LIBRI. Il 2002 rappresenta per Garzanti Libri (che ha chiuso il 2001 a 15 milioni di euro e prevede un 2002 stabile in termini di fatturato) il compimento di un restyling, tanto nei «contenuti» quanto nell’immagine, iniziato quando la casa editrice fu divisa nel 1998 in diverse società con quote proprietarie differenti distribuite tra Messaggerie e UTET.
Nel 2002 Garzanti Libri (80% Messaggerie, 20% UTET, ovvero De Agostini) si è impegnata su vari fronti: nella narrativa, con il ritorno di Cerami e il reclutamento di grandi illustratori per la proposta di linee dedicate ai suoi autori più forti, dalla Harris a Crichton, da Skàrmeta a Magris e Potok, le scoperte di pregio come Brad Meltzer e Martin Page, il restyling delle copertine dei «Grandi Libri»; nella poesia, attraverso lo sviluppo di una collana libro + cd che – con le voci di Paolini, Lombardi, Riondino – ha l’intento di svecchiare un settore da sempre piccolo e conservatore; nella saggistica, con scelte molto originali nella divulgazione, nella saggistica alta, nell’attualità politico-sociale con una particolare attenzione al settore dello spettacolo.
Notevole la messe di premi: Michel Tournier, premio speciale Campiello 2002; Antonio Skàrmeta, Premio Morante; Giuseppe Pederiali, Premio Chiara; Iolanda Insana, Viareggio poesia; Laura Grandi e Stefano Tettamanti, Premio di Letteratura Enogastronomica Minori-Costa d’Amalfi.
Grande impegno nelle «Garzantine», con le nuove Arte, Cinema, Televisione e nei reference con il Dizionario dei telefilm e il Dizionario di tutti i film. Infine un sito Internet che, coerentemente con la vocazione multimediale della sigla, è un modello di informazione, semplicità ed efficacia, tanto da registrare una media giornaliera di 1500 accessi e da essersi guadagnato la palma del Premio Mòbius 2002, sezione editori.

GRUPPO GIUNTI. 180 milioni di euro di ricavi netti, 860 dipendenti, il gruppo Giunti – una galassia di circa venti aziende – si espande nel settore ragazzi con l’acquisto, per circa 10 milioni di euro, del 100% di Dami (7 milioni di euro di fatturato). L’acquisizione non interrompe i rapporti fra i due editori, che continueranno nella collaborazione; Piero e Andrea Dami, pur conservando l’attività sui mercati esteri, hanno venduto per svincolarsi dagli impegni gestionali e disporre di più tempo da dedicare alla progettazione e alla realizzazione, a quell’idea editoriale Dami che è diventata un marchio di fabbrica.
A maggio è posta in liquidazione Giunti Multimedia (70% Giunti, 30% Albino Bartoletti). Nata nel 1992, era stata una delle prime aziende editoriali create esplicitamente per i prodotti multimediali. Chiude anche Giunti Multimedia Entertainment, che aveva provato a sviluppare video game; resta attiva, invece, Giunti Interactive Labs.
La divisione editoriale del gruppo – distinta da numerose altre attività come quelle tipografiche (è stato ceduto l’impianto di Prato per 28 milioni di euro) di distribuzione e multimediali – con i marchi Giunti (molto centrato sulla scolastica) e Demetra, e 87 librerie, chiude il 2001 con ricavi per 65 milioni di euro. L’intero gruppo prevede perii 2002 ricavi netti per 200 milioni di euro e una crescita del 10% nel settore ragazzi. In progetto, investimenti per la crescita di Dami (come fu, a sua volta, per Demetra), anche con la penetrazione nella parascolastica.

LATERZA. Laterza ha chiuso il 2001 a 22,74 milioni di euro (17,39 milioni di euro per la varia e 5,35 milioni di euro per la scolastica). La casa editrice non è scesa a compromessi con la propria vocazione di essere punto di riferimento per una saggistica di alta qualità (circa 150 novità l’anno), soprattutto sociale ed economica, e ha goduto di una notevole visibilità per tutto l’anno passato. Questo non solo grazie agli autori di prestigio pubblicati (Bauman, Barrow, Canfora, ecc.), al Dialogo intorno alla repubblica di Norberto Bobbio e Maurizio Viroli (19.000 copie), a proposte editoriali trasversali in nome di una sincera e coerente visione liberale, ma anche per l’intensa attività «militante» di Giuseppe Laterza: dai «Presidi del libro», da lui ideati e propagandati in tutta Italia, al questionario distribuito alla Buchmesse, e dedicato ai soli editori stranieri, che poneva la questione: «Come reagireste se il più grande editore del vostro paese fosse anche primo ministro?», fino al suo impegno nella prima edizione di «I dialoghi di Trani», un festival che si è distinto per l’originalità della formula. Più che buona l’attività del sito Internet, che registra una media di 30.000 visite al mese; nuova e costruttiva l’idea di riunire ogni mese in casa editrice un autore e qualche decina di persone, esperti e non, a discutere liberamente sui temi del saggio prescelto.

GRUPPO LONGANESI. Unico dei grandi gruppi del panorama italiano – terzo per fatturato – che ha scelto di mantenere una significativa quota di indipendenza e di individualità delle varie sigle, il gruppo Longanesi ha chiuso il 2001 a 87 milioni di euro di fatturato. Ai buoni risultati del gruppo ha contribuito senz’altro l’esplosione del fenomeno Harry Potter (e, in diversa misura, le altre linee editoriali), che ha fatto crescere Salani del 140% rispetto all’anno precedente; nel 2001 anche altre sigle hanno registrato incrementi significativi: Longanesi +15%, TEA +12%, Ponte alle Grazie +46%. Stabili Guanda, Corbaccio e la joint venture con RCS sui «Superpocket».
Per il 2002 il gruppo dovrebbe chiudere consolidando il risultato dell’anno precedente ma con il ritorno di Longanesi ai grandi best seller di saggistica con Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani. In particolare, Guanda ha festeggiato i settant’anni di attività e ha ritrovato in Jonathan Safran Foer l’entusiasmo per la nuova narrativa nordamericana; Salani ha festeggiato i secondi settanta. La stessa Salani ha venduto i diritti mondiali per la lingua inglese del romanzo di Silvana Gandolfi Aldabra, la tartaruga che amava Shakespeare (2001) alla casa editrice americana Arthur A Levine/Scholastic USA e alle sue associate: evento particolarmente significativo perché è raro che il mercato anglofono compri da quello italiano, tanto più se a muoversi è la più grande casa editrice per ragazzi del mondo, quella che ha pubblicato Harry Potter negli Stati Uniti. La casa editrice ha vinto anche il Premio Andersen, nella sezione «Miglior collana di divulgazione», con «Brutte Storie», e il premio per il miglior traduttore, assegnato a Beatrice Masini per la serie di Harry Potter.
Sia Guanda sia Salani hanno registrato nel 2002 un incremento a due cifre.
In crescita anche Magazzini Salani, la società avviata nel 2001 con capitale Salani, che si occupa di licensing e merchandising; nel 2002 ha stretto un accordo con la Melampo cinematografica di Roberto Benigni per la produzione e la distribuzione di merchandising tematico (calendario, libro di cartoline, pop up, magliette, un kit per decorare l’albero, magneti, carta da lettere e borse) collegato al film Pinocchio.
Negli ultimi anni Longanesi ha raggiunto il controllo (100%) di TEA, rilevando il 50% in mano a UTET e, attraverso questa, nel 2002 ha rilevato la quota di maggioranza della editrice Nord (casa editrice con trent’anni di storia nei settori fantascienza, fantasy e letteratura fantastica), alla cui direzione editoriale rimane il fondatore Gianfranco Viviani.
Stefano Mauri, «governatore» del gruppo e amministratore delegato di Longanesi, Guanda e Corbaccio (Luigi Brioschi è coordinatore editoriale delle tre sigle e direttore editoriale delle prime due; Cecilia Perucci è direttore editoriale di Corbaccio), ha assunto la presidenza della TEA passando a Marco Tarò il ruolo di amministratore delegato di TEA e di Nord per le quali il coordinamento editoriale è affidato a Stefano Res. Sul fronte operativo, guida gestionale di Guglielmo Tognetti e coordinamento editoriale di Luigi Spagnol per Salani (direzione editoriale di Mariagrazia Mazzitelli), Ponte alle Grazie e, collateralmente, Magazzini Salani (diretta da Marco Mottolese). Al coordinamento dei diversi profili editoriali del gruppo provvede un comitato del quale fanno parte Stefano Mauri, Luigi Brioschi e Luigi Spagnol.
Alle case editrici facenti parte del gruppo Longanesi si sommano (in quanto direttamente controllate da Messaggerie Italiane) Vallardi (fatturato 2001:5 milioni di euro), specializzata nella linguistica, e Garzanti Libri, che della Garzanti di Livio conserva «Garzantine», «Grandi Libri», «Varia» e tascabili (fatturato 2001: 15 milioni di euro). Comprendendo tutta questa galassia di case editrici si superano quindi i 100 milioni di euro di fatturato.

MARSILIO. Nel 2001 Marsilio ha festeggiato i quarant’anni di attività e chiuso con 20 miliardi di lire di fatturato; previsione 2002 in lieve incremento, oltre i 10,5 milioni di euro.
Nel 2002, è stata varata la collana di noir «Black», la collana «Elementi», rivolta all’università, e ripreso «I libri di Reset». Tra i titoli significativi, Mankell con I cani di Riga, il libro sulla mostra della biennale di architettura Next, la biografia di Nietzsche scritta da Fini, il saggio di Giuliano da Empoli Overdose. La società dell’informazione eccessiva.
Tra i long seller, la Mazzantini, 25.000 copie dopo lo Strega e 250.000 copie in totale; Elisa Springer che con Il silenzio dei vivi ha raggiunto le 100.000 copie in dieci anni (22 edizioni) e la giovane Chiara Gamberale con Color lucciola e Una vita sottile.

MINIMUM FAX. Ventiquattro novità l’anno, le idee molto chiare su un progetto editoriale votato alla narrativa americana, un’attività di promozione che ha trovato nel crossover tra letteratura musica e teatro un modo originale per dare identità alla sigla e guadagnarsi l’affezione di un pubblico ben definito (che, sul sito Internet, lo ricambia anche con 6.000 contatti/mese e una media di cinque pagine per contatto): Minimum fax continua la progressione positiva degli ultimi anni (fatturato: 900 milioni di lire nel 2000; 1.5 miliardi di lire nel 2001, previsione per il 2002 a 1 milione di euro, +25%) con tutto Carver in carnet, giovani promesse americane come Colson Whitehead e Jonathan Lethem, e Penguin che gli ha comprato – nientemeno, da un piccolo editore italiano – un format sui nuovi autori americani. Marco Cassini e Daniele Di Gennaro conservano l’entusiasmo degli esordi ma si fanno sempre più smaliziati: guardano in avanti con la determinazione e la coerenza di una nuova generazione di editori.

GRUPPO MONDADORI. La Divisione Libri Mondadori ha chiuso un positivo 2001 a 315,7 milioni di euro (+3,8%). Ottima la performance di Einaudi che chiude il 2001 a circa 38,3 milioni di euro di fatturato (+4,4%) e perde a novembre la guida di Vittorio Bo (lo sostituisce, mantenendo il timone della Divisione Libri, Gian Arturo Ferrari, che a maggio 2002 si fa affiancare, solo per il lato gestionale della casa editrice torinese, dal neo direttore generale Enrico Selva) ; Sperling, senza i Pokemon, esplosi nel 2000 oltre ogni aspettativa, chiude bene il 2001 con un fatturato di 23.5 milioni di euro.
La semestrale 2002 di tutta la Divisione Libri, comparata allo stesso periodo dell’anno precedente, rivela ricavi in crescita per i prodotti di fiction (sostanzialmente Libri Mondadori, Einaudi, Sperling). La stessa semestrale indica anche una flessione del 12,8% nell’education (Edumond) e dell’11,6% negli illustrati (arte) e nelle mostre, ovvero le attività di Electa. Flessione, sempre riferita al primo semestre 2002, anche nel direct marketing (-9,8%), nelle librerie (-2,8%) e nelle attività di stampa (-10,2%).
Per il 2002 nel suo complesso Mondadori prevede una sostanziale e generale stabilità del fatturato per tutta la Divisione Libri, con un incremento significativo per Einaudi e un recupero per Sperling.
Tornando nello specifico dei libri siglati Mondadori, il 2002 si è avviato non senza qualche difficoltà: i primi tre mesi sono stati in netta flessione, i libri della «Repubblica» hanno impattato soprattutto sul settore dei tascabili, e quindi sugli «Oscar», la più grande sigla di tascabili della nostra editoria, che ha sofferto anche per la limitazione degli sconti in GDO. Anche gli hardcover non hanno avuto un inizio brillante ma si sono ripresi bene con Grisham, Camilleri e Mazzantini (che vince lo Strega).
Fra i cambiamenti nell’assetto societario, a gennaio 2002 Elemond trasferisce alla capogruppo Arnoldo Mondadori le partecipazioni in Einaudi e Mondadori Printing, le attività relative alle testate periodiche specializzate e gli immobili.
La scissione da parte di un più ampio progetto di riorganizzazione del gruppo Elemond che da aprile assolve le funzioni di holding operativa del gruppo Mondadori per l’editoria d’arte e i libri illustrati, l’organizzazione di mostre e la gestione di book shop museali. In seguito è stata varata la nuova holding Edumond Le Monnier per l’editoria scolastica, ed è stata consolidata la quota del 50% di Random House-Mondadori, nella quale è confluita Grijalbo.
Per quanto riguarda Bol.it, la libreria on-line nata nel 2000 da una joint venture con Bertelsmann, Mondadori dichiara un fatturato 2001 poco al di sotto dei 2 milioni e mezzo di euro, grazie anche alla creazione di una nuova piattaforma che condivide le operazioni di consegna e pagamento di Bol.it e Mondolibri (l’8% del fatturato di Mondolibri arriva proprio dal web) con un grande risparmio di costi per la società. Nessuna intenzione di chiudere, come hanno fatto diversi siti Boi europei.
Nel giro di poltrone interno: Massimo Turchetta diventa responsabile dei Libri Mondadori; Antonio Riccardi agli «Oscar», Stefano Magagnoli alla fiction, Andrea Cane alla saggistica.
Nel 2002 Bocca abbandona per passare a Feltrinelli, eppure, per quanto se ne dica, Segrate continua a dimostrare la propria autonomia da una proprietà certamente ingombrante. Certo il libro di Stella Tribù finisce sotto le mire del Polo: si ferma la promozione, ma non viene ritirato dalle librerie. Visti i tempi che corrono, non è poco.

NERI POZZA. Nel 1999 il fatturato era di 3 miliardi di lire; nel 2001 sale a 8,5 miliardi di lire e il 2002 promette quasi un raddoppio a 7,5 milioni di euro con un utile di 1 milione di euro. Neri Pozza, staccatasi dal gruppo Longanesi (che aveva il 27%) nel 2001 per passare sotto il controllo totale del gruppo Athesis, che aveva già la quota di maggioranza, si rivela casa editrice dell’anno, con una progressione nel fatturato strabiliante. Merito del successo della Chevalier (190.000 copie di La ragazza con l’orecchino di perla, 70.000 copie in poche settimane di Quando cadono gli angeli} ma anche della direzione editoriale di Giuseppe Russo (in casa editrice dal 2000), artefice di quella via mediana tra fiction commerciale e titoli più impegnati che ha dato una forte identità alla sigla e guadagnato la fiducia dei librai e del pubblico.

PICCOLI EDITORI. Numerose le piccole sigle che, nel corso degli ultimi anni, hanno trovato un posto al sole sui banchi delle librerie, resistendo a un mercato difficile e mettendo a segno, di tanto in tanto, qualche libro o autore che, se non ha avuto effetto significativo sui fatturati, ha comunque dato visibilità e una quota di fiducia ai librai. E il caso di citare la veterana Voland, che pubblica Amelie Nothomb (alcuni titoli in coedizione con Guanda); l’Ancora del Mediterraneo, casa editrice napoletana al suo terzo anno di vita, con una vocazione alla letteratura del Meridione ma non solo; Meridiano Zero, al quinto anno di vita e dedicata al noir; Giano, neonata editrice di Varese che con le sue sobrie copertine e l’opera di ricerca di autori importanti ma poco conosciuti ha conquistato visibilità in libreria; Nino Aragno, che si distingue nella ricerca di pezzi sceltissimi di saggistica umanistica (direttore editoriale è Raffaele Crovi, un «grande vecchio» dell’editoria); Instar, acquisita da Gaspare Bona, che torna con nuovi titoli. Nel 2002 esordiscono Nottetempo, per iniziativa di Ginevra Bompiani, figlia di Valentino; Sironi editore, votata alla narrativa ma nata da una costola di Alpha Test, casa specializzata in editoria parauniversitaria e, nell’editoria per ragazzi, Gallucci, di Carlo Gallucci, già inviato dell’«Espresso» e conduttore del Tg5.

PIEMME. Piemme prevede di chiudere il 2002 a 52 milioni di euro, stabile, dopo un 2001 che ha registrato +14%. Merito soprattutto del topo Geronimo Stilton che ha venduto un milione di copie nel 2001 e un milione e mezzo di copie nel 2002.1 libri di Stilton sono inoltre stati venduti in ventisette paesi, acquistati dalle principali case editrici internazionali come Bertelsmann, Pianeta, Scholastics. In casa editrice pensano che, sommando tutti i mercati esteri, i libri di Stilton dovrebbero vendere circa 120 milioni di copie entro il 2006. L’altro autore-locomotiva della casa editrice è Michael Connelly, i cui titoli hanno venduto 220.000 copie sia nel 2001 sia nel 2002.
A gennaio, joint venture tra Edizioni Piemme e ParaMond (Paravia-Bruno Mondadori). Piemme ha conferito tutte le linee scolastiche, compresi i titoli del «Battello a Vapore-Scuola», alla nuova società Piemme Scuola, della quale ParaMond ha acquisito il 50%

RCS LIBRI. Per RCS Libri spa, il fatturato 2001 complessivo è stato di 655 milioni di euro, dei quali poco più della metà realizzata all’estero. Nello specifico, 303,3 milioni di euro la Libri (nella quale sono conteggiate le sigle del gruppo, l’attività della casa editrice Flammarion e la distribuzione, anche di editori terzi); 110,6 milioni di euro complessivi per i settori Scuola e Università e Professioni (4-13,3%); 25,7 milioni di euro le librerie (praticamente la sola catena Flammarion, oltre alla libreria milanese); 3,9 milioni di euro l’editoria multimediale. Il fatturato restante per arrivare a 655 milioni di euro è da attribuire ad attività varie. I ricavi netti 2001 sono stati 328 milioni di euro (dei quali 216 milioni di euro da Flammarion, 22 milioni di dollari da RCS Corporation).
Nel 2002 le vicende della RCS Libri sono sempre più legate alla profonda ristrutturazione di RCS Editori: dopo cessioni di attività non strategiche, sostanziosi tagli dei costi di gestione, consolidamento delle società acquisite nel biennio precedente, a settembre 2002 arriva in Hdp, voluto da Cesare Romiti, Franco Tato (presidente, ma senza deleghe operative), grande risanatore anche di aziende editoriali (nella Mondadori di De Benedetti prima e di Berlusconi poi). Vedremo se e cosa cambierà in RCS Editori dopo il varo della nuova holding Hdp-RCS che si sta delineando (ottobre). In generale, il 2002 non è iniziato benissimo anche se ha goduto, in assenza di grandi best seller, dell’onda lunga di La rabbia e l’orgoglio della Fallaci (pubblicata o in corso di pubblicazione in diversi paesi esteri) e di II signore degli anelli (che ha venduto moltissimo nel 2002), oltre a un incremento dell’8,3 % dei ricavi del gruppo Flammarion (consolidato).
A febbraio nasce Rizzoli-Larousse, società paritetica dedicata ai reference che si avvale della collaborazione già avviata con la realizzazione dell’enciclopedia multimediale (ma l’operazione dovrà definirsi anche sull’evolversi della situazione turbolenta di Vivendi). Sempre a febbraio, tramite RCS Scuola, la RCS Libri rileva da «Il Sole-24 Ore» i marchi Calderini e Edagricole (4,2 milioni di euro di giro d’affari) e si dà il via a un programma di modifiche organizzative per una migliore efficienza dei marchi.
A luglio Nib-Nuova Italia Bibliografica è ceduta dalla editoriale Firenze, società del gruppo RCS, a Licosa (che con questa operazione raggiunge i 35 milioni di euro di fatturato aggregato, diventando leader italiano dell’import-export librario) e si conclude l’operazione di chiusura delle librerie statunitensi, che salva solo la flagship di New York, e il ridimensionamento delle attività di Rizzoli International: nuovo vicepresidente è Marco Ausenda, già Touring Club Italiano, che riporta direttamente a Giulio Lattanzi.

GRUPPO SAGGIATORE. Con le sue tre sigle, il Saggiatore, Marco Tropea e Pratiche, il gruppo chiude il 2002 a 14 milioni di euro, con un incremento del 4% sull’anno precedente e rese medie contenute nel 30%.
Archiviata l’esperienza di «Est», la collana di economici che sembra non aver trovato in libreria uno spazio adeguato, forse perché percepita troppo come una collana di novità in tascabile, nasce all’inizio del 2002 «Net», una collana di tascabili che oltre ai titoli del gruppo attinge anche da altri cataloghi e da fuori diritti. Oltre alla nuova collana il gruppo ha contato sul rafforzamento della saggistica Tropea; sulla nuova grafica di il Saggiatore, su continue ristampe dei Monologhi della vagina di Eve Ensler, che hanno superato le 50.000 copie e si muovono come una novità, sui numerosi titoli di Noam Chomsky, in particolare Capire il potere, che viaggiano verso le 100.000 copie; su L’olivo e le pietre di Ugo Tramballi (120.000 copie) e FastFood Nation di Eric Schlosser. Per l’anno in corso, stabile il numero delle novità, 110, di cui 35 nella nuova «Net».

I premi e i premiati 2002

2001
Premi assegnati in novembre e dicembre 2001 che non sono entrati per ragioni di stampa nella rubrica di Tirature ’02.
MONDELLO-CITTÀ DI PALERMO XXVII EDIZIONE. Roberto Alajmo, Notizia del disastro (Garzanti); Narrudin Far ah, Doni (Frassinella ; Giuseppe Lupo, L’americano (Marsilio); Claudio Magris, La mostra (Garzanti); Michele Ranchetti, Paul Celan (Einaudi). Premio speciale: Francesco Burdin, Cinque memoriali di guerra (Marsilio).
BAGUTTA 2001. Roberto Calasso, La letteratura e gli dei (Adelphi); per la poesia: Giorgio Orelli, Il collo dell’anitra (Garzanti); per l’opera prima: Paolo Maccari, Ospiti (Manni).

2002
ACQUI STORIA. Barbara Spinelli, Il sonno della memoria. L’Europa dei totalitarismi (Mondadori); Joze Pirjevic, Le guerre jugoslave (Einaudi); Pasquale Chessa, Francesco Villari, Interpretazioni su Renzo De Felice (Baldini & Castoldi).
ALASSIO 100 LIBRI. Un autore per l’Europa: Laura Pariani, Quando Dio ballava il tango (Rizzoli). Un editore per l’Europa: Jaca Book.
ALGHERO DONNA. Alla carriera: Laura Lepetit (La Tartaruga); prosa: Laura Pariani, Quando Dio ballava il tango (Rizzoli); poesia: Giusi Quarenghi, Nota di Passaggio (Book editore).
ALVARO. Alberto Asor Rosa, LI alba di un mondo nuovo (Einaudi).
ANDERSEN. Pinin Carpi, Cion don blu (Piemme). Per la miglior collana di divulgazione: «Brutte Storie» (Salani). Miglior libro per la fascia di lettori nove-dodici anni: Deborah Ellis, Sotto il burqa. Avere 11 anni a Kabul (Fabbri); miglior libro per la fascia d’età che supera i dodici anni: Gaye Hicylmaz, Vietato rubare le stelle (Buena Vista). Miglior illustratore: Pia Valentinis, che pubblica i suoi lavori con Fatatrac e con Tuttestorie. Miglior traduttore: Beatrice Masini, per la serie di Harry Potter.
BACCHELLI. Frank McCourt, Che paese, l’America (Adelphi).
BALZAN. Storia degli studi umanistici: Anthony Grafton (UsA); Sociologia: Dominique Schnapper (Francia).
BANCARELLA. Federico Audisio Di Somma, L’uomo che curava con i fiori (Piemme).
BOOKER PRIZE FOR FICTION (ora MAN BOOKER prize). Yann Martel, Life of Pi (Canongate).
CERVANTES. Alvaro Mutis. Per la traduzione: Pino Cacucci.
CAMPIELLO. Premio speciale della giuria: Michel Tournier.
SUPER CAMPIELLO. Franco Scaglia, Il custode dell’acqua (Piemme).
CARDUCCI POESIA. Luciano Erba, Poesie 1951-2001 (Mondadori).
CHIARA. Giuseppe Pederiali, L’Osteria della Fola (Garzanti).
D’ANNUNZIO. Yves Bonnefoy.
FRANCE CULTURE. Per la letteratura straniera: Antonio Tabucchi, Il se fait tard, de plus en plus tard (Christian Bourgois). Trad. it. Si sta facendo sempre più tardi (Feltrinelli).
FLAIANO. Per la poesia: Adonis; per la satira: Alberto Arbasino, Rap! (Feltrinelli); alla carriera, sezione televisiva: Corrado Augias. Per la ricerca di italianistica: Daniela Amsallen, Peter Kuon, Eanna O’Ceallachain, Johanna Ugniewska, operanti, rispettivamente, in Francia, Austria, Scozia, Polonia.
SUPERFLAIANO. Per Olov Enquist, Il medico di Corte (Iperborea). ESTENSE. Stefano Malatesta, Il grande mare di sabbia (Neri Pozza). GONCOURT. Pascal Quignard, Les Ombres errantes (Grasset).
GRINZANE CAVOUR. Una vita per la letteratura: Daniel Pennac. Autore esordiente: Davide Longo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos). Per la traduzione: Ettore Capriolo. Per la narrativa italiana: Arnaldo Colasanti, Margaret Mazzantini, Romana Petri. Per la narrativa straniera: Alfredo Bryce Echenique (Perù), Christoph Hein (Germania), Orhan Pamuk (Turchia). Per la saggistica: exaequo a Paolo Cesaretti e Gian Carlo Roscioni. Grinzane-Editoria: André Schiffrin.
LEVI. Nadine Gordimer.
MEDITERRANEO INTERNAZIONALE. Umberto Eco, Baudolino (Bompiani).
MORANTE. Antonio Skàrmeta, La bambina e il trombone (Garzanti); Cesare Garboli, Pianura proibita (Adelphi); Bjom Larsson, L’occhio del male (Iperborea).
NONINO. Norman Manea, Tzvetan Todorov.
NOBEL. Per la letteratura: Imre Kertész.
PEN-FAULKNER. Ann Patchett, Bel Canto (Fourth Estate). Trad. it. Belcanto (Neri Pozza).
PULITZER. Fiction: Richard Russo, Empire Falls (Knopf); poetry: Cari Dennis, Practical Gods (Penguin).
SALISBURGO. Carlo Feltrinelli, Senior Service (Feltrinelli).
STREGA. Margaret Mazzantini, Non ti muovere (Mondadori).
VIAREGGIO-RÈPACI: Narrativa: Fleur Jaeggy, Proleterka (Adelphi). Poesia: Iolanda Insana, La stortura (Garzanti); Ludovica Ripa di Meana, Kouros (Aragno). Saggistica: Alfonso Berardinelli, La forma del saggio (Marsilio).
VITTORINI. Gianni e Orietta Guaita, Isola perduta (Rizzoli); Fleur Jaeggy, Proleterka (Adelphi); Alessandra Lavagnino, Le bibliotecarie di Alessandria ( Sellerio).
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