La libreria non è un tempio

La libreria deve affrontare il nuovo millennio aprendo le sue porte al cliente potenziale: non più lettore acquisito e forte, ma generico consumatore. Questo significa risolvere l’ambiguità della libreria e introdurre i più elementari concetti del marketing applicati al consumo di lettura. In Europa si stanno già delineando dei modelli e in Italia Fer Net apre la strada alla nuova libreria del 2000: giovane, con assortimento misto, assolutamente non sacrale.
 
Nel settore del commercio, uno dei canali di vendita che negli ultimi anni ha subito maggiori trasformazioni, è stata la libreria che è passata dal modello «farmacia» al self service. Un cambiamento che ha seguito di pari passo quello dei consumi culturali e che ha determinato anche un conseguente aumento delle vendite, passate dai 718 miliardi del 1988 ai 1.038 del 1997 senza la scolastica (stima Giuliano Vigini), pur restando pressoché immutata la quota interna al settore occupata dalla libreria.
Questo trend sembra ora in via di conclusione, a meno di un’inversione nelle politiche promozionali e di vendita, in grado di influire sui consumi.
Abbiamo di fronte due strade possibili. Una è quella di un intervento sociale e politico da parte dello Stato, un intervento di lunga durata che, forse, questo governo potrebbe intraprendere nonostante la lettura non sia fra i settori ad alto ritorno elettorale. Il processo deve però essere in grado di cambiare i dati dell’analfabetismo reale del paese (il 47 % della popolazione italiana aveva nel 1991 al massimo la licenza elementare): cioè circa la metà della popolazione italiana non ha gli strumenti di base per accedere alla lettura.
Resta però un’altra strada più rapida e indipendente, che poggia le sue basi sull’industria generale dei consumi e sull’intervento privato, e che porta con sé anche profonde trasformazioni sociali. Anche il sistema librario è a questo versante che deve rivolgere la sua attenzione, poiché da qui possono nascere i nuovi modelli di consumo e, quindi, i nuovi modelli di commercializzazione.
Fino a oggi la vendita del libro ha vissuto una grande ambiguità, che ne ha determinato anche la difficoltà, legata al contenuto intrinseco del suo commercio: quel delicato processo che trasforma un’opera «dell’ingegno» e della creatività in un consumo, elegante, colto o popolare che sia.
Le librerie non sono mai state considerate negozi, ma quasi dei centri sacrali di distribuzione della cultura e del sapere; i librai non si sono mai percepiti come commercianti, ma operatori culturali, consumatori eccellenti proprio di ciò che vendono – o meglio offrono – ai loro clienti; il cliente non è un consumatore, ma quasi un clone del commerciante stesso. Potremmo affermare che la libreria è l’unico punto vendita in cui il gestore è assolutamente identificato – e si identifica – col proprio cliente. Mai potremmo immaginare dei librai che non leggono, ma sono solo buoni commercianti che, invece di cellulari o abiti, vendono libri.
È così difficile diventare un commerciante di cultura, quando ormai si parla di economia della cultura e di commercio culturale?
Il libro è stato considerato, fino a ora, uno dei pochissimi contenitori culturali, e su questo ha alimentato la sua dorata – anche se povera – originalità, riuscendo a fascina re anche i propri consumatori (chi leggeva era in qualche modo un privilegiato, chi non leggeva era destinato a un ruolo sociale minoritario e un po’ volgare). In pochi si sono accorti che tutti gli altri prodotti hanno piano piano intaccato questa caratteristica unica, acquisendo forti connotazioni culturali. Dario Moretti, nel suo ultimo libro Il lavoro editoriale, afferma: «Oggi anche chi acquista un’automobile o un elettrodomestico lo fa più per ragioni di cultura che di funzionalità». Ed è così che, nella gara verso la soddisfazione del consumatore, il libro si è trovato spiazzato nella sua posizione di privilegio come unico o principale portatore di valori: oggi tutti i prodotti sono in grado di competere con lui.
La libreria oggi o riprende a esasperare il concetto di «privilegio» del libro – e quindi del suo consumatore – o si avvia verso la contaminazione culturale generalizzata, sviluppando la capacità di rivolgersi al consumatore in quanto tale, consapevole della scala di valori sociali determinata dai consumi.
Girando per le librerie inglesi, francesi o spagnole ci accorgiamo come ci siano già dei percorsi ben delineati. In Inghilterra, per esempio, dove il consumo di libri è stabile e trasversale fra gli strati sociali, il commercio librario non ha la necessità di rivendicare un suo spazio all’interno della mappa dei consumi, ce l’ha già. Qui sono i «servizi di alto profilo» a caratterizzare i punti vendita: bibliografie, readings, gruppi di lettura. Nel punto vendita questi servizi sono andati ad affiancare quella forma dell’ offerta che caratterizza il consumo di massa: economicità (prevalenza dei tascabili), offerta (grandi assortimenti), facilità del consumo (nuovi supporti, come gli audiolibri).
Il lettore è considerato un normale consumatore, in grado di apprezzare l’offerta e di orientarsi anche fra scaffali disordinati con la gran parte dei libri in costa (quella forma di esposizione che normalmente da noi determina la morte commerciale di un libro).
Se passiamo in Francia o Spagna troviamo una situazione molto più simile alla nostra, anche se si sono già delineati, almeno a grandi tratti, nuovi modelli basati su un concetto che potremmo definire di mediazione: il consumatore è prima di tutto un lettore, ma è anche un normale consumatore. E così che nelle francesi Fnac o nelle spagnole Casa del libro troviamo un’offerta organizzata come nelle nostre librerie, con l’inserimento di isole trasversali. Il libro è sempre più abbinato ad altri prodotti (come minimo, oggi c’è sempre il disco, generalmente gli oggetti di cartoleria e spesso il video), gli spazi sono sempre ampi e l’accesso del cliente non è condizionato dall’acquisto necessario. Il display, oltre alle usuali divisioni per settori, si è strutturato per interessi. Quello che da noi troviamo solo per il settore dei bambini viene riproposto per fasce di età maggiori (adolescenti e giovani) o per segmenti trasversali (gay, erotismo, ecc. ); all’interno di questi comparti c’è di tutto: dal romanzo alla manualistica al saggio. Il servizio viene garantito da personale coerente con il settore: un ragazzo per i sedicenni (sembra anche lui minorenne), un gay per gli omosessuali, una donna per le donne e via dicendo. Ci troviamo di fronte a un modello misto che ha salvato la vecchia esperienza libraria, ma che ne sta elaborando una nuova, attenta alle trasformazioni sociali dei consumatori.
Ma come cambia questo consumatore? Tutte le recenti indagini affermano che il processo di trasformazione è radicale. È un soggetto che desidera sempre più autodeterminarsi, che non si reca nei punti vendita per acquistare, ma per informarsi su cosa c’è, sulle nuove tendenze, per trascorrere del tempo con gli amici e, poi, per acquistare. Detesta pressioni di qualsiasi genere (guai a dare l’impressione che si debba comprare), non ama le imposizioni ( di orario per esempio), vuole informazioni chiare perché è sempre più un consumatore cosciente (prezzi visibili, sconti reali, ecc.).
La libreria, pur continuando a effettuare il tradizionale servizio per il cliente-lettore, deve iniziare a rivolgersi a questo nuovo soggetto, che può diventare consumatore anche di libri con molta più facilità di quanto si possa credere.
Il processo di trasformazione in self service della libreria, tanto apprezzato, oggi non risulta più soddisfacente e deve continuare a svilupparsi meglio. La sola esposizione sui banchi a libero accesso non basta più, il consumatore ha bisogno di informazioni sul prodotto esposto che non possono limitarsi alla quarta di copertina (il cliente può non sapere che in un risvolto e sul retro ci sono delle informazioni: oltre tutto spesso quelle informazioni sono più criptiche del contenuto stesso). Pensare che il libraio possa essere la fonte della soddisfazione delle curiosità significa non comprendere il peso del desiderio di autodeterminazione del consumatore che non vuole essere costretto a rivolgersi al personale per conoscere il contenuto del prodotto. Ci vogliono comunicazioni chiare («è un romanzo d’amore, con una donna che tradisce il marito per un giovane incontrato sul treno» o «è la storia di un · viaggio fra i ghiacci in cui si sperimenta il rapporto fra tre uomini soli» ecc. ), bisogna segnalare sempre meglio e con chiarezza i settori. Nelle nostre librerie è ancora prevalente l’anacronistica divisione dei libri per editore – tanto comoda perla gestione del punto vendita – come se il criterio d’acquisto fosse «voglio comprare un libro di Mondadori o di Rizzoli»; vengono utilizzati termini professionali (narrativa) e non quelli utilizzati nel linguaggio naturale: romanzo, racconti, thriller …
Il nuovo punto vendita deve saper ribaltare la vecchia logica: l’organizzazione deve essere realizzata in funzione del cliente, il libraio deve utilizzare le sue conoscenze per sviluppare questa organizzazione e intervenire col cliente solo quando questi vuole qualche cosa in più rispetto a quello che c’è già in libreria. Ogni domanda relativa a ciò che è esposto, anche nel caso di risposta esauriente, dovrebbe essere considerata una sconfitta, un errore, un mancato servizio; infatti, per sfruttare appieno il modello self service, il cliente, anche il meno attrezzato, deve essere messo nella condizione di essere completamente autonomo.
Se pensiamo di conquistare al libro il normale consumatore, dobbiamo anche seguire i trend dei consumi, le tendenze e le abitudini sociali. Per esempio, una recente indagine ha dimostrato che quasi il 44% delle famiglie italiane possiede un animale domestico, e nel solo 1998 c’è stato un incremento del 20% degli acquari. Seguire questi dati avrebbe permesso di allargare l’assortimento seguendo i gusti e le necessità di consumo dei clienti. In realtà, sempre restando al nostro esempio, rari e poco assortiti sono i settori sugli animali domestici.
Pensando sempre al consumatore generico, quello che vive molto del suo tempo fuori casa perché è sempre più pendolare, perché lavora e ha molti interessi, dobbiamo pensare di offrirgli la possibilità di venire in libreria per trascorrere parte del suo tempo anche fuori degli orari canonici – e in questo la recente applicazione della legge Bersani apre molte possibilità -; bisogna pensare anche di offrirgli servizi affinché il tempo trascorso in libreria sia sempre più dilatato e ripetuto; e allora si comprende la consuetudine francese, inglese o spagnola di dargli la possibilità di sosta: sedili, caffè, corner di ristoro, ecc. sacrificando anche spazi degli scaffali poiché non è più vero che una libreria più è piena di libri più vende.
Il nostro consumatore maneggia sempre meno soldi, sostituiti da tessere, bancomat, carte di credito, ticket restaurant. È anacronistico che in libreria ancora poco frequente sia la possibilità di utilizzo di queste forme alternative di pagamento, né venga premiata la fidelizzazione con sconti o informazioni particolari, modalità ormai tanto sviluppate in altri canali. Insomma, tanti piccoli provvedimenti che possono diventare strategici per la libreria.
«Ci vediamo da Fer Net, poi decidiamo dove andare», oppure «Sembra di essere a Parigi o a Londra». Queste sono le frasi che girano nella piazza principale di Vigevano, cittadina della pianura padana in provincia di Pavia dove Feltrinelli ha aperto il primo prototipo di nuova libreria: Fer Net, appunto. Grande entrata sempre aperta, tante luci, musica giovanile, e soprattutto, assortimento misto: metà dischi (sotto) e metà libri (di fronte). L’orario dilatato sino alle 23, con una garanzia: «se oggi non trovi il disco o il libro che vuoi, domani ci sarà». Il sistema è garantito da una navetta giornaliera che si appoggia alla più vicina Libreria Feltrinelli e al Ricordi Media store, in grado quindi di garantire l’assortimento totale.
Il risultato: una folla di giovani vocianti e allegri che hanno adottato Fer net come loro punto di incontro, vendite alle stelle metà dischi e metà libri (quasi tutti tascabili). A disposizione del pubblico ci sono postazioni di Internet, terminali con banche dati di libri e di dischi, cuffie per l’ascolto di dischi, panche per sedersi, manifesti e illustrazioni.
Sarà la libreria del futuro? Noi crediamo di sì, almeno per tutta quella fascia che arriva ai trenta-quarant’anni. È passibile di sviluppi? Certamente! Noi abbiamo sentito la mancanza di un bar e di un ticket-office per concerti e spettacoli. È replicabile? A una condizione: l’efficienza della distribuzione per tutti quei punti vendita indipendenti che non possono appoggiarsi a una «Catena-madre» come Feltrinelli.
Questa, in ogni caso, sarà la strada che dovranno seguire le librerie se non vorranno soccombere ai nuovi modelli di consumo. Ciò non significa smettere di lottare per una regolamentazione dei prezzi o non intraprendere la strada del virtuale che invece dovrà affiancare e sostenere il punto vendita «di mattoni» seguendo il nuovo trend dell’on line, in sempre maggiore sviluppo. Significa però una cosa fondamentale: pensare al proprio cliente non esclusivamente come «lettore» acquisito, ma come consumatore di un prodotto particolare, e che ci sta tanto a cuore: il libro.