Uno dei motivi di maggior dissapore tra Anna Banti e la Mondadori è la ripubblicazione de Il bastardo, libro già edito da Sansoni e appartenente al periodo di elaborazione di Artemisia con cui condivide il dramma della distruzione a causa dei bombardamenti tedeschi.
Nel 1959 si pensa all’inserimento della Banti nelle “Opere di…” anche perché, come sottolinea l’allora direttore letterario Vittorio Sereni, «la Banti è una di quelle tre o quattro donne scrittrici che influiscono anche troppo su ambienti con i quali abbiamo quotidianamente a che fare» (12 febbraio 1959, lettera da Sereni al Presidente). Per meglio comprendere questa affermazione dobbiamo ricordare che la scrittrice aveva già fondato in quel periodo la rivista «Paragone» di cui curava la parte letteraria, e dunque già si prospettava come soggetto catalizzatore del panorama letterario italiano con il fine, attraverso la rivista, di inserire «il monologo che ogni vero autore (artista o critico) volge entro di sé fino alle ragioni più integre che lo determinarono» («Paragone», editoriale n. 2, febbraio 1950).
Nel progetto “Opere di…” Anna Banti chiede l’inserimento tra gli altri, della ristampa de Il bastardo, richiesta cui Vittorini, chiamato a dare un giudizio del libro, contesta i margini di guadagno. A ciò tuttavia si aggiunge una mancanza mondadoriana: l’annunciata pubblicazione nel medesimo periodo di un romanzo di Caldwell dal titolo omonimo a quello bantiano. Ovvia l’immediata reazione della scrittrice alla quale viene proposta una soluzione di ripiego: le copie di Caldwell sono già state stampate e dunque si potrebbe ricopertinarle e aggiungere un frontespizio provvisto del nuovo titolo; il sottotitolo però dovrebbe restare quello omonimo, a causa della testatine all’interno del volume (lettera di Sereni del 27 febbraio 1959). Con sorpresa la Banti tentenna fino a rinunciare in vista di un’edizione successiva modificata rispetto all’edizione Sansoni, e quindi con un titolo nuovo: La casa piccola.
La vicenda si conclude con una volontà di rilancio dell’opera bantiana negli anni compresi tra il 1959 e il 1961: l’edizione del rifacimento teatrale di Artemisia (dal titolo Corte Savella), la pubblicazione di La casa piccola, precedentemente denominato Il bastardo, e il nuovo romanzo calabrese (Noi credevamo) da vedere edito parallelamente alla raccolta di saggi critici (Opinioni) entro il 1961.
Dal «virtuosismo stilistico» di Le donne muoiono a un altro parere negativo sulla scrittura bantiana definita questa volta «dal manierismo concettoso».
Scoppia il caso Caldwell: la Banti si accorge da una pubblicità sull’«Espresso» dell’imminente pubblicazione de Il bastardo di Caldwell. Un titolo omonimo di una sua opera in progetto di ristampa per Mondadori sarebbe impensabile: la soluzione sarà trovata grazie all’intermediazione di Vittorio Sereni, e ad un programma di rilancio dell’opera bantiana che vedrà la pubblicazione del rifacimento teatrale di Artemisia.
La relazione con la casa editrice è in questo periodo complicata: rispetto alla volontà di ristampare l’edizione corretta di Il bastardo come vorrebbe la Banti, la Direzione Letteraria preferisce puntare sulla versione teatrale di Artemisia. L’autrice ancora una volta minaccia di cambiare editore, ma saranno le premure di Niccolò Gallo a evitare l’allontanamento. Gallo crede in Anna Banti anche in virtù del prestigio che la scrittrice può riversare sulla Casa: «puntare sulla Banti, più di quanto non si sia fatto, significa riguadagnarsi l’ambiente fiorentino (Contini, De Robertis), più Cecchi e i critici giovani della scuola stilistica, poter permetterci alcuni inevitabili slittamenti sul piano della qualità e della finesse senza troppo danno».
Il rilancio di Anna Banti si attuerà tramite Corte Savella, che sembra chiudere il lavoro di Artemisia «in bellezza se non addirittura in crescendo come al solito non avviene»; successivamente si avrà spazio per la ristampa di La casa piccola seguito dal nuovo romanzo di matrice risorgimentale da pubblicare entro il 1961.
Lo stile della collana “Narratori italiani” prevede un dipinto astratto in copertina: nel 1960 alla Banti viene richiesto di suggerire un pittore. «Per la verità», scrive a Sereni, «la vicenda dell’astratto la ingollo male. Ma pazienza. Il fatto è che per Corte Savella l’astratto è un controsenso […] Dopotutto si potrebbe lasciare la sopracoperta in bianco, che è, come vediamo ogni giorno, quadro “astratto”». I nomi proposti saranno quelli di Moreni e Giunni, quest’ultimo definitivamente scelto per la sovracoperta del volume (lettera del 28 marzo 1960 a Sereni).